Commento al Vangelo del 8 Dicembre 2019 – Figlie della Chiesa

Nella consueta strutturazione dell’Avvento, la solennità dell’Immacolata Concezione della Vergine Maria si colloca a metà del cammino che prepara al Natale, per farci sollevare lo sguardo verso il cuore misericordioso del Padre che in Maria ci mostra il progetto che vuole compiere nella vita di ogni battezzato.

Quest’anno la celebrazione di tale dogma cade nella seconda domenica di Avvento, per cui al forte richiamo alla conversione del precursore, Giovanni Battista, si sostituisce l’umile assenso della giovane di Nazaret, l’ingiunzione di pentimento cede il passo all’eccomi generoso, disponibile, totale!

La solennità odierna è il ritratto più bello e più vero della Vergine Maria: ella è la prescelta da Dio, ma non perché lo meriti, bensì per pura azione gratuita di Dio e questo la rende incredibilmente vicina a noi! È lei stessa ad esprimere tale verità nell’esplosione di gioia del Magnificat: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva” (Lc 1,46-48a).

Se dunque Maria è preservata dal peccato originale per un dono specialissimo di Dio, così come ogni battezzato è liberato dal peccato originale con il sacramento del battesimo, dove sta la grandezza della Vergine di Nazaret? La liturgia della Parola ce ne delinea il cammino e ci mostra come la straordinarietà sia da ricercarsi nella linea della fede: Maria è la prima dei credenti ed è la sua fede che ha fatto innamorare il cuore di Dio. Il dogma che celebriamo, dunque, affonda le sue radici nelle origini della storia della salvezza, agli albori della relazione che Dio decide di instaurare con l’uomo fin dalla sua creazione. “Poi udirono il rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno”: è il versetto che troviamo subito prima della pericope liturgica che ci mostra la piena e totale comunione dell’uomo con il suo Dio. Adamo ed Eva conoscono il rumore dei passi del Signore, conoscono il Suo procedere maestoso e dolce al loro fianco: chissà quante volte avevano passeggiato con Lui nel giardino!

La descrizione di Dio che passeggia nel giardino con la sua creatura, ci fa intravedere il dono totale di sé, la Sua piena disponibilità ad introdurre l’uomo nel Suo mistero di amore, nonostante sia fatto di fango. L’apice di questa accondiscendenza di Dio è nella libertà che concede all’uomo, la libertà di sceglierlo, di accogliere il suo amore o di rifiutarlo.

v.26: “L‘angelo Gabriele fu mandato da Dio”. L’evangelista Luca ci permette di accostarci pian piano al mistero che sta cominciando a raccontare, ponendo innanzitutto chi è il protagonista di quanto sta per narrare: Dio che manda il suo angelo. L’autore di quanto sta per accadere è Dio, Sua è l’iniziativa, Sua è la responsabilità della realizzazione, Sua è la scelta di chi dovrà realizzare il suo progetto. Mi sembra importante sottolineare questo aspetto dell’iniziativa divina, in quanto essa è all’origine del piano di salvezza che ha raggiunto ogni uomo, ma è anche l’origine di ogni vocazione, che scaturisce sempre da un chinarsi di Dio sulla sua creatura, per riportarla alla bellezza della comunione con Lui. E l’angelo si chiama Gabriele, forza di Dio, rafforzando ancora di più il fatto che Dio mette in campo tutte le sue energie, tutta la sua forza per realizzare quanto ha in cuore.

“…in una città della Galilea, chiamata Nàzaret”.

Per il pio israelita questa indicazione geografica doveva risuonare proprio scandalosa. E se poniamo attenzione, in verità anche dal punto di vista umano si rivela in tutto il suo scandalo. La regione dove si dirige l’angelo è la Galilea, considerata dagli ebrei il luogo più lontano da Dio, i galilei sono maledetti e peccatori: dunque è il posto dove di certo Dio non può scegliere di andare! La stranezza si accresce quando si specifica anche la città dove si dirige l’angelo: Nazaret, per la quale lo stesso apostolo Natanaele afferma: “Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?” (Gv 1,46). Le semplici indicazioni di questo versetto ci mostrano già un mistero davvero grande: la forza di Dio si manifesta nella debolezza! Proprio dove mai avremmo immaginato, il nostro Dio si fa presente e questo avviene anche nella nostra vita e nella nostra storia.

