“…chi non crede è già stato condannato”.
Come accade spesso nelle conversazioni tra altre persone di cui cogliamo solo una frase al volo distrattamente e ci colpisce, così anche questo passaggio del discorso di Gesù forse non lascia indifferenti. Presa così, isolata dal suo contesto sembra una inesorabile condanna di chi non è credente, e anche io come credente (o almeno mi ritengo tale) mi sembra fin troppo brutale e non in linea con lo spirito di accoglienza di tutto il Vangelo.
Quindi chi non crede in Dio è condannato? E a quale condanna? Poco prima in questo pezzetto di Vangelo domenicale si dice che chiunque crede ha la vita eterna. Quale vita eterna? Che significa?
E proprio come accade in quelle conversazioni in cui dicevamo sopra, ascoltate al volo, che per comprenderle davvero bisogna conoscere chi sta parlando e tutto il discorso, anche qui dobbiamo fare lo stesso.
Questo brano del Vangelo che la Chiesa ha scelto per questa festa della Trinità, fa parte di un lungo dialogo tra un Fariseo di nome Nicodemo che di notte si reca da Gesù per dialogare con lui. Molto spesso nel Vangelo i farisei sono presentati come l’esempio di chi si contrappone a Gesù in modo duro, usando proprio la religione per poterlo far condannare ed eliminare. Eppure i farisei si considerano ed erano considerati dei “super-credenti”, con la loro assoluta fedeltà alla Sacra Scrittura e alle tradizioni religiose. I farisei rifiutano Gesù perché lo vedono come un sovvertitore della religione, per loro non è un miscredente ma quasi. Per la loro visione di fede Gesù insegna cose che allontanano dalla fede e da quello che Dio vuole.
Ma tra i farisei c’è questo Nicodemo che forzando lo spirito di gruppo che lo lega agli altri suoi compagni e anche facendo l’enorme sforzo di mettersi in discussione va da Gesù e chiede di capire. Ci va di notte, scrive l’evangelista Giovanni, perché è l’ora più discreta ma anche perché ben rappresenta il buio che ha dentro, i tanti interrogativi che lo stanno rivoltando nell’animo dopo che ha visto i gesti e ha sentito le parole di questo Maestro della Galilea.
Di questo dialogo tra Nicodemo e Gesù leggiamo l’ultimo passaggio con il quale in poche parole Gesù dice tutto il senso della sua presenza e dei suoi insegnamenti. Gesù è venuto a mostrare il vero volto di Dio, offuscato da una visione religiosa rigida e legalista che invece di avvicinare allontanava da Dio.
Dio ama il mondo e lo ama a tal punto da donare se stesso in Gesù. Un dono vero e non di facciata, che avrà il suo vertice con la morte in croce. Gesù che muore crocifisso pur avendo tutto il potere per sopravvivere e vendicarsi dei suoi nemici, è il segno che Dio “ama da morire” l’umanità. Dio vuole salvare l’uomo da tutte quelle cose che lo disumanizzano e che fanno piombare l’umanità nel buio dell’egoismo, della violenza, della distruzione del bene comune. Dio vuole che già fin da ora l’uomo sperimenti l’eternità della vita, la pienezza della vita come una cosa bella che è per tutti, nonostante difficoltà e fragilità sia fisiche e interiori. Dio non è un giudice che ha dato delle regole da rispettare e attende l’uomo alla fine per una verifica di condanna o premio. Dio è venuto dentro la storia con l’uomo Gesù per insegnare la via della salvezza che è già qui e ora, alla nostra portata, alla portata di tutti.
“chi non crede…” non è tanto chi non crede nell’esistenza di Dio come concetto filosofico o entità astratta, ma chi ha una visione errata di Dio. Quell’avvertimento che Gesù dà a Nicodemo lo sta facendo ad un credente non ad un non credente. Siamo noi che ci consideriamo credenti e pensiamo anche di essere bravi cristiani perché partecipiamo alle feste comandate, che dobbiamo interrogarci se crediamo davvero a quello che il Vangelo ci insegna su Dio, su Gesù e quella sua proposta di vita. Paradossalmente possiamo rischiare di essere noi “non credenti” se non ci crediamo davvero al Vangelo e se coltiviamo nella mente, nel cuore e poi nelle azioni l’immagine di un Dio che condanna e che giudica in base ai meriti, diventando anche noi spietati giudici del prossimo e incapaci di misericordia.
Se non credo nella visione di Dio che Gesù ha portato e riduco il mio essere cristiano ad una appartenenza esteriore di stampo culturale, allora mi possono tranquillamente considerare un “non-credente” e la condanna non mi viene da Dio ma da me stesso che mi tiro fuori dal grande progetto d’amore di Dio che vuole già ora donare eternità alla vita umana. E può capitare che uno che magari a parole dice di non credere in Dio ma vive con la sua vita il Vangelo fatto di misericordia, altruismo, solidarietà possa essere considerato un vero credente secondo il Vangelo e sperimentare l’eternità della vita.
Oggi celebriamo Dio come trinità di persone, Padre Figlio e Spirito Santo. Non è un concetto filosofico da comprendere solo con la testa e il ragionamento, ma è un modo di comprendere Dio come relazione. E’ così che Gesù ce lo ha insegnato e che la Chiesa ha compreso meditando le parole e gesti di Gesù. Dio è una relazione talmente forte da diventare un “uno”, l’unico Dio! Per capire questa cosa basta vivere come insegna Gesù, amando. Chi ama, accoglie, aiuta, perdona, unisce, dona la vita… alla fine capirà Dio Trinità e non solo ci crederà con la testa, ma dimostrerà di crederci con i gesti della vita.
Fonte: il blog di don Giovanni Berti (“in arte don Gioba”)