I testi che la Liturgia di questa Solennità ci propone sono a noi noti ma sempre nuovi quando li ascoltiamo e li interiorizzaziamo. Con Maria, i discepoli e la gente che si trovavano in “quel luogo” ci siamo anche noi in Attesa del Vento dello Spirito; in Attesa con il cuore carico di gioia perché quello che il Signore Gesù ci aveva promesso viene donato ad ognuno.
15In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; Gesù nella prima metà del suo primo discorso all’ultima cena ha parlato della sua imminente dipartita da questo mondo, spiegando il significato della sua passione e morte. Nella seconda sezione sottolinea che l’amore per Lui deve essere concreto e si prova custodendo i suoi precetti, vivendo la sua parola. L’amore che Gesù chiede ai suoi non è un semplice amore di amicizia, un affiatamento umano. Gesù pone questo amore a un livello molto più alto, collegandolo con la vita secondo la nuova legge da Lui promulgata e con l’invio dello Spirito Santo.
Inoltre, poiché Gesù afferma la sua uguaglianza con il Padre, tutti devono amare il Figlio come amano il Padre; il comando dell’amore si estende dal Padre a Gesù: amare Gesù è amare il Padre, come vedere Gesù è vedere il Padre. La conseguenza dell’amore sarà inevitabilmente quella di osservare (o custodire o adempiere, secondo il testo greco) i comandamenti specifici di Gesù (quelli miei, dice il testo greco), cioè tutto il complesso di valori morali proposto e vissuto da Lui, in particolare il comando nuovo della carità vicendevole (cf 13, 31-45).
L’osservanza dei precetti del Signore costituisce il banco di prova dell’amore per il Figlio di Dio. L’amore vero va provato mediante l’obbedienza; non si tratta, infatti, di un sentimento vago ed emotivo, né si intende come pratica esteriore di norme e precetti; infatti non si tratta semplicemente dei precetti morali, essi implicano tutto un modo di vivere in unione d’amore con Lui.
16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Lo Spirito è presentato come un dono del Padre celeste che Lui stesso farà su richiesta di Gesù. Un altro Paraclito perché lo Spirito prenderà il posto occupato attualmente da Gesù nei confronti dei suoi apostoli e ne prolungherà l’opera presso i discepoli.
Nel greco profano tale parola significa: assistente legale, avvocato; sia il termine che il verbo parakalein da cui deriva, può significare anche “esortazione”; nei LXX hanno il senso di “dare gioia, consolare” con riferimento esplicito ai beni dell’epoca messianica e al senso della gioia che ne deriva (cf Is 40, 1); nel NT si riferiscono all’annuncio profetico cristiano (cf Atti 2, 40; 1Cor. 14,3).
Lo Spirito della verità non solo rimarrà in eterno con i credenti, ma sarà in essi, cioè dimorerà dentro di loro, per svolgere la sua funzione di avvocato e consolatore. Con tale espressione Gesù dice indirettamente che i suoi seguaci saranno tempio dello Spirito Santo, poiché questa persona divina abiterà in loro. Ma non solo lo Spirito Paraclito, ma anche Gesù e il Padre abitano nel cuore dei discepoli che custodiscono la Parola del Signore (cf v.18 e 23) per cui il credente non vive più solo ma ospita questi Tre Amici divini. Le tre Persone della Trinità vivono realmente nel cuore dei cristiani e questa verità di fede deve ispirare profondamente la spiritualità di ogni battezzato.
L’amore operoso e concreto per Cristo dischiude all’uomo la vita della comunione trinitaria; questo amore è il “luogo” del dono dello Spirito. Un amore così forte e concreto non è possibile alla natura, per tale impegno eroico è necessario l’intervento del Soffio di Dio, ed il Soffio spira ovunque e comunque riempiendo l’universo!
23bSe uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Si tratta dell’unità, della compenetrazione mutua tra Padre, Figlio e fedeli, in contesto di amore. “Verremo a Lui” riprende il “verrò a voi” del v. 18; qui il verbo è al plurale e indica che i due soggetti, Padre e Figlio, assicurano una presenza di assistenza e protezione attraverso lo “stare in”, “dimorare” in un “co-abitare” che realizza un’unione intima che trova il suo contesto nell’amore verso Gesù.