“a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria”

Questo versetto è davvero denso di significato perché non solo ci riferisce un dato storico, indicativo per comprendere cosa significa nella vita di Maria l’annuncio che riceve, ma anche ci fornisce un’indicazione spirituale molto forte, permettendoci di comprendere come Dio agisce.

Dal punto di vista storico, l’evangelista Luca ci dà alcune notizie circa la condizione di Maria, che è vergine, il nome del fidanzato: Giuseppe, e la sottolineatura che è di un casato molto rilevante per i giudei. La specificazione, vista precedentemente, riguardo alla città in cui queste persone vivono, diventa propizia per chiarire quanto la proposta dell’angelo sia drammatica per Maria. Nel libro del Deuteronomio la Torah da indicazioni precise di comportamento da assumere nei casi in cui si verifichino delle situazioni sconcertanti relative ad una vergine fidanzata o promessa sposa a un uomo: «Quando una fanciulla vergine è fidanzata e un uomo, trovandola in città, giace con lei, condurrete tutti e due alla porta di quella città e li lapiderete a morte: la fanciulla, perché, essendo in città, non ha gridato, e l’uomo perché ha disonorato la donna del suo prossimo. Così estirperai il male in mezzo a te» (Dt 22,23ss). Si comprende bene allora che la posizione in cui viene a trovarsi la giovane vergine, accettando la proposta dell’angelo, è di grave pericolo anche per la sua vita.

Il fatto poi che l’angelo sia inviato proprio ad una vergine fa risaltare ancora una volta e con forza il contrasto tra il pensiero degli uomini e l’agire di Dio. La vergine, infatti, nella mentalità ebraica, era considerata “meno donna di tutte le altre” (cf I. Gargano, Lectio divina sul vangelo di Luca), perché non era madre. Dio sceglie ciò che noi non avremmo mai scelto, perché Egli da sempre si è innamorato della fragilità e non della forza, dell’umiltà e non della potenza. La scelta di una vergine è nella linea della stoltezza per gli uomini, che è sapienza e potenza di Dio. (cf 1Cor 1,26-30).

v.28: Il termine usato in questo versetto è Kecharitoméne, che Luca fa precedere dal saluto Chaire ed è davvero importante soffermarci su questo saluto perché contiene il fondamento evangelico del dogma che stiamo considerando. «Secondo gli esegeti questo kecharitoméne indica la bellezza esplosiva e accattivante di una ragazza. Dunque si potrebbe interpretare così: non è in questo momento che tu raggiungi questa esplosione di bellezza che ti rende graziosa agli occhi di Dio, ma tu sei diventata bella fin dall’inizio della tua esistenza, al punto che adesso prosegui ad essere ciò che eri già fino dal principio» (I. Gargano, Lectio divina sul vangelo di Luca). La forma del verbo, nella versione greca, ci consente di affermare che siamo di fronte ad un passivo divino e dunque è Dio che ha reso fin dal principio Maria graziosa ai suoi occhi. L’ affermazione dell’angelo ci permette di dire che Maria è già stata immersa nel sangue prezioso del Figlio suo, per un dono specialissimo del Padre e in vista della nascita del bambino Gesù.

Quello che l’evangelista descrive non è altro che la verbalizzazione di quanto per Maria è avvenuto nel grembo materno e che per noi si realizza con il sacramento del battesimo. Come per Maria, anche in noi con il battesimo entra potentemente la forza di Dio e ci rende kecharitoméne, pieni di quella grazia che ci riporta all’originaria bellezza. Anche per noi è risuonato quel “Chaire kecharitoméne”, “gioisci, ricolma di grazia”, che ci ha ridonato di nuovo il vero volto di Dio come Padre e il nostro di figli.

v.29-33: Inizia, con questo versetto, il travaglio della Vergine che si pone davanti al suo Signore con timore, ma facendo entrare nel dialogo tutta la sua intelligenza, tutta la sua volontà, tutto il suo cuore. È il suo stare in dialogo davanti a Dio che diventa modello e icona del cammino di ciascun cristiano.

