«Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1Gv 4, 16). Queste parole della Prima Lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l’immagine cristiana di Dio e anche la con seguente immagine dell’uomo e del suo cammino. Inoltre, in questo stesso versetto, Giovanni ci offre per così dire una formula sintetica dell’esistenza cristiana: «Noi abbiamo riconosciuto l’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto».
Abbiamo creduto all’amore di Dio — così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita. All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva. Nel suo Vangelo Giovanni aveva espresso quest’avvenimento con le seguenti parole: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui … abbia la vita eterna» (3, 16). Con la centralità dell’amore, la fede cristiana ha accolto quello che era il nucleo della fede d’Israele e al contempo ha dato a questo nucleo una nuova profondità e ampiezza. L’Israelita credente, infatti, prega ogni giorno con le parole del Libro del Deuteronomio, nelle quali egli sa che è racchiuso il centro della sua esistenza: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (6, 4-5). Gesù ha unito, facendone un unico precetto, il comandamento dell’amore di Dio con quello dell’amore del prossimo, contenuto nel Libro del Levitico: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (19, 18; cfr Mc 12, 29-31). Siccome Dio ci ha amati per primo (cfr 1Gv 4, 10), l’amore adesso non è più solo un «comandamento», ma è la risposta al dono dell’amore, col quale Dio ci viene incontro …» (Benedetto XVI, Deus caritas est, pp. 3-4).
San Giovanni raggiunge in questo testo l’apice della sua riflessione sull’amore. Il punto di partenza è un’affermazione lapidaria: “L’amore è da Dio” (v. 7); qualsiasi autentico amore non può che avere da Dio la sua radice. Perché? Perché “Dio è amore” (v. 8), è questa l’identità profonda di Dio. Quest’intuizione non è frutto di riflessione filosofica, ma di constatazione storica: “Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito… come vittima di espiazione per i nostri peccati (vv. 9-10). La suprema manifestazione dell’amore di Dio per noi è l’invio del Figlio suo, un invio che comprende l’incarnazione, la morte, la sepoltura e la risurrezione il terzo giorno.
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«Chi sia Dio lo si vede attraverso la storia di Gesù … Né si tratta di partire da noi, dal nostro piccolo amore umano, per concludere che Dio è amore. Il cammino è alla rovescia. L’originario non è il nostro amore, ma quello di Dio manifestatosi nell’evento di Gesù, che resta il centro di ogni discorso. Che cosa sia l’amore vero – quello di Dio e il nostro – è Gesù che ce lo dice» (Bruno Maggioni).
E questo amore di Dio è gratuito: è lui che ci ha amati per primo; è disinteressato; è fiorito “perché noi avessimo la vita per mezzo di lui” (v. 9). Da questo appare che l’invito iniziale dell’apostolo “Amiamoci gli uni gli altri” (v. 7) non suona moralistico, in quanto non spinge ad un ideale certamente utopico se commisurato sulle energia puramente naturali dell’uomo, bensì è come un banco di prova per verificare se davvero l’amore di Dio ha avuto modo di compenetrare la nostra esistenza. Il grado di amore verso gli altri rivela le dimensioni dell’amore di Dio accolto nella nostra vita. L’intensità del nostro essere fratelli e sorelle manifesta l’intensità del nostro essere figli e figlie.
“Chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio” (v. 7). Per giungere all’amore autentico c’è una sola strada, quella di amare. Non siamo noi che arriviamo a Dio attraverso la conoscenza. La nostra è soltanto e unicamente una risposta. Dio ci ama per primo e noi lo amiamo veramente attraverso l’amore dei fratelli. L’amore non è una realtà da spiegare. Dio ha rivelato di essere amore attraverso il suo agire, attraverso la ‘smisurata carità’ che ha portato a donare all’uomo il suo stesso unico Figlio. La sua offerta è davvero come il seme che, caduto in terra, produce molto frutto.