Questo passo nel quale il Maestro parla della sua venuta nel cuore dei discepoli insieme al Padre per far dimora dentro il loro cuore, completa la tematica dell’inabitazione della Trinità nel seno della comunità cristiana e dei singoli membri del popolo di Dio. Gesù chiarisce che la sua manifestazione agli amici che gli dimostrano un amore concreto non avverrà in modo spettacolare ed esterno, ma si realizzerà nell’intimo delle coscienze, con la sua venuta assieme al Padre nel cuore dei discepoli che osservano la sua parola. In questo modo i discepoli diventano tempio della Trinità.
24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. In questo versetto si ribadisce la tematica dell’amore, concretizzato nell’osservanza delle parole di Gesù, attraverso la tecnica semitica dell’antitesi. Chi non ama e non pratica i comandamenti non può far parte della vita di Dio. Il Padre e il Figlio non possono venire dove non c’è l’amore per Cristo e per i fratelli, amore che scaturisce dall’obbedienza alla Parola di Gesù, che è la stessa del Padre. Il Maestro specifica che la sua Parola, ascoltata dai discepoli, in realtà è del Padre che lo ha mandato.
25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Le cose che Gesù ha rivelato non solo soltanto quelle del discorso riportato, ma anche tutto il complesso della rivelazione attuata da Gesù nella sua vita terrena.
26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”. E’ la prima volta che in Giovanni il Paraclito viene indicato come Spirito Santo; egli prenderà il posto di Gesù e sarà inviato nel suo nome, cioè, secondo l’uso semitico, sarà in relazione costante con Gesù e ne continuerà l’opera perché ha una affinità intima, ontologica, con Gesù; agisce quindi in relazione con Gesù, al suo posto, con la sua autorità.
L’azione didattica dello Spirito è quella di mettere in contatto diretto con tutta la rivelazione portata da Gesù, appianando le difficoltà che si frappongono a questo contatto; spingerà a conoscere questa verità, ad accettarla, a comprenderla fino in fondo, ad esprimerla, ad agire di conseguenza. E’ un’azione funzionale, relativa a Gesù, non tanto di aggiungere, ma di richiamare alla memoria ciò che Gesù ha insegnato, che è rivelazione esaustiva e completa del Padre per noi che la riceviamo.
Gesù dichiara che lo Spirito Santo insegnerà ogni cosa ai credenti e ciò avverrà mediante il ricordo di quanto il Cristo ha rivelato. Lo Spirito ha un’azione didattica orientata verso la parola di Gesù; non porterà una rivelazione personale diversa da quella del Cristo, perché svolge la missione di richiamare alla memoria dei discepoli la verità di Gesù, attraverso la sua azione interiore nel loro cuore e nella loro mente. Lo Spirito Santo sarà in eterno con i credenti, anzi dimorerà in essi e darà loro l’intelligenza della fede, facendo capire la parola di Gesù dall’interno; quindi sarà il vero maestro interiore dei credenti.
Siamo di fronte alla grande economia della salvezza: il tempo di Gesù e il tempo dello Spirito; sono le fasi successive di una stessa rivelazione. Cristo ha compiuto la sua missione, ma i discepoli non ne hanno afferrato il senso e il profondo insegnamento; sarà compito dello Spirito Santo aiutare i discepoli ad afferrare pienamente la verità detta dal Signore, di far interiorizzare la rivelazione. Lo Spirito fa ricordare non con un semplice richiamo alla mente, ma con il tener vivo e sempre presente l’intero messaggio spirituale di Gesù con una comprensione profonda e intima.
Questa promessa si estende dagli Apostoli a tutta la Chiesa. Pertanto il tempo della Chiesa è tempo dello Spirito e questo non è altro che il prolungamento del tempo di Gesù. Per questo ancora invochiamoLo con forza in ogni situazione e momento della nostra vita.