Il turbamento non è terrore per la presenza di una creatura di cui ne capisce la soprannaturalità, ma è trovarsi di fronte ad un modo di agire completamente nuovo e che mai si sarebbe aspettata. Credo che se anche Maria, come tante donne del suo tempo, desiderasse diventare madre del messia tanto atteso, tuttavia la scelta di ciò che è stolto, secondo quanto abbiamo considerato precedentemente, le crea scompiglio nel modo di pensare un intervento di Dio. In questo turbamento che si pone l’interrogativo sul senso, ha inizio il cammino di dialogo franco e veritiero che costituisce un vero è proprio discernimento che fa Maria a colloquio con l’angelo.

Attraverso le parole dell’angelo, la vergine comprende che cosa Dio le chiede: concepire un figlio, darlo alla luce e chiamarlo Gesù; accoglie i segni della realizzazione di quanto le viene prospettato nell’evidente miracolo del concepimento di Elisabetta e finalmente pronuncia il suo fiat.

Risalta allora luminoso il grande dono che è nelle mani di ogni battezzato: l’esempio di una creatura, in tutto simile a noi, che in dialogo con il suo Signore supera il turbamento e si getta tra le sue braccia senza temere più nemmeno per la sua vita. Maria è il grandioso modello di fede che nell’infinita provvidenza di Dio ci è stato regalato come dono più prezioso.

v.38: «Hai udito, Vergine, che concepirai e partorirai un figlio; hai udito che questo avverrà non per opera di un uomo, ma per opera dello Spirito santo. L’angelo aspetta la risposta; deve fare ritorno a Dio che l’ha inviato. Aspettiamo, o Signora, una parola di compassione anche noi, noi oppressi miseramente da una sentenza di dannazione. Ecco che ti viene offerto il prezzo della nostra salvezza: se tu acconsenti, saremo subito liberati» (s. Bernardo di Chiaravalle). Tutti sono stati con il fiato sospeso attendendo il fiat di Maria, ci dice s. Bernardo, proprio perché non era né scontata né automatica una risposta affermativa. Abbiamo ribadito tante volte che Maria non è messa in una posizione di privilegio, ma proprio qui sta la sua grandezza: ella risponde al suo Dio con tutto l’assenso del suo cuore e Dio finalmente sente corrisposto il Suo amore dalla nuova Eva.

Appendice

Maria prefigura la Chiesa

Così l’Evangelista, il quale aveva assunto l’impegno di provare l’immacolato mistero dell’Incarnazione, credette bene di non cercare ulteriori testimonianze sulla verginità di Maria, per non sembrare piuttosto il difensore della Vergine che il banditore del mistero. Sicuramente, affermando che Giuseppe era un giusto, spiegò a sufficienza che egli non avrebbe potuto contaminare il tempio dello Spirito Santo, la madre del Signore, il grembo fecondato dal mistero.

Abbiamo compreso la successione reale degli avvenimenti e compreso il piano divino: cerchiamo ora di comprendere il mistero. Ben a ragione Maria è sposa ma vergine, perché essa è l’immagine della Chiesa, che è senza macchia, ma anche sposa. Ci ha concepiti verginalmente nello Spirito, e verginalmente ci dà alla luce senza un lamento. Anche per questo, forse, Maria Santissima a uno è sposa, ma è resa feconda da un Altro, perché anche le singole Chiese sono bensì fecondate dallo Spirito e dalla grazia, tuttavia sono legate visibilmente al vescovo, che temporaneamente le governa. (Ambrogio, Esposizione del Vangelo secondo Luca 2,6-7)

La morte attraverso una donna, la vita attraverso un’altra

Certo è stato conveniente inizio della salvezza dell’uomo il fatto che un angelo sia stato mandato da Dio a una vergine per consacrarla con parto divino, dato che la prima causa della rovina dell’uomo era stato l’invio del serpente da parte del diavolo, per ingannare la donna con spirito di superbia. Anzi, sotto forma di serpente venne proprio il diavolo, per ingannare i progenitori e privare così il genere umano della gloria dell’immortalità. Poiché dunque la morte entrò per mezzo di una donna, è giusto che anche la vita ritorni per mezzo di una donna. Quella, ingannata dal diavolo per mezzo del serpente, offrì all’uomo il sapore della morte. Questa, sedotta da Dio per mezzo dell’angelo, ha generato al mondo l’autore della salvezza. (Beda, Omelie sul Vangelo1,3)

