Commento a cura di Damiano Antonio Rossi con la collaborazione delle Suore Adoratrici Perpetue del S.S. Sacramento di Vigevano.
Gesรน buon Pastore (Gv 10, 1-21)
Nel Libro di Enoc, un testo apocrifo composto in epoca anteriore al 164 a.C., la seconda visione quivi descritta racconta la storia del popolo ebreo sotto il velo delle vicissitudini di un gregge di montoni alle prese con dei lupi. Uno dei temi ricorrenti รจ che i montoni sono ciechi ma, per intervento del Padrone, essi cominciano a vedere; il testo congiunge, quindi, il tema della cecitร a quello del gregge condotto dal vero pastore.48 Lโassociazione tra lโimmagine della luce e quella del buon pastore non รจ, come si puรฒ ben vedere, nuova nel panorama letterario religioso di Israele e ciรฒ รจ abbastanza comprensibile se si tiene conto del fatto che lโevangelista conosceva bene il retroterra culturale e religioso del suo popolo. ร ovvio, pertanto, lโaggancio tematico tra la guarigione del cieco nato per opera di Colui che si manifesta come Luce che illumina il mondo ed il discorso di auto-rilevazione di chi si propone, autorevolmente, come lโunica vera Guida di tutti gli uomini. La metafora del pastore, che protegge e conduce al pascolo il proprio gregge, difendendolo dai lupi, esprimeva bene il rapporto tra il sovrano, umano o divino, ed i suoi sudditi e tale immagine era frequentemente usata negli scritti dellโantico Vicino Oriente.49 Limitandoci ai testi dellโAntico e del Nuovo Testamento, la metafora del pastore alla guida del proprio gregge veniva spesso utilizzata dagli autori ispirati del testo sacro per esprimere lo stretto legame esistente tra il popolo di Israele e YHWH (cf. Gen 49,24; Ger 13,17; 23,1.3; Ez 34,31; Sal 74,1; 79,13; 80,2; Mi 7,14), la cui premura nei confronti dei suoi fedeli adoratori non era mai venuta meno, sia durante lโesodo dallโEgitto (Sal 78,52s; 77,21; 95,7; Am 3,12), sia in occasione delle pur tristi vicende storiche successive.
Nella fedeltร di Dio a favore del suo popolo, i sacri autori della Bibbia ravvisavano un progetto di salvezza proiettato in un futuro lontano ma certo (Is 49,95). Persino la relazione personale del pio israelita con il suo Dio era sovente espressa dallโimmagine del buon pastore (Sal 23), che garantisce sicurezza e pascoli sempre verdeggianti alle sue pecore, nonostante le aggressioni che provengono dallโesterno del gregge (cf. Is 40,11; Sir 18,13). Nel corso della storia Dio ha, di volta in volta, affidato il suo popolo ad alcuni suoi servi, fedeli esecutori della sua suprema volontร , affinchรฉ il popolo da Lui prescelto fra molti popoli della terra non rimanesse privo di guida โcome un gregge senza pastoreโ (Nm 27,17; 1Re 22,17; Ger 50,6; Mt 9,36; Mc 6,34). In questo senso erano considerati โpastoriโ
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Mosรจ, Giosuรจ, i Giudici e persino il re persiano Ciro il Grande (Sal 77,21; Nm 27,17; 2Sam 7,7s; Sal 78,79s; Is 44,28). Nel testo sacro non mancano le invettive contro i pastori infedeli, che sfruttano le pecore e lasciano andare in rovina il gregge per calcolo o per tornaconto personale; contro questi cattivi pastori si infiamma la collera divina, dalla quale essi saranno spazzati via dalla faccia della terra con grande ira e furore (Ger 22,22; cfr. 2,8; 10,21; Zac 11,15-17). La triste esperienza dellโabuso di potere, di cui si sono resi colpevoli i capi religiosi e politici del popolo di Israele nel corso della sua storia tribolata e ricca di contraddizioni, ha suscitato lโattesa che il Signore stesso stia per tornare ad occuparsi di persona delle pecore del suo gregge, poichรฉ esse appartengono a Lui solo (Ger 22,2-3). Lโintervento di Dio, contenuto come promessa nelle parole del profeta (โVoi avete lasciatoโฆ che le mie pecore si sbandassero! Ma io stesso radunerรฒ il resto delle mie pecore!โ), si concreta nellโannuncio messianico di un misterioso pastore che Dio susciterร , secondo i desideri del suo cuore, come un nuovo Davide. Grazie al Messia-