Una preghiera di Soren Kierkegard dice così: «Oh Dio, Tu ci hai amati per primo. Ecco, qui noi parliamo di ciò come di un semplice fatto storico, come se Tu ci avessi amati per primo una sola volta. Ma, Tu lo fai sempre. Molte volte, in ogni occasione, durante tutta la vita. Tu ci ami per primo. Quando ci svegliamo al mattino e Ti rivolgiamo il nostro pensiero, Tu ci precedi. Tu ci hai amati per primo. E se mi levo per lodarti e in quello stesso istante elevo verso di Te la mia anima in adorazione, Tu mi hai già preceduto e mi hai amato per primo. Quando raccolgo il mio spirito da una distrazione e penso a Te, Tu sei stato il primo. E così sempre! E noi, ingrati, parliamo sempre come se solo una volta Tu ci avessi amati per primo».
Giovanni 15, 9-17
Il vangelo di oggi ci apre alla dimensione trinitaria:
v.9: “Come il Padre ha amato me, anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore”. L’amore del Padre che non è solo modello, ma sorgente dell’amore che parte da Dio e a Dio ritorna. Gv 17,26: “L’amore con il quale mi hai amato sia in essi ed io in loro”. Scrive San Paolo nella lettera ai Romani: “L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato” (Rm 5, 5). Questa circolazione dell’amore è possibile se c’è lo Spirito Santo. Il Padre ha amato il Figlio e il Figlio i discepoli e i discepoli tra di loro per mezzo dello Spirito.
Come il Padre ha amato Gesù? L’ha amato da Figlio, l’ha amato mandandolo in mezzo all’umanità con l’Incarnazione; l’ha amato mandandolo sulla croce per la salvezza degli uomini.
Come Gesù ha amato il Padre suo e noi? “Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare … Io ho dato loro la tua parola … Ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro” (Gv 17).
Come noi amiamo Gesù? Ce lo dice Lui stesso: “Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore”.
Quale comandamenti? “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando” (v. 12-13). Questo è il mio comandamento nuovo: amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati” (Gv 13,34). Di tutti i comandamenti contenuti nella Scrittura, Gesù li riassume in uno solo, il comandamento nuovo: nuovo perché ultimo e definitivo! Se già secondo i vangeli sinottici Gesù aveva sintetizzato tutta la Legge nell’unico comandamento dell’amore di Dio e del prossimo (cf. Lc 10,25-28); se Paolo aveva affermato che “tutta la Legge trova compimento in un’unica parola: amerai il prossimo tuo come te stesso” (Gal 5,14; cf. Rm 13,8-10), Giovanni, il discepolo amato, va oltre e compie la sintesi decisiva. Nel quarto vangelo, infatti, il comandamento nuovo è in definitiva l’unico che Gesù ha ricevuto dal Padre e, come tale, l’ha osservato fino all’estremo, fino a fornire un modello e una misura – “come io vi ho amati, amatevi gli uni gli altri”.
A poche ore dalla sua passione Gesù non comanda ai suoi discepoli la fedeltà a lui, la speranza nel futuro del Regno, la certezza della sua risurrezione … ma comanda l’amore reciproco fino a dare la vita sempre e gratuitamente, perché l’amore vero è generoso, senza attese, senza calcoli, senza pretese, senza risposte, senza condizionamenti, senza ripensamenti; è oblativo e vive del perdono ed è avvolto nel silenzio operante. È dato, è sparso, è offerto come il più piccolo fiore sparge il profumo, dona il colore e la sua bellezza a chiunque anche su un ciglio della strada dove viene distrattamente calpestato o nascosto nel dirupo visto soltanto dal sole o dal vento.
“Vi ho dato l’esempio perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13, 15) ci dice Gesù. E ancora: “Lo Spirito Santo vi insegnerà e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto … vi insegnerà il come ho fatto io perché siamo degli eterni smemorati. Allora: “Chi ci separerà dall’amore di Dio?” (Rm 8, 31ss).
v.9: “Rimanete nel mio amore”. Il verbo rimanere è caro a San Giovanni ed indica una relazione personale, strettissima, intima. Rimanere nell’amore del Padre, che si esprime attraverso il Figlio, rivelazione dell’amore del Padre. Rimanere nel suo amore è vivere posseduti dalla gioia.
v.11: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. Spesso noi cristiani siamo accusati di essere dei musoni, sempre a denti stretti. Gesù ci invita a gioire, perché il Vangelo è per tutti (nella prima lettura Cornelio centurione riceve lo Spirito Santo!). Gioia perché non siamo mai soli: Dio ha mandato Gesù per salvarci dal peccato e dalla morte (seconda lettura); gioia perché non siamo schiavi o servi, ma Gesù ci chiama amici (Gv 15,13); gioia perché non noi abbiamo scelto Gesù, ma Lui ha scelto noi perché andiamo e portiamo frutto! La gioia: testimonianza cristiana.
