Commento al Vangelo del 7 Novembre 2021 – Padre Giulio Michelini

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Gli spiccioli della povera vedova

La vedova e lo scandalo di Israele

Gesù oramai è nel Tempio di Gerusalemme, dove ha luogo l’episodio che ci propone la liturgia di oggi. La tentazione è quello di leggerlo in modo “devozionale” ed encomiastico. Gesù starebbe cioè lodando una vedova, che diventa così per sempre l’esempio a non essere scarsi nel dare la nostra offerta al tesoro. Questa lettura è in parte fondata, ma da sola è semplicistica. Per capire il brano evangelico di oggi, dobbiamo risalire al suo contesto.

In Mc 12,38-Gesù rimproverava quegli scribi che si volevano mostrare migliori degli altri, ma che poi «divorano le case delle vedove». Il tono è quello dell’accusa profetica: come si vede nel percorso narrativo di Marco, Gesù non risparmia di fare critiche quando vede qualcosa che stride contro la Parola della Legge, e non sopporta l’ipocrisia.

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Ecco ora Gesù parla di una vedova che non ha più un quattrino, dopo aver dato l’ultimo al tesoro. Va da sé che le parole di Gesù («…essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere»), sono un’accusa contro coloro che, come gli scribi che divorano le case delle vedove, danneggiano le categorie più deboli di Israele (tra le quali le vedove e gli orfani, come anche gli stranieri residenti nella terra di Israele).

Le parole di Gesù a commento di quanto la vedova ha fatto non sono allora solo di lode, ma di dispiacere per quanto accade, per il fatto che una vedova ora, in Israele, non ha più nulla da mangiare. Gesù sta accusando l’establishment politico e religioso del suo tempo di non essere sensibile alla povertà diffusa. Una società e un sistema che non tengono conto di questa, verranno giudicati severamente: ecco perché, nei prossimi capitoli del vangelo di Marco Gesù parlerà non solo della fine dei tempi, ma anche della fine del Tempio, quello dove ora gli scribi e sadducei esercitano il loro potere. Chi commette peccati gravi come la disattenzione per i poveri, non può prestare un culto a Dio solo formale, perché – come già diceva il profeta Geremia – il culto esteriore, anche quello nel Tempio («Tempio del Signore, Tempio del Signore…»; Ger 7,4), non serve a nulla.

Questa lettura – che mostra la preoccupazione di Gesù per il suo popolo e il disappunto per suoi capi, che avrebbero dovuto guidare il “gregge” come pastori attenti, e invece non si curano di una vedova a cui d’ora in poi mancherà da mangiare – può essere accompagnata dalla lettura simbolica della figura della vedova.

Essa rappresenta davvero il modello dell’Israele scelto dal Signore. «Donando tutto a Dio, abbandonandosi completamente alla sua potenza come la vedova di Sarepta, che accetta di restare senza sostentamento per sfamare l’uomo di Dio credendo alla parola del profeta Elia (cfr. 1Re 17,10), questa donna è l’esempio del resto di Israele e della vera religiosità giudaica che Gesù aveva cercato invano a Gerusalemme nel Tempio. […] Questa donna è l’immagine della comunità povera di Israele, comunità vedova perché lo sposo le sarà tolto (cfr. Mc 2,20) e comunità segnata dall’indigenza perché vedova come la Gerusalemme senza Tempio» (Enzo Bianchi). Così, nel Libro delle Lamentazioni, era stata descritta la città santa: «Ah! Come sta solitaria la città un tempo ricca di popolo! È divenuta come una vedova, la grande fra le nazioni; un tempo signora tra le province è sottoposta a tributo» (1,1).

Nel Tempio, Gesù osserva quello che accade e cerca una testimonianza di fede, e la trova in quella donna. Come Dio aveva ristabilito Gerusalemme dopo il lamento del profeta, così Gesù sa che nessuna vedova sarà abbandonata. Per questa, per Gerusalemme, Gesù pensa che valga addirittura la pena di dare la vita. È quello che accadrà al Messia: uscito dal Tempio (come narrato subito dopo, in Mc 13,1), non vi tornerà più: il luogo della sua offerta sarà d’ora in avanti il Calvario.

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