“Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,30).
Gesù vede un uomo lì dove noi vediamo solo delle categorie.
Gesù chiama alla comunione coloro che noi escludiamo e giudichiamo.
Gesù è capace di una parola semplice ma che interpella, che ci fa uscire dalle nostre situazioni ristagnanti, bloccate, ripetitive, che ci fa alzare e mettere in cammino dietro di lui, dischiudendoci un futuro nuovo e altro.
Gesù è capace di una comunione che passa attraverso la convivialità, attraverso i gesti più semplici e quotidiani, come il camminare, il sedere a tavola, il conversare.
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Gesù è dentro la storia, le situazioni, gli eventi, non si accontenta di “stare al balcone” a guardare e giudicare come uno spettatore che si tira fuori dalla scena per non farsi coinvolgere, implicare, “sporcare le mani”… egli sa che solo sporcandosi le mani la terra, anche la più arida e incolta, potrà un giorno diventare un giardino variopinto e profumato, un orto ricco di frutti.
Il medico esiste in funzione del malato e tutta la sua arte serve a qualcosa se viene applicata per sanare, o almeno alleviare, il dolore dell’altro: egli deve prendersi cura di chi soffre, con attenzione e sapienza, senza lasciarsi distrarre da chi si reputa sano e disprezza con sufficienza e arroganza gli altri.
Gesù è il medico delle nostre vite, egli è venuto non solo a sanare ma a salvare tutti coloro che si riconoscono malati, che si sanno deboli e fragili, lontani da quella perfezione (forse solo di facciata) esibita e ostentata da alcuni, lontani da “quell’immagine e somiglianza” che, pur nelle loro opacità e storture, resta inscritta nelle profondità del loro essere come un seme che attende di germogliare e crescere.
Gesù è il medico, l’agricoltore, il pastore, egli vive per donare la vita a quanti gli sono stati affidati dal Padre suo, egli si spende per narrare a tutti una misericordia che salva, che libera, che restituisce dignità e futuro a chi è bollato, etichettato, escluso, misurato.
Gesù è venuto a narrare quel Dio che apre la comunione con lui attraverso la via che passa per la comunione con il fratello e la sorella, quel Dio che ama la gioia condivisa più che il grigiore di sacrifici che spengono la vita invece che attizzarla.
Gesù è venuto a narrare un Dio che ama i peccatori, quindi che ama ciascuno di noi: a noi di riconoscerci tali, di lasciarci raggiungere dalla sua parola che ci interpella al cuore delle nostre vicende quotidiane e che ci strappa dalle nostre dinamiche fatte di egoismi e pregiudizi per aprirci nuovi cammini di comunione e gioia… Allora condivideremo la tavola, il cibo, la parola, la fraternità e gusteremo già ora qualcosa di quella festa che ci attende nel Regno del Padre nostro che è nei cieli, come ci ha promesso Gesù stesso: “Io vi dico: ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione” (Lc 15,7).
sorella Ilaria della comunità monastica di Bose
Mt 9, 9-13
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.
Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
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