Commento al Vangelo del 6 maggio 2018 – p. Raniero Cantalamessa

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Il “dovere” di amare

Nel Vangelo di questa Domenica incontriamo, ripetuta due volte, un’affermazione che dobbiamo capire bene. Gesù dice ai suoi discepoli:
“Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore”.
Fin qui nessuna difficoltà. Ma poi aggiunge:
“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati… Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri”.
L’amore, un comandamento? Si può fare dell’amore un comandamento, senza distruggerlo? Che amore è mai questo, pensiamo noi uomini, se non è libero, ma comandato? Amare Dio con tutta l’anima e con tutte le forze è definito “il primo e più grande dei comandamenti” e amare il prossimo come se stessi, il “secondo comandamento” simile al primo (cfr. Matteo 22, 37-39). Che rapporto ci può essere tra amore e dovere, dal momento che uno rappresenta la spontaneità, l’altro l’obbligo?

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Per rispondere a questa obiezione, bisogna sapere che vi sono due generi di comandi. C’è un comando o un obbligo che viene dall’esterno, da una volontà diversa dalla mia, e vi è un comando o obbligo che viene dal di dentro e che nasce dalla cosa stessa. La pietra lanciata in aria, o la mela che cade dall’albero è “obbligata” a cadere, non ne può fare a meno; non perché qualcuno glielo impone, ma perché c’è in essa una forza interna di gravità che la attira verso il centro della terra.
Allo stesso modo, vi sono due modi secondo cui l’uomo può essere indotto a fare, o a non fare, una certa cosa: o per costrizione o per attrazione. La legge e i comandamenti ordinari ve lo inducono nel primo modo: per costrizione, con la minaccia del castigo; l’amore ve lo induce nel secondo modo: per attrazione, per una spinta interna.

Ciascuno infatti è attratto da ciò che ama, senza che subisca alcuna costrizione dall’esterno. Mostra a un bambino un giocattolo e lo vedrai slanciarsi per afferrarlo. Chi lo spinge? Nessuno, è attratto dall’oggetto del suo desiderio. Mostra il Bene a un’anima assetata di verità ed essa si slancerà verso di esso. Chi ve la spinge? Nessuno, è attratta dal suo desiderio. L’amore, dice sant’Agostino è come un “peso” dell’anima che attira verso l’oggetto del proprio piacere, in cui sa di trovare il proprio riposo È in questo senso che l’amore è un comandamento. Esso, anzi, riesce a far fare quello che nessuna legge esterna e scritta sarebbe in grado di indurre a fare e cioè dare la vita per qualcuno.

Ma se è così – se noi, cioè, siamo attratti spontaneamente dal bene e dalla verità che è Dio –, che bisogno c’era, si dirà, di fare, di questo amore, un comandamento e un dovere? La risposta è questa: finché siamo circondati da altri beni in questo mondo, siamo in pericolo di sbagliare bersaglio, di tendere a dei falsi beni e perdere così il Sommo Bene. Come una navicella spaziale diretta verso il sole, deve seguire certe regole per non cadere dentro la sfera di gravità di qualche pianeta o satellite intermedio, smarrendo la propria traiettoria, così noi nel tendere a Dio. I comandamenti di Dio ci aiutano in questo. Essi sono per il nostro bene, non per quello di Dio.

Adesso vorrei cercare di spiegare come tutto questo non è un ragionamento astratto e campato in aria, ma ha un impatto diretto sulla vita e sull’amore anche umano. I giovani d’oggi si chiedono sempre più spesso: perché il matrimonio? Il matrimonio è una istituzione; una volta contratto, lega, obbliga a essere fedeli e ad amare per tutta la vita. Ora, che bisogno ha l’amore, che è istinto, spontaneità, slancio vitale, di trasformarsi in un dovere? Così vediamo che sono sempre più numerosi coloro che rifiutano l’istituzione del matrimonio e scelgono il cosiddetto amore libero, o la semplice convivenza. Un problema, come si vede, serio, al quale dobbiamo dare una risposta convincente, che solo la parola di Dio ci permette di dare.

Un filosofo che ormai conosciamo, Kierkegaard, ha scritto: “Soltanto quando c’è il dovere di amare, allora soltanto l’amore è garantito per sempre contro ogni alterazione; eternamente liberato in beata indipendenza; assicurato in eterna beatitudine contro ogni disperazione”. Parole, a prima vista, enigmatiche, ma il cui senso è molto semplice. Vogliono dire: l’uomo che ama veramente, vuole amare per sempre. L’amore ha bisogno di avere come orizzonte l’eternità, se no, non è che uno scherzo, un “amabile malinteso” o un “pericoloso passatempo”, come lo chiama questo filosofo che aveva fatto lui stesso, dell’amore umano, un’esperienza sofferta e profondissima. Per questo, più uno ama intensamente, più percepisce con angoscia il pericolo che corre questo suo amore, pericolo che non viene da altri che da lui stesso. Egli sa bene infatti di essere volubile e che domani, ahimé, potrebbe già stancarsi e non amare più. E poiché adesso che è nell’amore vede con chiarezza quale perdita irreparabile questo comporterebbe, ecco che si premunisce “vincolandosi” ad amare per sempre. Il dovere sottrae l’amore alla volubilità e lo ancora all’eternità.