Quando leggiamo che il messaggero dice a Maria «piena di grazia», il contesto evangelico, in cui con fluiscono rivelazioni e promesse antiche, ci lascia capire che qui si tratta di una benedizione singolare tra tutte le «benedizioni spirituali in Cristo». Nel mistero di Cristo ella è presente già «prima della creazione del mondo», come colei che il Padre «ha scelto» come Madre del suo Figlio nell’incarnazione–ed insieme al Padre l’ha scelta il Figlio, affidandola eternamente allo Spirito di santità. Maria è in modo del tutto speciale ed eccezionale unita a Cristo, e parimenti è amata in questo Figlio diletto eternamente, in questo Figlio consostanziale al Padre, nel quale si concentra tutta «la gloria della grazia». Nello stesso tempo, ella è e rimane aperta perfettamente verso questo «dono dall’alto» (Gc 1,17). Come insegna il Concilio, Maria «primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza».22

Se il saluto e il nome «piena di grazia» dicono tutto questo, nel contesto dell’annunciazione dell’angelo essi si riferiscono, prima di tutto, all’elezione di Maria come Madre del Figlio di Dio. Ma, nello stesso tempo, la pienezza di grazia indica tutta l’elargizione soprannaturale, di cui Maria beneficia in relazione al fatto che è stata scelta e destinata ad essere Madre di Cristo. Se questa elezione è fondamentale per il compimento dei disegni salvifici di Dio nei riguardi dell’umanità; se la scelta eterna in Cristo e la destinazione alla dignità di figli adottivi riguardano tutti gli uomini, l’elezione di Maria è del tutto eccezionale ed unica. Di qui anche la singolarità e unicità del suo posto nel mistero di Cristo.

Il messaggero divino le dice: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Egli sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo» (Lc 1,30). E quando, turbata da questo saluto straordinario, la Vergine domanda: «Come avverrà questo? Non conosco uomo», riceve dall’angelo la conferma e la spiegazione delle precedenti parole. Gabriele le dice: «Lo Spirito Santo scenderà su di te; su di te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo.

Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,35). L’annunciazione, pertanto, è la rivelazione del mistero dell’incarnazione all’inizio stesso del suo compimento sulla terra. La donazione salvifica che Dio fa di sé e della sua vita in qualche modo a tutta la creazione, e direttamente all’uomo, raggiunge nel mistero dell’incarnazione uno dei vertici Questo, infatti, è un vertice tra tutte le donazioni di grazia nella storia dell’uomo e del cosmo. Maria è «piena di grazia», perché l’incarnazione del Verbo, l’unione ipostatica del Figlio di Dio con la natura umana, si realizza e compie proprio in lei.

Come afferma il Concilio, Maria è «Madre del Figlio di Dio, e perciò figlia prediletta del Padre e tempio dello Spirito Santo; per tale dono di grazia esimia precede di gran lunga tutte le altre creature, celesti e terrestri».

La Lettera agli Efesini parlando della «gloria della grazia» che «Dio, Padre ci ha dato nel suo Figlio diletto», aggiunge: «In lui abbiamo la redenzione mediante il suo sangue» (Ef 1,7). Secondo la dottrina, formulata in solenni documenti della Chiesa, questa «gloria della grazia» si è manifestata nella Madre di Dio per il fatto che ella è stata «redenta in modo più sublime».24 In virtù della ricchezza della grazia del Figlio diletto, a motivo dei meriti redentivi di colui che doveva diventare suo Figlio, Maria è stata preservata dal retaggio del peccato originale.25 In questo modo sin dal primo istante del suo concepimento, cioè della sua esistenza, ella appartiene a Cristo, partecipa della grazia salvifica e santificante e di quell’amore che ha il suo inizio nel «Diletto», nel Figlio dell’eterno Padre, che mediante l’incarnazione è divenuto il suo proprio Figlio. Perciò, per opera dello Spirito Santo, nell’ordine della grazia, cioè della partecipazione alla natura divina, Maria riceve la vita da colui al quale ella stessa, nell’ordine della generazione terrena, diede la vita come madre. La liturgia non esita a chiamarla «genitrice del suo Genitore»26 e a salutarla con le parole che Dante Alighieri pone in bocca a san Bernardo: «figlia del tuo Figlio».27 E poiché questa «vita nuova» Maria la riceve in una pienezza corrispondente all’amore del Figlio verso la Madre, e dunque alla dignità della maternità divina, l’angelo all’annunciazione la chiama «piena di grazia».

