Io sono la porta delle pecore
La famosa immagine del pastore e delle pecore di Giovanni 10 viene spesso ritenuta una allegoria; ma, ad essere precisi, si tratta piuttosto di una “paroimìa”, termine usato nel Nuovo Testamento solo da Giovanni, qui e in 16,25.29; oltre che con “similitudine”, la parola può essere resa anche con “proverbio” (cfr. l’ebraico mashal), “discorso figurato”, “discorso enigmatico”. In sostanza è un discorso un po’ segreto, misterioso, il quale va interpretato per mezzo di un altro, che invece ha un significato perfettamente chiaro. E infatti al v.11 (fuori testo), Gesù offre la chiave di interpretazione: “Io sono il buon pastore”. Il che consente anche a noi di spiegare e interpretare i vv.1-5.
Dopo le veementi polemiche del cap.9° tra i farisei e il cieco guarito, Gesù si preoccupa di coloro che, come l’ex-cieco, credono in Lui, nonostante l’opposizione dei capi giudei; ed utilizza un’immagine assai nota nella cultura biblica del tempo: quella del pastore che guida il suo gregge (= coloro che appunto credono in Lui, come il cieco nato)
La simbolica del pastore e del gregge affonda le sue radici nell’Antico Testamento. Jahvè è il pastore che fa pascolare il suo gregge (Isaia 40,11) e nel corso della storia lo affida successivamente ai suoi servi Abramo, Mosè, Giosuè, i Giudici e i re di Israele. Questi ultimi però spesso e volentieri non svolgono adeguatamente il loro compito e allora Ezechiele pronuncia il famoso oracolo: “Guai ai pastori di Israele, che pascono se stessi!…….Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura………Ricondurrò all’ovile la pecora smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata….Susciterò per loro un pastore che le pascerà…….” (Ezechiele 34).
Gesù definisce se stesso come il vero Pastore (suscitato dal Padre), che finalmente si prende cura con amore del gregge di Israele. Sembra proprio di vedere realizzata in Lui la stupenda immagine di Isaia 40,11: “Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri.”
A differenza di ladri e briganti, cui non importa nulla delle pecore, Egli ben conosce quelle che gli appartengono ed esse ascoltano la sua voce.
Per capire quest’ultima immagine, tratta da una situazione allora usuale ma per noi peregrina, può essere utile ricordare che al calare delle tenebre i pastori conducevano i loro greggi in un grande recinto comune, custodito da un guardiano, per passarvi la notte; al mattino ogni pastore gridava il suo particolare richiamo e le pecore, riconoscendone la voce, lo seguivano fiduciosamente fuori dal recinto senza minimamente sbagliare.
“Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati.” (v.8) Fuor di metafora, chi sono questi ladri e briganti? Con ogni probabilità tutti coloro che sono venuti per compiere una missione opposta a quella di Cristo. Tale opposizione non si limita al passato, ma include anche il presente della missione di Gesù e il futuro. Le pecore si susseguono nel corso dei secoli e Gesù rimane sempre il loro unico pastore.
“Io sono la porta delle pecore” (v.7).
Nei vv.7-10 Gesù riprende la “paroimìa” precedente e la sviluppa con una nuova immagine: quella della “porta”, che sostituisce l’immagine del “pastore”. Se prima Gesù era il “pastore” che entrava per la porta, ora diventa egli stesso la “porta”, cioè il passaggio, l’unico autentico passaggio alla salvezza.
L’affermazione è ripresa al v.9, con l’aggiunta di: “se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo”
La coppia verbale “entrare e uscire”, tratta dalla fraseologia biblica, indica la totalità, cioè il libero e pieno accesso al pascolo, che – come noto – è indispensabile fonte di vita per le pecore; e, fuor di metafora, è il dono della vita autentica, che ci viene da Gesù.
Il v.10, conclusivo della pericope, dice: “io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Gesù ci dona veramente tutto: non solo la vita fisica, ma la risposta ad ogni nostra attesa, il senso della nostra esistenza, la pienezza di felicità che è l’aspirazione di ogni creatura umana.
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I termini greci impiegati possono designare non solo la porta e il recinto delle greggi, ma anche quelli del tempio (più precisamente lo spiazzo davanti al tabernacolo), che rappresenta e simboleggia il giudaismo teocratico. Allora il v.2 significa che Gesù entra nel recinto del Tempio legittimamente (attraverso la porta), non quale ladro e brigante (come gli zeloti che avevano fatto alcuni tentativi per impadronirsi illegalmente di quel luogo sacro), ma quale vero pastore d’Israele, quello annunciato da Ezechiele nel cap.34 del suo libro. In effetti il Nazareno si era presentato al tempio di Gerusalemme per rivelarsi ai Giudei durante la festa delle Capanne. Qui aveva insegnato davanti a tutti, rivelando di essere la Parola del Padre, l’autentico Messia inviato da Dio. (cfr.Giov.8)
Inoltre a Gerusalemme c’era effettivamente, e c’è tuttora, al Tempio, la “porta probatica” o “delle pecore”, attraverso la quale numerose folle accedevano al luogo sacro. Ora, con la sua solenne affermazione del v.7: “Io sono la porta delle pecore”, Gesù arriva a dire: ora sono io la porta per accedere al Tempio, d’ora innanzi non ci sarà più bisogno di andare al Tempio per incontrare Dio, perché Io – Gesù – sono il nuovo “tempio di carne”. Ovviamente il pensiero corre al Prologo, che va sempre tenuto presente quando si accosta Giovanni quale “chiave di lettura” del 4° Vangelo: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (v.14a); e poi è evidente il nesso con Giov. 2, dove Gesù proclama che è Lui il nuovo tempio.
Ileana Mortari – Sito Web
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IV Domenica del Tempo di Pasqua
- Colore liturgico: Bianco
- At 2, 14. 36-41; Sal.22; 1 Pt 2, 20-25; Gv 10, 1-10
Gv 10, 1-10
Dal Vangelo secondo Giovanni
1«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. 7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 07 – 13 Maggio 2017
- Tempo di PasquaVII, Colore – Bianco
- Lezionario: Ciclo A | Salterio: sett. 4
Fonte: LaSacraBibbia.net
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