Commento al Vangelo del 8 Agosto 2021 – don Giovanni Berti (don Gioba)

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Il dolce naufragare in Dio

“La fede è un dono… che io purtroppo non ho”.

Questa è una frase che mi sento spesso dire dalle persone che incontro e con le quali parliamo di Dio e di come vivere la propria religione. Se qualcuno mi chiede se ho fede io rispondo di “si”, ma non perché sono migliore di altri e non perché penso che Dio abbia deciso di dare a me la fede mentre ad altri no. Non mi piace molto quest’idea di Dio che fa il regalo della fede solo a qualcuno mentre ad altri no.

La fede, che per me è la capacità di sentire Dio dentro la propria vita e di vedere “oltre” le cose materiali e limitate, è un dono per tutti. È un dono perché non viene dall’uomo che da solo non se lo può dare, ma è segno di una relazione d’amore tra l’immensamente grande e onnipotente (Dio) e l’immensamente piccolo e limitato (l’uomo… io e te… noi). Gesù lo dice chiaramente ai suoi ascoltatori che lo stanno contrastando: “E tutti saranno istruiti da Dio”.

Quindi Dio parla al cuore di tutti, si mostra presente in tutti e non ci sono privilegiati. Ma c’è qualcosa che “blocca” il dono e in qualche modo lo rispedisce al mittente: la durezza di cuore, il pregiudizio e … spesso la troppa religiosità superficiale. Sono i Giudei, e in particolare i capi religiosi di Israele che rifiutano Gesù con tutte i segni che fa e le parole che pronuncia. Sono questi religiosi che proprio partendo dalle loro certezze granitiche non vanno oltre la superficie di quel che vedono e si fermano al pregiudizio: “Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?”. Mormorano… e in questo mormorio di parole, pregiudizi e cattivi pensieri non riescono ad ascoltare quello che Dio dice al loro cuore. E alla fine non hanno fede in Gesù, non si fidano di lui e rimangono fuori dal suo giro.

Gesù si propone come “pane” per la pancia e che alla fine non serve se non a stare in piedi per un po’, ma si propone come “pane” che nutre mente e cuore, che nutre le relazioni che viviamo e senza le quali non possiamo vivere. Gesù propone la sua carne (cioè la sua vita, le sue parole e se stesso) come nutrimento che rende la nostra limitatissima vita, fragile e piena di buchi, eterna e ci fa sperimentare Dio.

Credere non è sapere tutto su Dio e nemmeno vivere tutti i momenti religiosi della propria comunità. Credere è fidarsi che la vita di Gesù, il suo stile d’amore per il prossimo, la sua capacità di avvicinare tutti e di donarsi, alla fine rende la nostra vita concreta piena e eterna. Se ascoltiamo il cuore, là dove Dio parla e istruisce tutti, sentiremo che nell’amore sta la vera vita. Se ascoltiamo il profondo di noi stessi e leggiamo il Vangelo non possiamo che sentire una profonda sintona con l’uomo di Nazareth, che si presentava con la concretezza e fragilità di tutti ma aveva dentro tutto Dio.

Qualche giorno fa sono stato a Recanati, la città del grande poeta Giacomo Leopardi. Ho visitato il colle dell’infinito, luogo dove compose una delle sue liriche più famose, “l’infinito”. È un luogo normalissimo come lo era allora. Oggi di diverso forse c’è qualche scritta che lo indica ai turisti ma nulla di straordinario. Eppure da quel luogo lui vede oltre e in quel “oltre” la siepe che cela l’orizzonte sente l’Eterno che gli parla, e “… il naufragar m’è dolce in questo mare”.

Non è certo facile sentire Dio nella propria vita, e si ha la tentazione di dire che il dono della fede è solo per pochi. Ma per me non è così. La fede è un pane quotidiano che è dato a tutti. Il Vangelo ci insegna proprio questo, ed è per questo che abbiamo bisogno di conoscerlo e ascoltarlo. Gesù ci insegna che basta solo guardare oltre la durezza del proprio cuore, darsi del tempo per ascoltarlo nel silenzio e aiutarsi reciprocamente a farlo, e infine scopriremo che per tutti è possibile “naufragare nel dolce mare” dell’infinito amore di Dio.

Giovanni don


Fonte: il blog di don Giovanni Berti (“in arte don Gioba”)