Commento al Vangelo del 8 Novembre 2020 – P. Antonio Giordano, IMC

Mentre l’anno liturgico si avvicina alla conclusione, la parola del Signore vuole ridestare la nostra vigile speranza.

La fine della nostra vita terrena (la morte) è un avvenimento che accadrà sicuramente, anche se non sappiamo quando. Un avvenimento che riguarda tutti e ciascuno personalmente. Un avvenimento a cui bisogna prepararsi con cura e senso di responsabilità.

Lo proclamiamo nel Credo: “Gesù…verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine”.

E dichiariamo anche di desiderarlo e di attenderlo: “Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”.

San Paolo lo descrive: il Signore verrà, noi gli andremo incontro e saremo sempre con Lui, partecipi del suo destino glorioso. Sarà un evento sommamente lieto, la cui attesa riempie l’animo di consolazione e di gioia (1Ts 4,13-18: II lettura).

La Tradizione ha ravvisato nelle lampade il simbolo della fede e nell’olio il simbolo della carità.

Dunque le vergini stolte avevano la fede (le lampade), ma non la carità (l’olio) e per questo non furono ammesse al banchetto. È quanto afferma anche S. Giacomo nella sua lettera: «Che giova […] se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? […] la fede se non ha le opere, è morta in se stessa» (Gc 2,14.17). Dunque, come la lampada senza l’olio è spenta, così la fede senza la carità è morta.

Va notato, inoltre, che l’epilogo della parabola, con le vergini stolte che rimangono infelicemente fuori del banchetto, non si riferisce alla Vita eterna, ma agli ultimi istanti della vita terrena, quando, in attesa della venuta del Signore, si vorrebbe recuperare il tempo sciupato nel corso della vita e non è più possibile!

In tale situazione, occorre lasciarsi guidare dalla “sapienza“, “saggezza” che è la capacità di discernere ciò che è bene e ciò che è male, ciò che conduce alla felicità o invece alla rovina, e agire di conseguenza.

L’importante non è sapere tante cose, ma saper vivere e saper morire… (Sap 6,12-16: I lettura). È la ricerca amante e instancabile di Dio (cfr. Sal 23, salmo responsoriale). Gesù nella parabola ci parla appunto di “vergini sagge” e di “vergini stolte”.

Perché non viviamo ogni giorno come se fosse l’ultimo della nostra vita?

Non è del tutto una finzione, perché, dato che quel momento ci sarà, poco importa se avverrà oggi o fra molti anni. Se cominciamo ad agire così, un cambiamento si verificherà dentro di noi: molte cose perderanno valore, molte altre ne acquisteranno. Soprattutto, ci troveremo sempre più liberi da tante possibili illusioni e vivremo più pienamente.

Ascoltiamo, dunque, il richiamo di questa provvida Madre Chiesa, così ben espresso da uno dei suoi figli più illustri, Sant’Agostino:

«Veglia con il cuore, veglia con la fede, con la carità, con le opere […]; prepara le lampade, bada che non si spengano […]; alimentale con l’olio interiore di una retta coscienza; rimani unito allo Sposo con l’amore, perché egli ti introduca nella sala del banchetto, dove la tua lampada non si spegnerà mai».

Scrive S. Padre Pio nel 1918 nel suo diario:

«La presente vita non ci è data se non per acquistare l’eterna. Se fondiamo i nostri affetti in quello che appartiene a questo mondo, nel quale andiamo passando, quando bisogna lasciarlo ci spaventiamo e ci turbiamo. Credetemi […], per vivere contenti nel pellegrinaggio, bisogna aver davanti agli occhi l’arrivo alla nostra patria, dove eternamente ci fermeremo» (Epistolario III, pp. 725-726).

Potremmo riscrivere oggi la parabola così:

  • il Regno è simile a tanti cristiani che hanno a disposizione il Vangelo.
  • Ma una parte di loro sono stolti: si accontentano del nome cristiano, del Battesimo ricevuto, di qualche Messa….
  • Altri sono saggi: il Vangelo lo considerano un tesoro inestimabile e quindi lo ascoltano e lo vivono.

Per gentile concessione del sito consolata.org

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