Mostrando il profondo e vitale rapporto che c’è tra dovere e amore, tra decisione e istituzione, la parola di Dio ci aiuta così a rispondere a quelle domande e a dare ai giovani un motivo valido per “obbligarsi” ad amare per sempre. Il dovere di amare protegge l’amore dalla disperazione e lo rende beato e indipendente, nel senso che protegge dalla disperazione di non poter amare per sempre. Chi ama, è ben felice di “dovere” amare; questo gli sembra il comandamento più bello e liberante del mondo.

Abbiamo un’immagine di tutto ciò nella storia di Ulisse. Nel suo ritorno verso la patria, Ulisse doveva attraversare un tratto di mare abitato dalle Sirene. Sapeva che molti marinai, passando loro vicino, ammaliati dal loro canto, avevano fatto naufragio. E siccome amava sua moglie Penelope e voleva a tutti i costi rivederla insieme con la sua patria Itaca, cosa fece? Si fece legare dai suoi marinai all’albero della nave, ordinando di non scioglierlo per nessun motivo, anche se lui stesso li avesse scongiurati di farlo (Ai suoi compagni aveva fatto otturare gli orecchi, per non essere essi stessi ammaliati). Giunsero al luogo, ammaliato dal canto delle Sirene, Ulisse gridò e smaniò, ma le funi lo salvarono e, passato il momento della seduzione, fu ben felice di non aver ceduto e di essere ancora in rotta verso il suo focolare. L’essersi spontaneamente legato, lo salvò dal naufragio.

Il “comandamento” o il dovere di amare protegge l’amore non solo dallo stancarsi e tornare indietro, cambiando l’oggetto del proprio amore (nel caso del matrimonio, dalla separazione e dal divorzio), ma anche dall’altro male oscuro dell’amore che si chiama l’abitudine che appiattisce tutto, spegnendo ogni gioia e ogni entusiasmo. Il dovere è nuovo ogni giorno, a differenza dell’istinto, dell’attrazione naturale, dello slancio spontaneo che va e viene, e si affievolisce inesorabilmente con il passare del tempo.

Alcuni ragazzi d’oggi sono soliti, magari dopo pochi giorni che la conoscono, di chiedere alla ragazza “la prova” che lo ama, e si sa bene in che consiste di solito questa prova e che cosa può costare alla ragazza per tutta la vita. È un ricatto, non un segno di amore. Ma a parte tutto questo, che prova è mai quella? Che cosa può provare? Chiedere quel certo tipo di prova che consiste nel bruciare, come si suol dire, i tempi, è il segno più chiaro che non si è sicuri né del proprio amore, né di quello dell’altra persona. È come il contadino che in primavera si affretta a ritirare dal campo il suo fieno, appena c’è un po’ di sole, non fidandosi del tempo che farà un’ora dopo.

Sì, una “prova” ci sarebbe; non solo da chiedere, ma soprattutto da dare all’altro. È avere il coraggio di fare – una volta che ci si è conosciuti a sufficienza e i tempi sono maturi – la promessa che sarà per sempre. Con questa promessa, è come se ognuno dicesse all’altro: “Io voglio amarti per sempre e, per essere sicuro di poterlo fare, mi “lego” a te, ti sposo”. Le ragazze (almeno la maggioranza tra di loro) è questo che vogliono e hanno tutto il diritto di esigerlo, visto quello che esse, per prime, impegnano nell’avventura dell’amore. Molte sono anche abbastanza intelligenti ed energiche per far valere questo sacrosanto diritto e condurre con dolcezza e fermezza il loro ragazzo a questo punto di maturità. Altre purtroppo no; temono di perderlo. Quanti drammi per i giovani stessi, che in queste schermaglie bruciano spesso il meglio della loro vita e compromettono per sempre il loro futuro, per i genitori che sono costretti ad assistere impotenti, per la società su cui finiscono per ricadere, indirettamente, le conseguenze degli sbagli in questo campo!

Concludiamo, ritornando al piano religioso e spirituale del discorso da cui siamo partiti. L’amore è un tema poetico; è facile entusiasmarsi per esso. Ma la poesia non basta. Occorre la grazia. La grazia significa un aiuto che viene dall’alto, che sana la nostra capacità di amare, ferita e indebolita dall’egoismo, e dona costanza e perseveranza. Lo stesso evangelista Giovanni, che nel Vangelo ci trasmette il “comandamento” di amare, nella seconda lettura ci addita anche la sorgente dove attingere la forza per metterlo in pratica.

Dice:
“Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati… Noi amiamo perché egli ci ha amato per primo”.

Prima del “comandamento” di amare, Dio ci dà la “grazia”, cioè il “dono” di poterlo fare. Egli, per primo, si è “legato”, ha stabilito con noi una “alleanza” e un’alleanza “eterna”. L’incarnazione infatti è stata il suo sposalizio con l’umanità. Non ci ha amato per primo una sola volta, all’inizio; sempre, ogni giorno, ogni momento, ci ama per primo. Noi possiamo attingere, da questo suo amore, la forza per amare, a nostra volta Dio, il prossimo, il coniuge, e per ottenere il perdono, ogni volta che abbiamo mancato di farlo.

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO

VI Domenica del Tempo di Pasqua

Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 6 Maggio 2018 anche qui.

Gv 15, 9-17
Dal Vangelo secondo Giovanni

9Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. 12Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. 13Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. 14Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. 15Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. 16Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 06 – 12 Maggio 2018
  • Tempo di Pasqua VI
  • Colore Bianco
  • Lezionario: Ciclo B
  • Anno: II
  • Salterio: sett. 2

Fonte: LaSacraBibbia.net

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