“…e il naufragar m’è dolce in questo mare”
Così si conclude la famosa poesia “l’infinito” che Giacomo Leopardi scrive a 20 anni nella sua Recanati. La parola naufragio non è in sé stessa portatrice di significato positivo perché indica un evento tragico legato alle navi e alle persone che ci stanno sopra.
Leopardi seduto su un colle ha davanti a sé una siepe che non gli fa vedere tutto l’orizzonte, che rimane in parte misterioso. Questo sguardo in parte impedito lo costringe andare oltre con l’immaginazione alimentando un senso di infinito nello spazio e nel tempo. Tutto questo gli crea in parte paura, ma nello stesso tempo anche una sensazione profonda di dolcezza. L’incertezza della vita è paura e gioia insieme… per questo alla fine conclude dicendo che è dolce naufragare in questo mare di infinito.
Nel Vangelo la barca con i discepoli in navigazione in un mare agitato dalle onde e con il vento contrario bene rappresenta la comunità cristiana che fatica a navigare nella storia. L’approdo all’altra riva del lago, che non è così scontato per l’incertezza della navigazione, è simbolo della realizzazione di tutto quello che nella Chiesa si mette in atto per vivere il Vangelo, per testimoniarlo e trasmetterlo. E la paura e lo smarrimento sono sempre tanti nella Chiesa in tempi agitati come il nostro e quando anche dentro la Chiesa stessa noi stessi diventiamo duri di cuore e siamo come il vento contrario.
Pietro che vorrebbe camminare sulle acque e si sente capace di farlo senza l’aiuto di nessuno, alla fine naufraga, appesantito dalle sue paure e dalle sue incertezze. In Pietro che naufraga e rischia di annegare, siamo rappresentati tutti noi, sia come cristiani che come esseri umani. Le nostre incoerenze nel vivere il Vangelo, la nostra fede superficiale, le nostre durezze umane alla fine ci tirano verso il basso e fanno prevalere le onde contrarie della vita.
Ma nel racconto l’evangelista Matteo dà più risalto alla figura di Gesù che invece è capace di camminare sulle acque, è capace di essere più forte delle paure, più forte di ogni opposizione al Vangelo: lui ci cammina sicuro sopra e non affonda. Non c’è mare agitato o vento contrario che possano fermare Gesù perché arrivi a tenderci la mano e salvarci da ogni naufragio e permetterci di realizzare il suo messaggio e portarci all’altra riva. Ci chiede solo si fidarci di lui, di guardare oltre gli ostacoli della vita e del cuore, di immaginare insieme a lui un infinito mondo dove regna l’amore di Dio.
Per gli apostoli e Pietro il futuro con Gesù e come comunità è pieno di incognite e non tutto è chiaro oltre la siepe del presente. La tentazione è quella di chiudersi e non accettare il rischio del cammino sulle acque agitate della nostra storia. Si rischia sempre di naufragare, ma la mano tesa di Gesù è subito pronta ad afferrarci.
Questa mano tesa la troviamo nelle pagine del Vangelo da meditare, nella preghiera che facciamo insieme ogni domenica e ogni volta che ci raduniamo. Gesù ascolta il nostro grido di aiuto (“Signore, salvami”) e ci tende la mano attraverso le persone che abbiamo vicino, basta solo avere un po’ più di fiducia e non disperare anche quando l’acqua sale.
Penso che l’esperienza di Pietro alla fine sia stata bella perché ha sperimentato il suo limite e le sue paure insieme con il fatto di essere salvato. Lui che era stato chiamato a diventare pescatore di uomini, viene pescato a sua volta perché non affoghi e da questa salvezza impari come fare…
Il suo naufragare è stato quindi dolce, perché ha sperimentato l’infinito amore di Gesù che è sempre presente e gli insegna a fare altrettanto…
Fonte: il blog di don Giovanni Berti (“in arte don Gioba”)