Appendice
L`unità ecclesiale, immagine dell’unità trinitaria
Dopo la risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, e dopo la sua ascensione al cielo, che avvenne nel giorno da lui fissato, trascorsi dieci giorni egli inviò lo Spirito Santo: quanti si trovavano riuniti nella medesima sala, ripieni di Spirito Santo, cominciarono a parlare nelle lingue di tutte le genti. Coloro che avevano ucciso il Signore, sbigottiti da tale prodigio e profondamente scossi, si pentirono di quanto avevano fatto, pentiti si convertirono, e, convertitisi, credettero. Si unirono al corpo del Signore, cioè al numero dei fedeli, che arrivarono a tremila, e, in seguito a un altro prodigio, a cinquemila. Si formò così un solo popolo, numeroso, in cui tutti, ricevuto lo Spirito Santo che accese in essi l`amore spirituale, mediante la carità e il fervore dello spirito, diventarono una cosa sola: in quella comunità perfetta cominciarono a vendere tutto ciò che possedevano e a deporre il ricavato ai piedi degli apostoli perché fosse distribuito a ciascuno secondo il bisogno. Di essi la Scrittura dice che erano un cuor solo e un`anima sola protesi verso Dio (At 4,32). Fate dunque attenzione, o fratelli, e da questo prendete motivo per riconoscere il mistero della Trinità, cioè per affermare che esiste il Padre, esiste il Figlio, esiste lo Spirito Santo, e tuttavia Padre e Figlio e Spirito Santo sono un solo Dio. Ecco, quelli erano diverse migliaia ed erano un cuore solo, erano diverse migliaia ed erano un`anima sola. Ma dove erano un cuor solo e un`anima sola? In Dio. A maggior ragione questa unità si troverà in Dio. Sbaglio forse dicendo che due uomini sono due anime, e tre uomini tre anime, e molti uomini molte anime? Certamente dico bene. Ma se essi si avvicinano a Dio, molti uomini diventano un`anima sola. Ora, se unendosi a Dio, mediante la carità, molte anime diventano un`anima sola e molti cuori un cuore solo, che cosa non farà la fonte stessa della carità nel Padre e nel Figlio? Non sarà lì con maggior ragione la Trinità un solo Dio? E` da quella fonte, e precisamente dallo Spirito Santo, che ci viene la carità, come appunto dice l`Apostolo: La carità di Dio è riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato (Rm 5,5). Se dunque la carità di Dio, riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato, fa di molte anime un`anima sola e di molti cuori un cuore solo, non saranno a maggior ragione il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo un solo Dio, una sola luce, un solo principio? (Sant’Agostino, Commento all’Evangelo di san Giovanni, 39,5 8.
Lo Spirito di Dio supera la debolezza della carne
Coloro che temono Dio, che credono nella venuta del suo Figlio e che con la fede tengono in cuore lo Spirito divino, sono veramente uomini, sono mondi, spirituali e vivono per Dio, perché posseggono lo Spirito del Padre che purifica l`uomo e lo solleva alla vita divina. Il Signore attesta che la carne è debole e lo Spirito è pronto, cioè che può fare tutto ciò che è in suo potere. Se a ciò che è in potere dello Spirito si unisce la debolezza della carne, necessariamente ciò che è forte supera ciò che è debole, e così la debolezza della carne viene assorbita nella forza dello Spirito. Chi si trova in questa situazione, non è carnale, ma è spirituale, perché unito allo Spirito. Quando perciò i martiri rendono la loro testimonianza e disprezzano la morte, non agiscono secondo la debolezza della loro carne, ma nella forza dello Spirito. La debolezza della carne è assorbita dalla potenza dello Spirito; e lo Spirito che così assorbe la debolezza della carne possiede in sé la carne come sua eredità. Di questi due elementi è costituito l`uomo vivente, vivente perché partecipe dello Spirito, uomo, poi, per la sostanza della sua carne. Dunque la carne, senza lo Spirito di Dio, è morta, non ha la vita, non può possedere il regno di Dio; il suo sangue è inanimato, come acqua versata in terra. Per questo dice Paolo: Qual è il primo Adamo terrestre, tali sono anche i terrestri (1Cor 15,48). Ma dove è lo Spirito del Padre, ivi l`uomo vive, il suo sangue è vitale e Dio lo custodisce e lo vendicherà; la carne posseduta dallo Spirito è dimentica di sé, assume le qualità dello Spirito, diviene conforme al Verbo di Dio. Per questo Paolo dice: Come abbiamo portato l`immagine di colui