Pastore, il popolo di Israele โsarร salvato ed abiterร nella sicurezzaโ (Ger 23,5s). Il testo profetico di Ez 34 sintetizza, nel suo linguaggio pastorale, il tema della salvezza di Israele sotto la guida sicura e rassicurante di YHWH, il Pastore supremo che giudica e salva, o condanna, non solo le pecore del suo gregge ma anche gli stessi pastori, inviati come suoi rappresentanti per prendersi cura del suo gregge. Sembra evidente che lโevangelista abbia radicato il suo testo nel terreno biblico (cf. anche Mt 2,6; 9,36; 25,32; 26,31; Mc 6,34; Lc 15,4-6; At 20,28; Ef 4,11; Eb 13,20; 1Pt 5,2.4; Ap 2,27; 7,17; 12,5; 19,15), ma la sua opera rimane originale poichรฉ il Pastore di cui parla รจ unico (non si fa cenno ad altri pastori cui siano rivolti dei rimproveri) e si tratta di un Pastore che dona la vita per le sue pecore, fatto del tutto inverosimile o assai poco verosimile nellโabituale comportamento degli uomini, che pensano a salvare se stessi ed a lasciare le pecore al loro destino di fronte ad un grave pericolo. Il discorso si articola in due parti tra loro disuguali, separate da unโannotazione dellโevangelista sullโincomprensione degli ascoltatori (10,6). La prima parte (10,1-5) presenta un quadro pastorale nello stile impersonale (egli, il pastore), mentre la seconda parte applica a Gesรน e sviluppa in stile personale (io) due temi ripresi dal quadro iniziale (10,7-10; 11-18). La pericope si conclude con unโosservazione dellโevangelista circa la divisione provocata nellโuditorio dalle parole di Gesรน (10, 19-21).
49Cf. lโInno a Shamash in Testi sumerici ed accadici, UTET, Torino1987, pp. 385-386. Lโautore dellโinno si rivolge al dio sole definendolo luce che illumina la terra, giudice dei cieli e pastore di tutte le creature.
10,1 โIn veritร , in veritร vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da unโaltra parte, รจ un ladro ed un brigante. 2 Chi invece entra per la porta, รจ il pastore delle pecore. 3 Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori. 4 E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro e le pecore lo seguono, perchรฉ conoscono la sua voce. 5 Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perchรฉ non conoscono la voce degli estraneiโ. 6 Questa similitudine disse loro Gesรน; ma essi non capirono che cosa significava ciรฒ che diceva loro.
Per esprimere il conflitto aspro e molto polemico esistente fra Lui ed i farisei, Gesรน ricorre ad una paroimรฌa (corrispondente allโebraico mashร l), vale a dire una similitudine espressa per enigmi, un quadro simbolico desunto da una normale scena di vita pastorale, di cui perรฒ gli astanti non comprendono il significato (10,6). Allโepoca di Gesรน esistevano due tipi di โovileโ (aulรฉ): lo stabbio eretto allโaperto, fuori del villaggio ed utilizzato durante il periodo del pascolo e lโovile vero e proprio, una sorta di โcortileโ che si trovava in posizione adiacente ad una casa ed era protetto da un muro di cinta. In questo secondo tipo di ovile, o cortile stabile, venivano spesso custodite le pecore di piccoli greggi appartenenti a padroni diversi, i quali stipendiavano un guardiano fisso che vigilava sulle greggi durante il periodo di riposo dei pastori. Nel suo breve racconto, Gesรน farebbe riferimento proprio ad una struttura di questo genere. Di primo mattino, ogni pastore si presentava allโingresso dellโovile (la โportaโ) e, dopo lโavvenuto riconoscimento della sua identitร , veniva fatto entrare dal guardiano allโinterno del cortile, dove non aveva alcuna difficoltร a riconoscere le proprie pecore ed a radunarle chiamandole anche per nome. Una volta radunato il proprio gregge, il pastore lo conduceva al pascolo mettendosi alla testa delle pecore, che lo seguivano senza troppe difficoltร poichรฉ ne โconoscevano la voceโ (10,4).
