Terza domenica di Quaresima, anno di Marco
Es 20,1-17/ 1Cor 1,22-25/ Gv 2,13-25
In cammino
È un tempo che ci è donato per tornare all’essenziale. O, per molti, per quasi tutti, per scoprire per la prima volta che esiste un “essenziale”. E per lasciare tempo alla nostra anima di raggiungerci.
O per scoprire di avere un’anima. E occuparcene.
Per non lasciarci travolgere dalla paura e chiudere il mondo brutto, sporco e cattivo fuori dai nostri fragili ma rassicuranti universi.
Esiste un Tabor alla fine di questo percorso.
Esiste un Tabor alla fine di ogni vita, per meschina che sia.
La Parola, l’unica autorevole in mezzo alla chiacchiere, ci indica una strada un percorso, un’indicazione per giungere al Tabor.
Per vedere la bellezza di Dio. Un’indicazione precisa. Anzi, tre.
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Le parole
No, non sono “comandamenti” ma “parole”.
E non sono affatto una sorta di indicazione morale, un codice regale, come quello conosciuto di Hammurabi, perché non prevedono alcuna sanzione. Che legge è una legge senza sanzione per il trasgressore?
E chi le propone non è un sovrano illuminato e saggio, ma un Dio liberatore, uno che si è sporcato le mani fino ai gomiti per liberare l’uomo, per condurlo alla libertà interiore vera ed assoluta, e ci tiene a sottolinearlo.
E le proposte che egli fa sono declinate al futuro, sempre.
Nessun imperativo categorico sulle labbra di Dio ma il sogno di un mondo – e di un’umanità – diversi, nuovi, quelli che egli aveva sognato quando ci ha plasmati dal nulla.
Dieci parole raccontate da chi ci ha fatto, da chi ci ha creato, da chi, solo, sa come funzioniamo. Dieci parole che pesano e che indicano, che svelano e promettono benedizione.
Non rispettiamo quelle indicazioni sperando di ottenere un premio alla fine della nostra vita ma per vivere come “premio” il fatto di esistere.
Indicazione cordiali di un Dio che ci ama. E che Gesù, rivelatore del Padre, ancora riassume, sintetizza, snellisce. Fino a distillarle in un’unica indicazione: ama.
Ama dell’amore con cui sei amato.
La croce
La quaresima ci condurrà al Tabor, alla resurrezione di Cristo, al trionfo della luce.
Ma passando attraverso il Golgota.
A volte vorremmo (vorrei) glissare su questo aspetto, evitare quell’ostacolo e parlare solo di croci gloriose e gemmate. Invece la croce di Cristo, quella sanguinante e greve, inaccettabile e orrida, diventa la misura dell’amore di Dio.
Alcuni folli che non conosco il Corano e uccidono in nome dell’Islam definiscono noi occidentali “crociati”.
Fosse vero!
Fossimo davvero segnati dalla croce! La facessimo pendere sulle nostre scelte invece che dai nostri colli! Mettessimo la logica del dono al centro della nostra vita!
Nella comunità di Corinto, ci sono persone che vivono in maniera esaltata la nuova fede, piena di carismi e di manifestazioni dello Spirito, e che quasi scordano la croce, argomento imbarazzante.
Come biasimarli? Quel Dio appeso non ci mette forse in imbarazzo? Lo vogliamo davvero un Dio perdente, sconfitto, ucciso?
La croce è il nuovo punto di riferimento della fede del discepolo e Paolo ammonisce severamente la comunità. E noi.
Solo una vita donata è una vita che vale la pena di essere vissuta.
Dal rito al culto
Tutti gli evangelisti parlano del gesto un po’ folle di Gesù, quello scatto d’ira passato alla storia e che tanto imbarazzo ha suscitato nei pii commentatori che volevano consegnarci un Gesù melenso ed esangue.
Macché. Si lascia prendere dall’ira il Maestro, perché lo pungono sul vivo, perché stravolgono il volto di Dio.
Il rinato tempio di Gerusalemme radunava fino a duecentomila persone in occasione della Pasqua. Un grande evento di fede, certo, ma anche un grande business. Al punto che i sacerdoti del tempio allestivano, tre settimane prima dell’evento, un vero e proprio mercato sotto i portici. Gesù caccia i venditori, ribalta i banchi dei cambiavalute.
Non si compra Dio, non si mercanteggia con lui. Non si offrono ceri e messe, statue e voti di preghiere per ottenere qualcosa in cambio. È a un Padre che ci rivolgiamo, non ad un potente da blandire e corrompere.
È il corpo di Cristo risorto il nuovo tempio: non ci servono più luoghi sacri da quando il velo del tempio è strappato.
E se ci raduniamo, come Chiesa, in una chiesa, è solo per attingere forza e condividere la presenza di Dio nei sacramenti. E ricordarci che il rischio di diventare mercanti con Dio esiste ancora oggi.
La Parola, l’amore, la croce come dono, l’autenticità del culto, non del rito, ci portano alla conoscenza.
Buon cammino
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