Nel disegno salvifico della Santissima Trinità il mistero dell’incarnazione costituisce il compimento sovrabbondante della promessa fatta da Dio agli uomini, dopo il peccato originale, dopo quel primo peccato i cui effetti gravano su tutta la storia dell’uomo sulla terra (Gn 3,15). Ecco, viene al mondo un Figlio, la «stirpe della donna», che sconfiggerà il male del peccato alle sue stesse radici: «Schiaccerà la testa del serpente». Come risulta dalle parole del protoevangelo, la vittoria del Figlio della donna non avverrà senza una dura lotta, che deve attraversare tutta la storia umana. «L’inimicizia», annunciata all’inizio, viene confermata nell’Apocalisse, il libro delle realtà ultime della Chiesa e del mondo, dove torna di nuovo il segno della «donna», questa volta «vestita di sole» (Ap 12,1). Maria, Madre del Verbo incarnato, viene collocata al centro stesso di quella inimicizia, di quella lotta che accompagna la storia dell’umanità sulla terra e la storia stessa della salvezza. In questo posto ella, che appartiene agli «umili e poveri del Signore», porta in sé, come nessun altro tra gli esseri umani, quella «gloria della grazia» che il Padre «ci ha dato nel suo Figlio diletto», e questa grazia determina la straordinaria grandezza e bellezza di tutto il suo essere. Maria rimane così davanti a Dio, ed anche davanti a tutta l’umanità, come il segno immutabile ed inviolabile dell’elezione da parte di Dio, di cui parla la Lettera paolina: «In Cristo ci ha scelti prima della creazione del mondo, … predestinandoci a essere suoi figli adottivi» (Ef 1,4).

Questa elezione è più potente di ogni esperienza del male e del peccato, di tutta quella «inimicizia», da cui è segnata la storia dell’uomo. In questa storia Maria rimane un segno di sicura speranza.

(Papa Giovanni Paolo II, Santo, dalla Redemptoris Mater)

Cielo, stelle, terra, fiumi, giorno, notte e tutte le creature che sono sottoposte al potere dell’uomo o disposte per la sua utilità si rallegrano, o Signora, di essere stati per mezzo tuo in certo modo risuscitati allo splendore che avevano perduto, e di avere ricevuto una grazia nuova inesprimibile. Erano tutte come morte le cose, poiché avevano perduto la dignità originale alla quale erano state destinate. Loro fine era di servire al dominio o alle necessità delle creature cui spetta di elevare la lode a Dio. Erano schiacciate dall’oppressione e avevano perso vivezza per l’abuso di coloro che s’erano fatti servi degli idoli. Ma agli idoli non erano destinate. Ora invece, quasi risuscitate, si rallegrano di essere rette dal dominio e abbellire dall’uso degli uomini che lodano Dio. Hanno esultato come di una nuova e inestimabile grazia sentendo che Dio stesso, lo stesso loro Creatore non solo invisibilmente le regge dall’alto, ma anche, presente visibilmente tra di loro, le santifica servendosi di esse. Questi beni così grandi sono venuti frutto benedetto del grembo benedetto di Maria benedetta.

Per la pienezza della tua grazia anche le creature che erano negl’inferi si rallegrano nella gioia di essere liberate, e quelle che sono sulla terra gioiscono di essere rinnovate. Invero per il medesimo glorioso figlio della tua gloriosa verginità, esultano, liberati dalla loro prigionia, tutti i giusti che sono morti prima della sua morte vivificatrice, e gli angeli si rallegrano perché è rifatta nuova la loro città diroccata.

O donna piena e sovrabbondante di grazia, ogni creatura rinverdisce, inondata dal traboccare della tua pienezza. O vergine benedetta e più che benedetta, per la cui benedizione ogni creatura è benedetta dal suo Creatore, e il Creatore è benedetto da ogni creatura.