Lโambientazione pastorale del breve racconto dร modo a Gesรน di alludere alle intenzioni malvagie dei suoi oppositori farisei, da Lui definiti ladri, briganti, estranei e, per contrasto, gli offre lโoccasione per porre Se stesso al centro di questo ideale accerchiamento ostile presentandosi e rivelandosi come il Pastore in reciproco rapporto di conoscenza con le โsueโ pecore. Chi รจ estraneo al gregge, non sempre รจ ben intenzionato nei confronti delle pecore! Il duplice โamenโ (tradotto con lโespressione โin veritร , in veritร โ), con cui Gesรน introduce la similitudine o racconto simbolico, ha lo scopo di rafforzare lo stridente contrasto tra la figura positiva e centrale del pastore e quella negativa dei nemici del gregge, di cui sono definite le dinamiche conflittuali attraverso azioni tra loro opposte: il pastore โentraโ per la porta, mentre i ladri e briganti โsalgonoโ da unโaltra parte del recinto; le pecore โseguonoโ il vero pastore perchรฉ ne โconosconoโ la voce, ma โfuggonoโ dallโestraneo di cui โnon conosconoโ la voce. Al contempo, il duplice โamenโ iniziale anticipa e rafforza il valore di quello successivo (10,7), che introduce una duplice formula di auto-rivelazione divina: โIo sono la portaโฆ Io sono il buon pastoreโ (10,7.11). Il vero pastore si presenta alla porta dellโovile, che sta a simboleggiare il diritto e la legittimitร del pastore, avallati lโuno e lโaltra dalla presenza del portinaio. Entrato nel recinto dellโovile, il vero pastore si fa riconoscere dalle sue pecore chiamandole per nome โuna per unaโ poichรฉ con ciascuna di esse ha stabilito un rapporto personale di reciproca conoscenza e fiducia, al punto che le pecore seguono spontaneamente lui solo, di cui riconoscono la voce anche senza vederlo. Nella cultura semitica, il โnomeโ era lโequivalente dellโessere e, secondo la prospettiva biblica, il legame tra il nome e la persona che lo portava era assai stretto e dinamico. Sia il nome in sรฉ che lโimposizione del nome ad una persona implicavano un rapporto di relazione interpersonale pressochรฉ unica ed irripetibile ed era impensabile intrattenere un vero rapporto dialettico con un essere umano di cui non si conosceva il nome. Chiamare per nome il proprio interlocutore aveva il significato di affermare il peculiare diritto ad un rapporto personale esclusivo, quasi possessivo ed รจ per questo motivo che gli ebrei evitavano di chiamare per nome il loro Dio, consapevoli di non poterlo โpossedereโ nรฉ di poter avere con Lui un rapporto di superioritร . Il sacro Nome proprio di Dio, YHWH, poteva essere pronunziato dal sommo sacerdote soltanto una volta lโanno, nel giorno dello yรดm kippรนr (o giorno dellโespiazione) ed a Lui ci si poteva rivolgere, direttamente od indirettamente, usando nomi alternativi, generici (El, Elohim, Adonร i, Shaddร j) oppure definendolo semplicemente โil Nomeโ (Hashshรจm). La bestemmia contro Dio era sanzionata con lโimmediata pena di morte! Il pastore, che chiama per nome ogni sua pecora (usanza attestata ancora oggi tra i pastori palestinesi), afferma dunque il proprio diritto ad un rapporto personale, privilegiato ed unico con ciascuna di esse e, al contempo, sancisce la loro appartenenza a lui soltanto. Appare ovvio ritenere che lโevangelista abbia inteso sottolineare lo stretto vincolo che lega Gesรน a tutti coloro che credono in Lui (cf. anche Is 43,1) e ne โascoltano la voceโ, distinguendosi da coloro che โnon sannoโ riconoscere la sua parola e si tengono in disparte da un progetto di salvezza offerto a tutti.