che viene dalla terra, così porteremo l`immagine di colui che viene dal cielo (1Cor 15,49). Ma chi è che viene dalla terra? Il corpo plasmato. E chi dal cielo? Lo Spirito. Come dunque – dice egli – siamo vissuti una volta senza lo Spirito celeste, nella vetustà della carne, nella disobbedienza a Dio, così ora, ricevuto lo Spirito, camminiamo in novità di vita nell`obbedienza a Dio. Senza lo Spirito di Dio non possiamo salvarci; perciò l`Apostolo ci esorta a conservarlo con la fede e con la vita santa, per non perdere, altrimenti, il regno dei cieli. Per questo ci grida che la carne, da sola, e il sangue non possono possedere il regno di Dio. Però, a dire il vero, la carne non possiede, ma è posseduta; per questo il Signore dice: Beati i miti, poiché essi possederanno in eredità la terra (Mt 5,5); cioè verrà da loro posseduta e signoreggiata quella terra da cui proviene la sostanza della nostra carne. Per questo egli vuole che il tempio di Dio sia mondo, perché lo Spirito divino gioisca di lui come lo sposo della sposa. La donna non può prendere in sposo il suo uomo; può invece esser presa sposa quando il suo uomo viene e la prende con sé. Così la carne in se stessa, cioè da sola, non può possedere in eredità il regno di Dio; ma può ben essere posseduta come regno dallo Spirito. Ciò che è morto, non può possedere in eredità: altro è poi possedere, e altro è esser posseduti in eredità. Chi possiede, domina, signoreggia, dispone di ciò che possiede come vuole; ciò che è posseduto obbedisce, è soggetto, è sotto il potere di chi lo possiede. Ora, cosa è che vive? Evidentemente lo Spirito di Dio. Cosa è, invece, che è morto? E` chiaro: le membra dell`uomo che si corrompono nella terra. Queste saranno possedute dallo Spirito e trasferite nel regno dei cieli. (Ireneo di Lione, Contro le eresie, 5, 9,2-4)
Lo Spirito Santo e la Chiesa nella Liturgia
Dal catechismo della Chiesa Cattolica
1091 Nella liturgia lo Spirito Santo è il pedagogo della fede del popolo di Dio, l’artefice di quei «capolavori di Dio» che sono i sacramenti del Nuovo Testamento. Il desiderio e l’opera dello Spirito nel cuore della Chiesa è che noi viviamo della vita di Cristo risorto. Quando egli incontra in noi la risposta di fede da lui suscitata, si realizza una vera cooperazione. Grazie ad essa, la liturgia diventa opera comune dello Spirito Santo e della Chiesa.
1092 In questa comunicazione sacramentale del mistero di Cristo, lo Spirito Santo agisce allo stesso modo che negli altri tempi dell’Economia della salvezza: egli prepara la Chiesa ad incontrare il suo Signore; ricorda e manifesta Cristo alla fede dell’assemblea; rende presente e attualizza il mistero di Cristo per mezzo della sua potenza trasformatrice; infine, lo Spirito di comunione unisce la Chiesa alla vita e alla missione di Cristo.
Lo Spirito Santo prepara ad accogliere Cristo
1093 Nell’economia sacramentale lo Spirito Santo dà compimento alle figure dell’Antica Alleanza. Poiché la Chiesa di Cristo era «mirabilmente preparata nella storia del popolo d’Israele e nell’Antica Alleanza», la liturgia della Chiesa conserva come parte integrante e insostituibile, facendoli propri, alcuni elementi del culto dell’Antica Alleanza:
- in modo particolare la lettura dell’Antico Testamento;
- la preghiera dei salmi;
- e, soprattutto, il memoriale degli eventi salvifici e delle realtà prefigurative che hanno trovato il loro compimento nel mistero di Cristo (la Promessa e l’Alleanza, l’Esodo e la Pasqua, il Regno e il Tempio, l’Esilio e il Ritorno).
1094 Proprio su questa armonia dei due Testamenti si articola la catechesi Pasquale del Signore e in seguito quella degli Apostoli e dei Padri della Chiesa. Tale catechesi svela ciò che rimaneva nascosto sotto la lettera dell’Antico Testamento: il mistero di Cristo. Essa è chiamata «tipologica» in quanto rivela la novità di Cristo a partire dalle «figure» (tipi) che lo annunziavano nei fatti, nelle parole e nei simboli della prima Alleanza. Attraverso questa rilettura nello Spirito di verità a partire da Cristo, le figure vengono svelate. Così, il diluvio e l’arca di Noè prefiguravano la salvezza per mezzo del Battesimo, come pure la nube e la traversata del Mar Rosso; l’acqua dalla roccia era figura dei doni spirituali di Cristo; la manna nel deserto prefigurava l’Eucaristia, «il vero pane dal cielo» (Gv 6,32).
