ANCHE DIO SI MERAVIGLIA
Gesù torna a casa (Mc 6,1). Il suo era un ministero costantemente itinerante. Cafarnao, Betsaida, Corazin, Gerico, Gadara, Tiro, Sidone ecc.ecc. Il Signore era predicatore instancabile: percorreva i villaggi d’intorno insegnando (Mc 6,6), cioè oggi diremmo che predicava a partire dalle periferie della vita di Israele. E’ bello pensare Gesù che ogni tanto torna a casa. E’ molto umano. Chi di noi non sente il bisogno ogni tanto di tornare in luoghi divenuti familiari? Anche nella sua Nazareth Gesù predicava. Ma il vangelo di oggi ci ricorda che tra i suoi concittadini non avveniva quello che invece succedeva altrove. E questo diede occasione al Signore Gesù di formulare la celebre legge dello spirito che riguarda tutti gli autentici profeti (Mc 6,4). Perché deve accadere questo ai profeti? Perché è toccata questa sorte anche a Colui che è più di un profeta?
Anche la prima lettura tratta dal libro di Ezechiele ci narra della sua vocazione segnata dal rifiuto. Anzi, il profeta si rende conto che Dio lo chiama subito a partecipare del suo stesso rifiuto: figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele, a una razza di ribelli che si sono rivoltati contro di me (Ez 2,3). Come dire: il vero profeta sa che essere chiamato da Dio significa portare e sentire su di sé il rifiuto di Dio da parte degli uomini, fino alla disponibilità di diventare se stessi un rifiuto. Un mistero che non avrà mai una spiegazione logica. Osserviamo l’atteggiamento dei cittadini di Nazareth davanti al Maestro che predica, e cerchiamo almeno di cogliere qualcosa di questo mistero. Il testo ci dice che molti sono colti da stupore. Essi si rendono conto che davanti a loro c’è qualcosa di assolutamente nuovo (Mc 6,2). Eppure quell’iniziale sentimento di meraviglia non sfocia nell’apertura del cuore e della mente, bensì in un confronto reciproco dentro cui la presunta conoscenza che hanno di Gesù fa problema con la novità delle sue parole e delle sue azioni. Il testo conclude lapidariamente: ed era per loro motivo di scandalo (Mc 6,3).
Gesù è chiamato per la prima volta nel vangelo di Marco il falegname. Questa parola usata dai suoi concittadini esprime molto di più del suo semplice significato. In Israele quasi tutti possedevano della terra. Chi l’aveva persa, per sopravvivere faceva lavori modesti. Tra questi, il creare manufatti o riparare piccole cose in legno: un lavoro artigianale che non era considerato affare proficuo o di prestigio, ma piuttosto da diseredati. Se facessimo una operazione di attualizzazione, quale lavoro odierno potrebbe compararsi a quello che Gesù imparò da Giuseppe? Quale lavoro oggi tutti considerano “da diseredati”? Pensateci bene, e se per caso la vostra fantasia ne ha trovato uno, state attenti, quello è il lavoro che Dio oggi sceglierebbe!
Non è costui il falegname? Questa parola ci dice anche cosa furono i suoi poco più di trent’anni a Nazareth. Un’esistenza assolutamente anonima come uomo, impegnato in un lavoro povero e irrilevante, al punto che per gli abitanti di quella città non è possibile che le due realtà si possano congiungere nella persona di Gesù: “come può proferire tale sapienza e compiere tali prodigi un semplicissimo uomo che lavora con il legname? Ma non lo abbiamo mai visto girare con i “rabbi” riconosciuti dal popolo e dalle sinagoghe! Come è possibile? E poi sappiamo benissimo da quale famiglia proviene, sappiamo chi sono i suoi parenti, sappiamo…” Ed ecco che la loro meraviglia iniziale, quella spinta interiore suscitata da una sorprendente novità che potrebbe aprire la mente e il cuore alla luce della fede, s’arresta davanti alle sembianze troppo comuni di Gesù, ed essi finiscono col chiudersi nella loro anima. La fede suscita accoglienza, ma anche scandalo e rifiuto. S.Paolo, nell’affrettarsi a chiarire agli abitanti di Corinto il contenuto della fede, mette in evidenza il suo contenitore e richiama le conseguenze del suo annuncio: e mentre i Giudei cercano i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo Crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani (1Cor 1,24).
So che potrei risultare ripetitivo, ma come non richiamare in proposito la persona e il ministero di papa Francesco per riconoscere questa pagina di vangelo nella vita odierna? Non mi viene un esempio più chiaro. L’uomo Jorge Mario Bergoglio come papa ha sorpreso tutti sin dal suo affacciarsi sul balcone di piazza S.Pietro per salutare il popolo di Dio che lo acclamava. Da quel giorno in poi, i suoi gesti, le sue scelte, le sue parole e i suoi silenzi, il delicato esercizio del suo servizio pontificio, da un lato sono accolti con gioia e gratitudine da una gran parte della chiesa (ma anche fuori di essa) che glorifica Dio per i segni che ci lascia; da un altro lato invece, vediamo una chiesa che non solo è letteralmente scandalizzata per quello che dice e che fa, ma lo ostacola in tutti i modi quando non lo deride apertamente, osteggiandolo con tutti gli argomenti possibili. Questo papa sarebbe troppo accogliente e misericordioso, troppo semplice e teologicamente poco preparato, nonché responsabile della perdita di autorità e serietà del papato; e a nulla sono valsi i richiami del papa emerito tanto rimpianto, sceso a difendere apertamente cultura e solidità/ortodossia dell’impianto teologico di Bergoglio.
Il vangelo di oggi sottolinea che a Nazareth Gesù non poté operare un granché (Mc 6,5). Alla luce del capitolo precedente che abbiamo meditato nel vangelo di domenica scorsa, si comprende facilmente perché. A Dio non piace operare senza la fede dell’uomo. La fede come fiducia in Lui, è ciò che gli permette di essere quello che è: Dio. Ma quando in qualche modo l’uomo si mette davanti a Lui come un dio che sa tutto, allora il Signore, nella sua maestosa umiltà, rispetta la sua libertà, sempre! Eppure i 2 protagonisti di domenica scorsa, cioè “il padre della fanciulla e la donna malata, non sono discepoli di Gesù, ma vengono esauditi per la loro fede. Hanno fede in quell’uomo. Da questo comprendiamo che sulla strada del Signore sono ammessi tutti: nessuno deve sentirsi un intruso, un abusivo o un non avente diritto. Per avere accesso al suo cuore, al cuore di Gesù, c’è un solo requisito: sentirsi bisognosi di guarigione e affidarsi a Lui” (Papa Francesco, Angelus del 02.07.2018). Una cosa è certa. E si meravigliava della loro incredulità (Mc 6,6). E’ una cosa che mi fa sempre pensare tanto: è così incredibile l’incredulità dei suoi concittadini, che Gesù stesso ne rimane stupefatto. Anche Dio, fattosi carne in Gesù, si chiede come sia possibile preferire di non credere. Una meraviglia ben diversa da quella che lo colse udendo il grido del cieco ai bordi delle strade di Gerico, ascoltando la proposta del centurione romano che aveva il servo gravemente ammalato, o contemplando i gesti della peccatrice accovacciata ai suoi piedi, oppure rimanendo esterrefatto davanti all’indomita fede della donna siro-fenicia. Una meraviglia che lo condurrà fino alla Croce, nell’estremo tentativo di portare nuovamente il cuore umano a non rifiutarlo e ad aprirsi alla meraviglia dell’incontro con il Dio vero!