Una volta radunate le proprie (tร รฌdia) pecore, il pastore le fa uscire dal recinto e le conduce fuori, verso nuovi pascoli, camminando davanti a loro e prendendosi la responsabilitร di guidarle per sentieri sicuri; fiduciose, le pecore lo seguono perchรฉ lo riconoscono come colui che si prende veramente cura di loro (โconoscono la sua voceโ).
Nel discorso figurato, ciรฒ che importa allโevangelista รจ che le pecore seguano obbedienti il loro pastore, non un altro. Esse conoscono la voce del loro pastore (cf. Sal 95,7) e stabiliscono con lui un rapporto di reciproca confidenza: al richiamo del pastore corrisponde lโascolto delle pecore. Le espressioni โseguireโ (che esprime la sequela nella fede) e โconoscere la sua voceโ (che significa conoscere il Rivelatore e comprendere la sua rivelazione) sono familiari ai lettori credenti del Vangelo, i quali sanno bene a chi si riferisce lโevangelista quando contrappone alla โvoceโ del vero pastore quella minacciosa degli โestraneiโ. Poco prima (10,1) lโautore aveva definito โladri e brigantiโ coloro che entrano nellโovile scavalcando il recinto senza passare dalla porta, ora li chiama โestraneiโ; ma chi sono questi loschi figuri, che sembrano minacciare lโesistenza stessa delle pecore? Gesรน si รจ presentato al popolo dโIsraele (il gregge di Dio, secondo la definizione del Sal 99,3-4) per suscitare la sua fede nei propri confronti, poichรฉ Egli รจ lโInviato di Dio e, per condurre a termine tale missione, รจ entrato nel Tempio (lโovile) al fine di ammaestrarlo. La maggior parte del popolo ebraico ha rifiutato di credere in Gesรน (il vero pastore), non ha saputo riconoscere la sua voce e non lo ha seguito, ma quanti hanno creduto in Lui si sono posti alla sua sequela ed Egli li ha condotti verso il Padre, facendoli uscire da un ambiente divenuto ormai ostile ed oppressivo, dominato da ladri e briganti (i giudei, ossia i capi religiosi di Israele) che non hanno a cuore le sorti del popolo, ma tramano per condurlo alla rovina. Lโimmagine del pastore che cammina alla testa delle sue pecore รจ applicabile, nellโottica dellโAntico Testamento, anche al popolo di Israele che viene condotto da Dio fuori dallโEgitto (Es 3,10; 6,26; 14,19; Dt 1,33; 4,37; 5,6; Sal 78 [77],52; Is 63,11.14).
