Imparate da me che sono umile di cuore
Nel Vangelo di oggi, ascoltiamo Gesù che pronuncia queste parole:
“Prendete il mio giogo sopra di voi
e imparate da me, che sono mite ed umile di cuore,
e troverete ristoro per le vostre anime”.
Gesù ci dice dunque di imitare la sua umiltà. Devo confessare che una volta sono stato tentato di fare una obiezione a Gesù a questo proposito. Mi sono chiesto: ma in che cosa è stato umile Gesù? Scorrendo i Vangeli, non troviamo mai la benché minima ammissione di colpa sulla sua bocca, né quando parla con gli uomini, né quando parla con il Padre. Egli può dire rivolto ai suoi avversari: “Chi di voi può convincermi di peccato?” (Giovanni 8,46). Si proclama Maestro e Signore, dice di essere dappiù di Abramo, di Mosè, di Giona, di Salomone, proclama beati perfino gli occhi che lo vedono. Dov’è, dunque, l’umiltà di Gesù, per poter dire: “Imparate da me che sono umile”?
Qui scopriamo una cosa importante circa l’umiltà. Essa non consiste principalmente nell’essere piccoli e poveri, perché uno può benissimo essere insignificante e arrogante nello stesso tempo. Non consiste tanto nel sentirsi piccoli e senza valore, perché questo può nascere anche da un complesso di inferiorità o da una cattiva immagine di sé e portare alla depressione e all’autolesionismo, anziché all’umiltà. Non consiste neppure nel dichiararsi piccoli, perché molti dichiarano di non valere niente, senza credere però veramente quello che dicono, oppure perché questo modo di parlare (detto understatement) fa parte della propria cultura. (Se l’umiltà consistesse in questo, gli inglesi e i giapponesi sarebbero i due popoli più umili della terra!).
Dunque l’umiltà non consiste principalmente nell’essere piccoli, o nel sentirsi piccoli, o nel dichiararsi piccoli. In che consiste allora? Nel farsi piccoli, e nel farsi piccoli per amore, per servire e innalzare gli altri. Così è stata l’umiltà di Gesù. Egli che era “nella forma di Dio”, si è spogliato di tutto, si è umiliato assumendo la forma di servo per salvarci. Ha perciò perfettamente ragione di dire: ”Imparate da me che sono umile”.
Umile davvero è solo Dio, perché, nella posizione in cui è, Dio non può elevarsi al di sopra di sé (non c’è nulla sopra di lui!). Può solo scendere, abbassarsi. Ed è quello che fa tutto il tempo: creando il mondo, si abbassa; ispirando la Bibbia, fa come un papà che si adatta balbettare per insegnare al bambino a parlare; nell’incarnazione scende, nell’eucaristia scende. La storia della salvezza è la storia delle discese e delle umiliazioni di Dio.
Questa idea affascinava san Francesco d’Assisi che era solito esclamare: “Guardate, fratelli, l’umiltà di Dio!” , e, rivolto a Dio, diceva: “Tu sei umiltà!”. Per questo, nel Cantico delle creature egli fa dell’acqua il simbolo dell’umiltà: “Laudato si’, mi Signore, per sora acqua la quale è molto utile, e umile e preziosa e casta”. L’acqua è umile perché, lasciata a se stessa, sempre scende, fino a raggiungere il punto più basso possibile. L’acqua sceglie sempre per sé l’ultimo posto! Il contrario del vapore che tende invece sempre a salire in alto ed è perciò giustamente associato all’orgoglio.
C’è stato chi ha accusato il Vangelo di Gesù di aver introdotto nel mondo “il morbo” dell’umiltà, opponendo ad essa l’ideale della “volontà di potenza” (Nietzsche). Ma si sono visti i frutti di questo rovesciamento. L’umiltà non solo non deprime l’uomo, ma lo rende autentico, vero.
L’umiltà è verità. È interessante notare una cosa: la parola uomo (homo) è imparentata con la parola umiltà (humilitas); tutte e due derivano infatti da humus, cioè suolo. L’umile è colui che ha i piedi per terra, che è radicato al suolo, che non si lascia trasportare dalle opinioni e dalle mode, non si esalta per le lodi. Dice continuamente a se stesso, come san Paolo: “Che cos’hai che non hai ricevuto? E se l’hai ricevuto perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?”.
Dobbiamo riconoscere subito però che l’umiltà non ci è naturale. Ci piace sì, ma negli altri, non in noi stessi. Si dice che oltre il 75% del corpo umano è costituito di acqua; ma io dico che oltre il 75% dello spirito umano è costituito di orgoglio e vanità. Smaniamo tutti per emergere.