Significativo e ricco di proposte per vivere l’amore nel quotidiano gli uni verso gli altri impregnati di gioia, è quanto ha scritto Benedetto XVI nel messaggio per la giornata mondiale della gioventù 2012: «La gioia è intimamente legata all’amore: sono due frutti inseparabili dello Spirito Santo (cfr Gal 5,23). L’amore produce gioia, e la gioia è una forma d’amore… Pensando ai vari ambiti della vostra vita, vorrei dirvi che amare significa costanza, fedeltà, tener fede agli impegni. E questo, in primo luogo, nelle amicizie: i nostri amici si aspettano che siamo sinceri, leali, fedeli, perché il vero amore è perseverante anche e soprattutto nelle difficoltà. E lo stesso vale per il lavoro, gli studi e i servizi che svolgete. La fedeltà e la perseveranza nel bene conducono alla gioia, anche se non sempre questa è immediata.
Per entrare nella gioia dell’amore, siamo chiamati anche ad essere generosi, a non accontentarci di dare il minimo, ma ad impegnarci a fondo nella vita, con un’attenzione particolare per i più bisognosi. Il mondo ha necessità di uomini e donne competenti e generosi, che si mettano al servizio del bene comune. Impegnatevi a studiare con serietà; coltivate i vostri talenti e metteteli fin d’ora al servizio del prossimo. Cercate il modo di contribuire a rendere la società più giusta e umana, là dove vi trovate. Che tutta la vostra vita sia guidata dallo spirito di servizio, e non dalla ricerca del potere, del successo materiale e del denaro.
A proposito di generosità, non posso non menzionare una gioia speciale: quella che si prova rispondendo alla vocazione di donare tutta la propria vita al Signore. Cari giovani, non abbiate paura della chiamata di Cristo alla vita religiosa, monastica, missionaria o al sacerdozio. Siate certi che Egli colma di gioia coloro che, dedicandogli la vita in questa prospettiva, rispondono al suo invito a lasciare tutto per rimanere con Lui e dedicarsi con cuore indiviso al servizio degli altri. Allo stesso modo, grande è la gioia che Egli riserva all’uomo e alla donna che si donano totalmente l’uno all’altro nel matrimonio per costituire una famiglia e diventare segno dell’amore di Cristo per la sua Chiesa.
Vorrei richiamare un terzo elemento per entrare nella gioia dell’amore: far crescere nella vostra vita e nella vita delle vostre comunità la comunione fraterna. C’è uno stretto legame tra la comunione e la gioia. Non è un caso che san Paolo scriva la sua esortazione al plurale: non si rivolge a ciascuno singolarmente, ma afferma: «Siate sempre lieti nel Signore» (Fil 4,4). Soltanto insieme, vivendo la comunione fraterna, possiamo sperimentare questa gioia. Il libro degli Atti degli Apostoli descrive così la prima comunità cristiana: «spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore» (At 2,46). Impegnatevi anche voi affinché le comunità cristiane possano essere luoghi privilegiati di condivisione, di attenzione e di cura l’uno dell’altro».