1095 Per questo la Chiesa, specialmente nei tempi di Avvento, di Quaresima e soprattutto nella notte di Pasqua, rilegge e rivive tutti questi grandi eventi della storia della salvezza nell’«oggi» della sua liturgia. Ma questo esige pure che la catechesi aiuti i fedeli ad aprirsi a tale intelligenza «spirituale» dell’Economia della salvezza, come la liturgia della Chiesa la manifesta e ce la fa vivere.
Lo Spirito Santo ricorda il mistero di Cristo
1099 Lo Spirito e la Chiesa cooperano per manifestare Cristo e la sua opera di salvezza nella liturgia. Specialmente nell’Eucaristia, e in modo analogo negli altri sacramenti, la liturgia è Memoriale del mistero della salvezza. Lo Spirito Santo è la memoria viva della Chiesa.
1100 La Parola di Dio. Lo Spirito Santo ricorda in primo luogo all’assemblea liturgica il senso dell’evento della salvezza vivificando la Parola di Dio che viene annunziata per essere accolta e vissuta: «Massima è l’importanza della Sacra Scrittura nel celebrare la liturgia. Da essa infatti vengono tratte le letture da spiegare nell’omelia e i salmi da cantare; del suo afflato e del suo spirito sono permeate le preci, le orazioni e gli inni liturgici, e da essa prendono significato le azioni e i segni».
1101 È lo Spirito Santo che dona ai lettori e agli uditori, secondo le disposizioni dei loro cuori, l’intelligenza spirituale della Parola di Dio. Attraverso le parole, le azioni e i simboli che costituiscono la trama di una celebrazione, egli mette i fedeli e i ministri in relazione viva con Cristo, Parola e Immagine del Padre, affinché possano trasfondere nella loro vita il significato di ciò che ascoltano, contemplano e compiono nella celebrazione.
1102 «In virtù della parola salvatrice la fede […] si alimenta nel cuore dei credenti, e con la fede ha inizio e cresce la comunità dei credenti». L’annunzio della Parola di Dio non si limita ad un insegnamento: essa sollecita la risposta della fede, come adesione e impegno, in vista dell’Alleanza tra Dio e il suo popolo. È ancora lo Spirito Santo che elargisce la grazia della fede, la fortifica e la fa crescere nella comunità. L’assemblea liturgica è prima di tutto comunione nella fede.
1103 L’Anamnesi. La celebrazione liturgica si riferisce sempre agli interventi salvifici di Dio nella storia.
«L’economia della rivelazione avviene con eventi e parole intimamente connessi tra loro […]. Le parole dichiarano le opere e chiariscono il mistero in esse contenuto». Nella liturgia della Parola lo Spirito Santo «ricorda» all’assemblea tutto ciò che Cristo ha fatto per noi. Secondo la natura delle azioni liturgiche e le tradizioni rituali delle Chiese, una celebrazione «fa memoria» delle meraviglie di Dio attraverso una anamnesi più o meno sviluppata. Lo Spirito Santo, che in tal modo risveglia la memoria della Chiesa, suscita di conseguenza l’azione di grazie e la lode (dossologia).
Lo Spirito Santo attualizza il mistero di Cristo
1104 La liturgia cristiana non soltanto ricorda gli eventi che hanno operato la nostra salvezza; essa li attualizza, li rende presenti. Il mistero Pasquale di Cristo viene celebrato, non ripetuto; sono le celebrazioni che si ripetono; in ciascuna di esse ha luogo l’effusione dello Spirito Santo che attualizza l’unico mistero.
1105 L’epiclesi («invocazione-su») è l’intercessione con la quale il sacerdote supplica il Padre di inviare lo Spirito Santificatore affinché le offerte diventino il Corpo e il Sangue di Cristo e i fedeli, ricevendole, divengano essi pure un’offerta viva a Dio.
1106 Insieme con l’anamnesi, l’epiclesi è il cuore di ogni celebrazione sacramentale, in modo particolare dell’Eucaristia: «Tu chiedi in che modo il pane diventa Corpo di Cristo e il vino […] Sangue di Cristo? Te lo dico io: lo Spirito Santo discende e realizza ciò che supera ogni parola e ogni pensiero. […] Ti basti sapere che questo avviene per opera dello Spirito Santo, allo stesso modo che dalla santa Vergine e per mezzo dello Spirito Santo il Signore, da se stesso e in se stesso, assunse la carne».
1107 La forza trasformatrice dello Spirito Santo nella liturgia affretta la venuta del Regno e la consumazione del mistero della salvezza. Nell’attesa e nella speranza egli ci fa realmente anticipare la piena comunione della Santissima Trinità. Mandato dal Padre che esaudisce l’epiclesi della Chiesa, lo Spirito dona la vita a coloro che l’accolgono, e costituisce per essi, fin d’ora, «la caparra» della loro eredità.