A Maria Dio diede il Figlio suo unico che aveva generato dal suo seno uguale a se stesso e che amava come se stesso, e da Maria plasmò il Figlio, non un altro, ma il medesimo, in modo che secondo la natura fosse l’unico e medesimo figlio comune di Dio e di Maria. Dio creò ogni creatura, e Maria generò Dio: Dio, che aveva creato ogni cosa, si fece lui stesso creatura di Maria, e ha ricreato così tutto quello che aveva creato. E mentre aveva potuto creare tutte le cose dal nulla, dopo la loro rovina non volle restaurarle senza Maria.

Dio dunque è il padre delle cose create, Maria la madre delle cose ricreate. Dio è padre della fondazione del mondo, Maria la madre della sua riparazione, poiché Dio ha generato colui per mezzo del quale tutto è stato fatto, e Maria ha partorito colui per opera del quale tutte le cose sono state salvate. Dio ha generato colui senza del quale niente assolutamente è, e Maria ha partorito colui senza del quale niente è bene.

Davvero con te è il signore che volle che tutte le creature, e lui stesso insieme, dovessero tanto a te. (Dai «Discorsi» di sant’Anselmo, vescovo)

Hai udito, Vergine, che concepirai e partorirai un figlio; hai udito che questo avverrà non per opera di un uomo, ma per opera dello Spirito santo. L’angelo aspetta la risposta; deve fare ritorno a Dio che l’ha inviato. Aspettiamo, o Signora, una parola di compassione anche noi, noi oppressi miseramente da una sentenza di dannazione. Ecco che ti viene offerto il prezzo della nostra salvezza: se tu acconsenti, saremo subito liberati.

Tutto il mondo è in attesa, prostrato alle tue ginocchia: dalla tua bocca dipende la consolazione dei miseri, la redenzione dei prigionieri, la liberazione dei condannati, la salvezza di tutti i figli di Adamo, di tutto il genere umano.

O Vergine, dà presto la risposta. Rispondi sollecitamente all’angelo, anzi, attraverso l’angelo, al Signore. Rispondi la tua parola e accogli la Parola divina, emetti la parola che passa e ricevi la Parola eterna. Perché tardi? perché temi? Credi all’opera del Signore, da’ il tuo assenso ad essa, accoglila. Nella tua umiltà prendi audacia, nella tua verecondia prendi coraggio. In nessun modo devi ora, nella tua semplicità verginale, dimenticare la prudenza; ma in questa sola cosa, o Vergine prudente, non devi temere la presunzione. Perché, se nel silenzio è gradita la modestia, ora è piuttosto necessaria la pietà nella parola.

Apri, Vergine beata, il cuore alla fede, le labbra all’assenso, il grembo al Creatore. Ecco che colui al quale è volto il desiderio di tutte le genti batte fuori alla porta. Non sia, che mentre tu sei titubante, egli passi oltre e tu debba, dolente, ricominciare a cercare colui che ami.

Levati su, corri, apri! Levati con la fede, corri con la devozione, apri con il tuo assenso.

“Eccomi”, dice, “sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 38).

(Dalle «Omelie sulla Madonna» di san Bernardo, abate)

[…] O Madre di Gesù,
un’ultima cosa ti chiedo, in questo tempo di Avvento,
pensando ai giorni in cui tu e Giuseppe eravate in ansia
per la nascita ormai imminente del vostro bambino,
preoccupati perché c’era il censimento e anche voi dovevate lasciare il vostro paese, Nazareth, e andare a Betlemme…
Tu sai, Madre, cosa vuol dire portare in grembo la vita
e sentire intorno l’indifferenza, il rifiuto, a volte il disprezzo.
Per questo ti chiedo di stare vicina alle famiglie che oggi
a Roma, in Italia, nel mondo intero vivono situazioni simili,
perché non siano abbandonate a sé stesse, ma tutelate nei loro diritti,
diritti umani che vengono prima di ogni pur legittima esigenza.

O Maria Immacolata,
aurora di speranza all’orizzonte dell’umanità,
veglia su questa città,
sulle case, sulle scuole, sugli uffici, sui negozi,
sulle fabbriche, sugli ospedali, sulle carceri;
in nessun luogo manchi quello che Roma ha di più prezioso,
e che conserva per il mondo intero, il testamento di Gesù:
“Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi” (cfr Gv 13,34).
Amen.

(Papa Francesco, Preghiera 8 dicembre 2018)

Fonte: Figlie della Chiesa

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