Appendice
Il comandamento «nuovo» di Gesù
Dal momento che la Sacra Scrittura è tutta piena di divini precetti, come mai il Signore parla della carità quasi di un comandamento unico, e dice: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate scambievolmente” (Gv 15,12), se non perché i comandamenti sono tutti compendiati nell`unica carità e tutti formano un unico comandamento? Infatti, tutto ciò che ci viene comandato ha il suo fondamento solo nella carità. Come i molteplici rami di un albero provengono da una sola radice, così le molteplici virtù traggono origine dalla sola carità. E non ha vigore di verde il ramo del ben operare, se non resta unito alla radice della carità. Perciò, i precetti del Signore sono molti e al tempo stesso uno solo: molti per la diversità delle opere, uno per la radice della carità. Come poi dobbiamo conservare la carità, ce lo insegna quegli stesso che in varie parti della Scrittura ci ordina di amare gli amici in lui e i nemici per lui. Possiede, invero, carità vera solo chi ama l`amico in Dio, e il nemico per Dio.
Vi sono alcuni, infatti, che amano il prossimo per affetto di sangue o di parentela, e ciò non trova sanzione di condanna nella Scrittura. Ricordiamoci però che una cosa è ciò che nasce spontaneamente dalla natura, un`altra è quel che siamo tenuti a praticare in obbedienza al precetto del Signore. Coloro che amano di amore naturale i loro parenti, amano certamente il prossimo; tuttavia, essi non acquistano i nobilissimi premi della carità perché il loro amore non è spirituale, bensì carnale. Ecco perché il Signore Gesù, dopo aver detto: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate scambievolmente“, subito aggiunge: “come io ho amato voi“. Quasi a volerci dire: «Amatevi per quei motivi per i quali io stesso ho amato voi».
Per la qual cosa, fratelli carissimi, va notato con scrupolosa diligenza che il nostro antico avversario, mentre attrae il nostro spirito verso il diletto delle cose temporali, ci mette contro qualche prossimo debole, per strapparci via ciò che amiamo. E non si dà pensiero questo antico avversario, così facendo, di toglierci le cose terrene, bensì di ferire la carità in noi. Invero, quando ciò si verifica, noi subito diamo in escandescenze, e mentre bramiamo uscire vittoriosi all`esterno, dentro veniamo gravemente feriti; mentre all`esterno difendiamo cose da nulla, dentro alieniamo le maggiori, poiché mentre amiamo le cose temporali, perdiamo il vero amore. Chiunque infatti ci toglie del nostro, è un nemico. Però se avremo incominciato ad odiare il nemico, è dentro di noi che si verifica la perdita. Quindi, quando subiamo qualche sgarbo esterno da parte di un prossimo, rimaniamo ben vigili rispetto al devastatore dell`anima nostra: nei suoi confronti non si dà modo più clamoroso di vittoria, se non quello stesso che usiamo quando ricambiamo con l`amore chi ci porta via i beni esteriori. Una sola è la prova suprema della carità: amare anche chi ci si rivela nemico. Ecco perché il Signore Gesù, pur subendo i tormenti della crocifissione, mostra verso i suoi persecutori sentimenti di carità, e dice al Padre: “Perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,24).
C`è da meravigliarsi dunque se i discepoli amano in vita quei nemici che il Maestro ha amato proprio mentre veniva ucciso? Egli esprime il culmine della carità, quando soggiunge: “Nessuno ha un amore più grande di colui che dà la vita per i propri amici” (Gv 15,13). Il Signore era venuto a morire per i nemici, e tuttavia diceva di voler dare la sua vita per gli amici, per mostrarci che, senza ombra di dubbio, mentre possiamo trarre merito dall`amore dei nemici, diventano alla fine nostri amici persino coloro che ci perseguitano. (Gregorio Magno, Hom. in Ev., 27, 1 s.)