La psicologia riconosce oggi il valore anche terapeutico dell’umiltà. Lo psicologo C.G. Jung, in un suo libro, dice che tutti i pazienti di una certa età che si erano rivolti a lui soffrivano per qualcosa che si poteva definire “assenza di umiltà” e non guarivano finché non acquistavano un atteggiamento di rispetto nei confronti di una realtà più grande di loro, cioè un atteggiamento di umiltà.
Allora dobbiamo tutti abbassarci, rinunciare a farci valere, ad aspirare a grandi cose? No. Un giorno Gesù disse ai suoi discepoli: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti” (Marco 9,35) e, anche a questo proposito, addusse ad esempio se stesso, aggiungendo: “Appunto, come il Figlio dell’uomo che non è venuto per essere servito, ma per servire” (Matteo 20,28).
“Se uno vuole essere il primo”: dunque è lecito voler “primeggiare” ed eccellere nella vita. Quello che cambia con il Vangelo è solo la via per realizzare questa aspirazione legittima. Essa non consiste nell’elevarsi sugli altri, riducendoli a schiavi o ammiratori, ma nell’elevare gli altri servendoli, aiutandoli a crescere. Cone fa, insomma, un buon genitore che non desidera tanto elevarsi sui propri figli, ma elevare i propri figli e farli diventare grandi, anche più grandi di lui.
Questa non è una via in cui uno riuscirà vincitore e tutti gli altri perdenti, ma che eleva tutti. Alla competitività selvaggia, si sostituisce la solidarietà. È la via più degna anche dal punto di vista umano. Umiltà non significa dunque farsi mettere sotto i piedi, non reagire all’ingiustizia. Il vero umile sa anche lottare per la verità, perché è libero egli stesso. Veramente magnanimi e ardimentosi sono solo i santi. Piuttosto, quanti, con la scusa di non farsi mettere sotto i piedi, non si accorgono che mettono continuamente gli altri sotto i piedi!
Proprio nel Vangelo di oggi Gesù mette in luce il frutto più prezioso dell’umiltà: essa rende possibile accogliere la rivelazione divina, predispone a credere. Dice:
“Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra,
perché hai tenuto nascosto queste cose ai sapienti
e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli”.
Il Vangelo sarebbe per caso ostile alla sapienza e all’intelligenza e preferirebbe ad esse la stoltezza? No, qui piccoli non significa il contrario di intelligenti, ma il contrario di superbi. Il Vangelo non condanna la sapienza, ma l’orgoglio. Ma non facciamo così anche noi? A chi ci accostiamo e confidiamo volentieri i nostri segreti: all’altezzoso, alla persona piena di sé, o alla persona discreta, umile, capace di ascoltare e di tacere? L’orgoglio guasta anche le cose più belle. Anche l’intelligenza e la bellezza fisica, senza la modestia, perdono il loro fascino ed espongono la persona più al ridicolo che all’ammirazione.
Se l’umiltà è così bella, dobbiamo darci da fare per diventare un po’ più umili. Un piccolo mezzo che ci fa crescere nell’umiltà, è saper accettare qualche osservazione dagli altri, senza subito o deprimerci, o, al contrario, reagire partendo subito al contrattacco, prima ancora di aver considerato se l’osservazione era giusta o meno. Non si diventa umili senza accettare qualche umiliazione.
Nulla serve a smontare ire e inimicizie quanto un sincero atto di umiltà. Manzoni lo ha illustrato nella scena in cui Padre Cristoforo si reca a chiedere perdono alla famiglia della persona che aveva ucciso in duello prima di entrare in convento. Tutta la parentela è pomposamente schierata per rendere l’atto del frate più umiliante. Tutti sono impettiti e pronti a prendersi la rivincita. Alla vista del frate che, con lo sguardo a terra, chiede perdono a tutti, uno alla volta quei volti alteri si abbassano, ci si vergogna della propria boria. E alla fine, nella commozione generale, tutti si stringono intorno al frate e fanno a gara nel manifestargli segni di rispetto.
Avviene così anche nelle piccole cose. Stendere per primo la mano, o accennare a un sorriso dopo un litigio tra marito e moglie, una parola di scusa tra colleghi di lavoro, perfino tra avversari politici, tutto questo rasserena l’atmosfera, smonta ogni risentimento, rende tutto più semplice. Il vero vincitore è chi ha prevenuto l’altro nell’atto di umiltà, non chi si è fatto prevenire.
Richiamiamo alla mente, per incoraggiarci, la parola di Gesù che promette pace e ristoro a chi lo segue per la via dell’umiltà:
“Imparate da me che sono mite ed umile di cuore,
e troverete ristoro per le vostre anime”.