Una fede non da servi
Laura, l’ultima delle mie tre sorelle, mi ha ricordato qualche giorno fa che questo brano del Vangelo è proprio quello che lei e suo marito Stefano avevano scelto per il giorno del loro matrimonio.
Nella preparazione della celebrazione del matrimonio cristiano, la scelta delle letture bibliche è una delle cose più importanti, anzi la cosa più importante per fare di quella liturgia un vero punto di arrivo e di ripartenza della vita di fede personale degli sposi e come coppia. Prendendo spunto anche da quello che in questi giorni come nazione e mondo stiamo facendo nella lotta alla Pandemia, la Parola di Dio deve essere “iniettata” profondamente in quello che siamo e che viviamo, in modo da sentire la presenza sanificante e vivificante di Cristo. Mia sorella e il suo futuro marito sentivano che queste parole che Gesù nell’Ultima cena rivolgeva ai suoi discepoli come testamento, erano le parole giuste per il loro progetto di vita, e davano la prospettiva vera per quello che stavano costruendo come famiglia. E lo è ancora per noi oggi, per me!
Questo passo del Vangelo è dentro quel discorso del Maestro iniziato con l’immagine molto efficace della vite e dei tralci. Gesù insiste con i discepoli nell’insegnare di un legame tra lui e loro che è fondamentalmente un legame di amore. Questo legame è “riflesso” del legame d’amore che c’è in Dio stesso. Vivere legami d’amore veri significa, in altre parole, capire e vedere Dio stesso.
“Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore… Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”
Gesù comanda ai suoi l’amore reciproco perché sa che in quest’amore c’è vita per i suoi, e nell’amare trovano quella gioia profonda che non è un’allegria di un momento, ma una profonda e solida pace che rimane anche nei momenti tristi e difficili che sono inevitabili nella vita.
Ma l’amore è impegnativo, e spesso incredibilmente lo temiamo e lo evitiamo.
Gesù ai suoi discepoli ricorda che tra lui e loro c’è un legame non come tra servo-padrone, ma un legame da amici. “Non vi chiamo più servi… ma vi ho chiamato amici…”
Spesso viviamo la religione con l’atteggiamento del servo. Pensiamo che vivere bene la fede sia principalmente conoscere gli ordini di Dio-Padrone, eseguirli il meglio possibile, temendo la punizione e sperando nel premio. Nella vita da servi al centro del rapporto con il padrone ci sta l’ordine da eseguire, del quale non importa sapere se è giusto o sbagliato, perché lo si deve solo eseguire. In fondo essere servi è più “facile” perché non comporta altro che lo sforzo di eseguire gli ordini senza un coinvolgimento del cuore e della mente e della vita. Padrone e servi hanno in fondo prospettive di vita e finalità diverse…
Ma Gesù non vuole servi, lui vuole amici, e vuole che i suoi amici conoscano e condividano con lui prima di tutto il cuore, la sua visione di Dio e del mondo e abbiano a cuore quello che lui ha a cuore.
Questo significa che il nostro legame con Gesù non si può risolvere in qualche pratica religiosa e nella sola preoccupazione di vivere secondo le regole, ma deve essere come un legame d’amore. Proprio come un legame di due sposi che decidono di vivere insieme per la vita.
L’amore vero per Gesù trasforma il nostro servizio al prossimo e ce lo fa sperimentare non come una esecuzione di doveri per evitare la punizione, ma come strada per vivere la gioia di Dio dentro la nostra vita. Vivere la fede come legame di amicizia e di amore ci permette di raggiungere quella gioia che cerchiamo come esseri umani ogni giorno.
Questa domenica viene dichiarato beato dalla Chiesa, cioè esempio di vera fede, il magistrato Rosario Livatino, ucciso dalla Mafia a 38 anni nel 1990. In questo giovane magistrato siciliano abbiamo un esempio molto concreto di cosa significa amare secondo il comandamento di Gesù e vivere nella sua amicizia: servire la giustizia anche a costo della vita, credendo che in questo servizio si realizza l’amicizia tra Gesù e i discepoli, e si guadagna la vera gioia, che non si trova nei soldi, nella carriera e tanto meno nella violenza.
Fonte: il blog di don Giovanni Berti (“in arte don Gioba”)