Ama e fa’ ciò che vuoi
“In questo si è manifestato l`amore di Dio in noi, che egli ha mandato in questo mondo il suo Figlio Unigenito, affinché potessimo vivere per mezzo suo” (1Gv 4,9). Il Signore stesso ha detto: “Nessuno può avere maggior amore di chi dà la sua vita per i suoi amici“, e l`amore di Cristo verso di noi si dimostra nel fatto che egli è morto per noi. Quale è invece la prova dell`amore del Padre verso di noi? Che egli ha mandato il suo unico Figlio a morire per noi. Così afferma l`apostolo Paolo: “Egli che non risparmiò il suo proprio Figlio, ma lo diede per noi tutti come non ci ha dato insieme con lui tutti i doni? (Rm 8,32). Ecco, il Padre consegnò Cristo e anche Giuda lo consegnò; forse che il fatto non appare simile? Giuda è traditore – dunque anche il Padre è traditore? Non sia mai, tu dici. Non lo dico io ma l`Apostolo: “Lui che non risparmiò il proprio Figlio, ma lo diede per tutti noi“. Il Padre lo diede e Cristo stesso si diede. L`Apostolo infatti dice: “Colui che mi amò e diede se stesso per me” (Gal 2,20). Se il Padre diede il Figlio ed il Figlio se stesso, Giuda che cosa fece? Una consegna è stata fatta dal Padre, una dal Figlio, una da Giuda: si tratta di una identica cosa: ma come si distinguono il Padre che dà il Figlio, e il Figlio che dà se stesso e Giuda il discepolo che dà il suo maestro? Il Padre ed il Figlio fecero ciò nella carità; compì la stessa azione anche Giuda, ma nel tradimento. Vedete che non bisogna considerare che cosa fa l`uomo ma con quale animo e con quale volontà lo faccia. Troviamo Dio Padre nella stessa azione in cui troviamo anche Giuda: benediciamo il Padre, detestiamo Giuda. Perché benediciamo il Padre e detestiamo Giuda? Benediciamo la carità, detestiamo l`iniquità. Quanto vantaggio infatti venne al genere umano dal fatto che Cristo fu tradito? Forse che Giuda ebbe in mente questo vantaggio nel tradire? Dio ebbe in mente la nostra salvezza per la quale siamo stati redenti; Giuda ebbe in mente il prezzo che prese per vendere il Signore. Il Figlio ebbe in mente il prezzo che diede per noi, Giuda pensò al prezzo che ricevette per venderlo. Una diversa intenzione dunque, rese i fatti diversi. Se misuriamo questo identico fatto dalle diverse intenzioni, una di esse deve essere amata, l`altra condannata; una deve essere glorificata, l`altra detestata. Tanto vale la carità! Vedete che essa sola soppesa e distingue i fatti degli uomini.
Dicemmo questo in riferimento a fatti simili. In riferimento a fatti diversi troviamo un uomo che infierisce per motivo di carità ed uno gentile per motivo di iniquità. Un padre percuote il figlio e un mercante di schiavi invece tratta con riguardo. Se ti metti davanti queste due cose, le percosse e le carezze, chi non preferisce le carezze e fugge le percosse? Se poni mente alle persone, la carità colpisce, l`iniquità blandisce. Considerate bene quanto qui insegniamo, che cioè i fatti degli uomini non si differenziano se non partendo dalla radice della carità. Molte cose infatti possono avvenire che hanno una apparenza buona ma non procedono dalla radice della carità: anche le spine hanno i fiori; alcune cose sembrano aspre e dure; ma si fanno, per instaurare una disciplina, sotto il comando della carità. Una volta per tutte dunque ti viene imposto un breve precetto: ama e fa` ciò che vuoi; sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; sia in te la radice dell`amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene. (Agostino, In Ioan. Ep. Tract., 7, 7-8)
[…] Nel Vangelo che abbiamo ascoltato, Gesù ci dà una risposta a questa importante questione: «Come il Padre mi ha amato, così io ho amato voi; rimanete nel mio amore» (Gv 15,9).
Sì, cari amici, Dio ci ama. Questa è la grande verità della nostra vita e che dà senso a tutto il resto. Non siamo frutto del caso o dell’irrazionalità, ma all’origine della nostra esistenza c’è un progetto d’amore di Dio. Rimanere nel suo amore significa quindi vivere radicati nella fede, perché la fede non è la semplice accettazione di alcune verità astratte, bensì una relazione intima con Cristo che ci porta ad aprire il nostro cuore a questo mistero di amore e a vivere come persone che si riconoscono amate da Dio.
Se rimarrete nell’amore di Cristo, radicati nella fede, incontrerete, anche in mezzo a contrarietà e sofferenze, la fonte della gioia e dell’allegria. La fede non si oppone ai vostri ideali più alti, al contrario, li eleva e li perfeziona. Cari giovani, non conformatevi con qualcosa che sia meno della Verità e dell’Amore, non conformatevi con qualcuno che sia meno di Cristo.