Fiamma viva d’amore
O fiamma d’amor viva,
che soave ferisci
dell’alma mia nel più profondo centro!
Poiché non sei più schiva,
se vuoi, ormai finisci;
rompi la tela a questo dolce incontro.
O cauterio soave!
O deliziosa piaga!
O blanda mano! o tocco delicato,
che sa di vita eterna,
e ogni debito paga!
Morte in vita, uccidendo, hai tu cambiato!
O lampade di fuoco,
nel cui vivo splendore
gli antri profondi dell’umano senso,
che era oscuro e cieco,
con mirabil valore
al lor Diletto dan luce e calore!
Quanto dolce e amoroso
ti svegli sul mio seno,
dove solo e in segreto tu dimori!
Nel tuo spirar gustoso,
di bene e gloria pieno,
come teneramente mi innamorai!
(San Giovanni della Croce)
«Non vi lascerò orfani» (Gv 14,18).
La missione di Gesù, culminata nel dono dello Spirito Santo, aveva questo scopo essenziale: riallacciare la nostra relazione con il Padre, rovinata dal peccato; toglierci dalla condizione di orfani e restituirci a quella di figli.
L’apostolo Paolo, scrivendo ai cristiani di Roma, dice: «Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!”» (Rm 8,14-15). Ecco la relazione riallacciata: la paternità di Dio si riattiva in noi grazie all’opera redentrice di Cristo e al dono dello Spirito Santo.
Lo Spirito è dato dal Padre e ci conduce al Padre. Tutta l’opera della salvezza è un’opera di ri-generazione, nella quale la paternità di Dio, mediante il dono del Figlio e dello Spirito, ci libera dall’orfanezza in cui siamo caduti. Anche nel nostro tempo si riscontrano diversi segni di questa nostra condizione di orfani: quella solitudine interiore che sentiamo anche in mezzo alla folla e che a volte può diventare tristezza esistenziale; quella presunta autonomia da Dio, che si accompagna ad una certa nostalgia della sua vicinanza; quel diffuso analfabetismo spirituale per cui ci ritroviamo incapaci di pregare; quella difficoltà a sentire vera e reale la vita eterna, come pienezza di comunione che germoglia qui e sboccia oltre la morte; quella fatica a riconoscere l’altro come fratello, in quanto figlio dello stesso Padre; e altri segni simili.
A tutto questo si oppone la condizione di figli, che è la nostra vocazione originaria, è ciò per cui siamo fatti, il nostro più profondo “DNA”, che però è stato rovinato e per essere ripristinato ha richiesto il sacrificio del Figlio Unigenito. Dall’immenso dono d’amore che è la morte di Gesù sulla croce, è scaturita per tutta l’umanità, come un’immensa cascata di grazia, l’effusione dello Spirito Santo. Chi si immerge con fede in questo mistero di rigenerazione rinasce alla pienezza della vita filiale.
«Non vi lascerò orfani». Oggi, festa di Pentecoste, queste parole di Gesù ci fanno pensare anche alla presenza materna di Maria nel Cenacolo. La Madre di Gesù è in mezzo alla comunità dei discepoli radunata in preghiera: è memoria vivente del Figlio e invocazione vivente dello Spirito Santo. E’ la Madre della Chiesa. Alla sua intercessione affidiamo in modo particolare tutti i cristiani, le famiglie e le comunità che in questo momento hanno più bisogno della forza dello Spirito Paraclito, Difensore e Consolatore, Spirito di verità, di libertà e di pace.
Lo Spirito, come afferma ancora san Paolo, fa sì che noi apparteniamo a Cristo: «Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene» (Rm 8,9). E consolidando la nostra relazione di appartenenza al Signore Gesù, lo Spirito ci fa entrare in una nuova dinamica di fraternità. Mediante il Fratello universale, che è Gesù, possiamo relazionarci agli altri in modo nuovo, non più come orfani, ma come figli dello stesso Padre buono e misericordioso. E questo cambia tutto! Possiamo guardarci come fratelli, e le nostre differenze non fanno che moltiplicare la gioia e la meraviglia di appartenere a quest’unica paternità e fraternità. (Papa Francesco, Omelia Pentecoste 2016)
Fonte: Figlie della Chiesa