Coloro che hanno creduto in Gesรน e lo hanno seguito, hanno creato un netto distacco esistenziale con quanti si sono rifiutati di credere (โnon seguono lโestraneoโฆ ma fuggono da luiโฆ perchรฉ non riconoscono la sua voceโ) e tale distacco รจ reciproco. Come il vero pastore รจ unito alle sue pecore inseparabilmente, cosรฌ altri uomini, estranei o lontani dalle pecore, sono separati da esse in modo definitivo e radicale. La similitudine puรฒ essere trasferita da un contesto storico-esistenziale ben preciso, caratterizzato dal rifiuto di Gesรน da parte dei suoi contemporanei, ad un contesto escatologico nel quale il rifiuto della fede in Gesรน da parte degli uomini assume i contorni di un dramma che si consumerร solo alla fine dei tempi, allorquando il giudizio finale sancirร la definitiva separazione delle pecore (i salvati) dai capri (i dannati). Risulta facile equiparare i โladri e brigantiโ ai tanti falsi messia che, nel corso della storia remota e recente, hanno tentato e tentano di spacciarsi per โveriโ pastori del popolo di Dio. La storia della Chiesa, in particolare, cosรฌ come la storia dellโuomo in generale, รจ piena zeppa di millantatori che, in buona o cattiva fede, hanno cercato di proporre se stessi come gli unici e veri interpreti del Vangelo e della morale evangelica o come i nuovi ed autentici โsalvatoriโ del mondo trascinando con sรฉ alla rovina tanti cristiani sprovveduti e creduloni alla ricerca della soluzione piรน facile ai propri problemi di carattere esistenziale, siano essi di ordine materiale, etico o religioso in senso stretto. Viene spontaneo pensare che molti di coloro che sono stati sviati dalla retta fede ed indotti a seguire i โfalsiโ pastori, non si siano nemmeno impegnati piรน di tanto a โriconoscereโ la voce del pastore โveroโ e che per calcolo o comoditร abbiano preferito assecondare la voce piรน suadente ed ingannatrice di chi promette e garantisce scorciatoie piรน convenienti per raggiungere la felicitร . Essi non capirono. La rivelazione di Gesรน cozza contro unโincredulitร radicale, che sembra insuperabile e senza rimedio. Il resto del discorso di auto-rivelazione non farร che confermare lโoggettivo rifiuto di accogliere il Rivelatore da parte dei destinatari della salvezza.
7 Allora Gesรน disse loro di nuovo: โIn veritร , in veritร vi dico: io sono la porta delle pecore. 8 Tutti coloro che sono venuti prima di me sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9 Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarร salvo; entrerร e uscirร e troverร pascolo. 10 Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perchรฉ abbiano la vita e lโabbiano in abbondanza.
Gesรน riprende nuovamente il discorso, cercando di chiarire agli astanti perplessi ed increduli il significato della similitudine appena esposta. Il duplice โamenโ introduttivo serve a ribadire lโimportanza di quanto Gesรน sta per affermare paragonando se stesso alla porta dellโovile, attraverso la quale puรฒ transitare legittimamente solo il vero pastore delle pecore per condurle fuori del recinto verso pascoli sempre piรน ricchi ed appetibili o per riportarle dentro lโovile, al sicuro dai lupi rapaci, dopo averle condotte al pascolo. La โportaโ dellโovile, cui si paragona Gesรน, va assunta come simbolo della legittimitร di colui che entra e come prova del diritto del pastore ad accostarsi alle proprie pecore. Poichรฉ Gesรน รจ la โportaโ dโaccesso dellโovile, interdetta ai ladri ed ai briganti, ne consegue che Egli รจ anche il vero e legittimo proprietario delle pecore, il loro unico pastore. Poichรฉ il pastore entra dalla porta, egli รจ indiscutibilmente il pastore delle pecore mentre gli altri sono solo dei malintenzionati che cercano di scavalcare il recinto solo โper rubare, uccidere, distruggereโ. Nel momento in cui Gesรน, vero pastore, รจ immesso nella funzione di โportaโ, si infrange contro di lui qualsiasi illegittima pretesa di rivelazione, di guida e di salvezza.