Precisamente oggi, in cui la cultura relativista dominante rinuncia alla ricerca della verità e disprezza la ricerca della verità, che è l’aspirazione più alta dello spirito umano, dobbiamo proporre con coraggio e umiltà il valore universale di Cristo, come salvatore di tutti gli uomini e fonte di speranza per la nostra vita. Egli, che prese su di sé le nostre afflizioni, conosce bene il mistero del dolore umano e mostra la sua presenza piena di amore in tutti coloro che soffrono. E questi, a loro volta, uniti alla passione di Cristo, partecipano molto da vicino alla sua opera di redenzione. Inoltre, la nostra attenzione disinteressata agli ammalati e ai bisognosi sarà sempre una testimonianza umile e silenziosa del volto compassionevole di Dio. […] (Papa Benedetto XVI, Madrid 20 agosto 2011, Omelia nella Veglia di preghiera, XXVI GMG)
Cari amici, che nessuna avversità vi paralizzi! Non abbiate paura del mondo, né del futuro, né della vostra debolezza. Il Signore vi ha concesso di vivere in questo momento della storia, perché grazie alla vostra fede continui a risuonare il suo Nome in tutta la terra.
In questa veglia di preghiera, vi invito a chiedere a Dio che vi aiuti a riscoprire la vostra vocazione nella società e nella Chiesa e a perseverare in essa con allegria e fedeltà. Vale la pena accogliere nel nostro intimo la chiamata di Cristo e seguire con coraggio e generosità il cammino che ci propone!
Molti sono chiamati dal Signore al matrimonio, nel quale un uomo e una donna, formando una sola carne (cfr Gn 2,24), si realizzano in una profonda vita di comunione. È un orizzonte luminoso ed esigente al tempo stesso. Un progetto di amore vero che si rinnova e si approfondisce ogni giorno condividendo gioie e difficoltà, e che si caratterizza per un dono della totalità della persona. Per questo, riconoscere la bellezza e la bontà del matrimonio, significa essere coscienti che solo un contesto di fedeltà e indissolubilità, come pure di apertura al dono divino della vita, è quello adeguato alla grandezza e dignità dell’amore matrimoniale.
Cristo chiama altri, invece, a seguirlo più da vicino nel sacerdozio e nella vita consacrata. Che bello è sapere che Gesù ti cerca, fissa il suo sguardo su di te, e con la sua voce inconfondibile dice anche a te: «Seguimi!» (cfr Mc 2,14).
Cari giovani, per scoprire e seguire fedelmente la forma di vita alla quale il Signore chiama ciascuno di voi, è indispensabile rimanere nel suo amore come amici. E come si mantiene l’amicizia se non attraverso il contatto frequente, la conversazione, lo stare uniti e il condividere speranze o angosce? Santa Teresa di Gesù diceva che la preghiera è «conversare con amicizia, stando molte volte in contatto da soli con chi sappiamo che ci ama» (cfr Libro della vita, 8).
Vi invito, quindi, a rimanere ora in adorazione di Cristo, realmente presente nell’Eucarestia. A dialogare con Lui, a porre davanti a Lui le vostre domande e ad ascoltarlo. Cari amici, prego per voi con tutta l’anima. Vi supplico di pregare anche per me. Chiediamo al Signore, in questa notte, attratti dalla bellezza del suo amore, di vivere sempre fedelmente come suoi discepoli. Amen!
Fonte: Figlie della Chiesa
LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
VI Domenica del Tempo di Pasqua
Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 6 Maggio 2018 anche qui.
- Colore liturgico: Bianco
- At 10, 25-27. 34-35. 44-48; Sal.97; 1 Gv 4, 7-10; Gv 15, 9-17
Gv 15, 9-17
Dal Vangelo secondo Giovanni
9Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. 12Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. 13Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. 14Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. 15Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. 16Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 06 – 12 Maggio 2018
- Tempo di Pasqua VI
- Colore Bianco
- Lezionario: Ciclo B
- Anno: II
- Salterio: sett. 2
Fonte: LaSacraBibbia.net
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