Cโรจ un unico accesso alle pecore ed รจ โoccupatoโ da Gesรน; cโรจ un solo portatore di salvezza, una sola via che conduce al Padre: Gesรน, la โportaโ, il buon pastore (cf. 14,4-6). In quanto unica ed assoluta via alla salvezza, Gesรน รจ la porta attraverso la quale le pecore possono uscire ed entrare nellโovile in piena sicurezza (10,9); in quanto รจ lโunico rivelatore, capace di smascherare le cattive intenzioni di ladri e briganti, Egli รจ lโunica porta per accedere alle pecore con rette intenzioni. Con questa immagine, Gesรน si contrappone senza mezzi termini ai tanti falsi messia, che pullulano sulla terra in ogni epoca della storia umana spacciandosi per salvatori dellโumanitร . La scelta della porta, come simbolo del portatore della vera ed unica salvezza, potrebbe stare in rapporto con lโinterpretazione in chiave messianica del Sal 118,20: โEโ questa la porta del Signore, per essa entrano i giustiโ (cf. anche Gv 12,13; Mc 12,10; Mt 23,39). In tal caso, lโevangelista avrebbe inteso sottolineare, caso mai ve ne fosse ancora bisogno, lโunicitร di Gesรน Cristo come mediatore e portatore di salvezza in contrapposizione stridente con qualsivoglia altro pseudo-messia. Lโassolutezza della pretesa di Gesรน esclude, pertanto, tutti i concorrenti: ma chi sono quelli venuti prima di Lui ed etichettati come ladri e briganti? Probabilmente lโevangelista aveva nel mirino i farisei, che guidavano il giudaismo a lui contemporaneo e che si opponevano con tutte le loro forze alla fede in Gesรน (cf. Mt 23,1-36; Lc 11,39-52; Mc 6,34). Per loro fortuna, le pecore (cioรจ i credenti in Cristo) non โhanno ascoltatoโ le false promesse di salvezza formulate dai nemici di Gesรน.
Io sono la porta. Gesรน ribadisce questa formula di auto-rivelazione, ripetendola una seconda volta dopo il duplice โamenโ di apertura, per rafforzare la sua funzione salvifica esclusiva: โse uno entra attraverso di me, sarร salvoโ. La salvezza, acquisita mediante la fede in Cristo, viene resa da una sequenza di azioni (entrare, uscire, trovare pascolo) tipicamente semitica e di derivazione vetero-testamentaria (cf. Dt 28,6; 31,2; 1Sam 29,6; 2Sam 3,25); i termini contrari (entrare, uscire), infatti, esprimono in ebraico il concetto di totalitร (cf. Dt 6,7) che, in questo caso, ha come fine il raggiungimento della pienezza di vita (trovare pascolo). Pascolando, le pecore si mantengono in vita ed i pingui pascoli sono unโimmagine dellโassistenza divina (Sal 23,2), che viene applicata sia alla salvezza di Israele (Ez 34, 12-15) che alla benedizione escatologica (Is 49,9ss). Lโevangelista riprende, cosรฌ, unโimmagine antica per far comprendere ai suoi lettori che la vita divina viene comunicata ai credenti attraverso Gesรน (10,10).
Per descrivere lโazione malefica dei ladri, dei predoni e degli estranei, lโautore precisa le tipiche azioni del ladro assassino, che โruba, uccide, distruggeโ. Al contrario di costui, Gesรน (porta e pastore delle pecore) mantiene in vita le pecore, anzi, vuole accrescere la loro vita oltre misura. La rovina, causata dal ladro assassino e distruttore, รจ la morte eterna, ossia la perdita della vera vita che solo i credenti possono ricevere grazie a Gesรน (Gv 3,16.36; 5,40; 6,33.35.48.51; 14,6; 20,31; Ap 7,17; Mt 25,29; Lc 6,38). Lโeccezionale pienezza di vita che viene da Dio รจ, in altri passi, illustrata con le immagini della sorgente zampillante (4,14; 7,38) o del pane che estingue per sempre la fame (6,35.50.58) ed รจ qualificata dalla dimensione atemporale dellโeternitร . La vita eterna, di cui parla lโevangelista per bocca di Gesรน, non รจ tanto, o non solo, la vita post-mortale presso Dio distinta dalla vita presente, ma รจ la vita indistruttibile che sopravvive alla morte del corpo, รจ la vita escatologica che partecipa, con pienezza e sovrabbondanza, della vita stessa di Dio.