Malachia, l’ultimo dei Dodici Profeti cosiddetti “minori”, porta un nome impegnativo: “Angelo/Messaggero di Yah/YHWH”. Nome simbolico anonimo o collegabile a qualche personaggio importante dell’AT, di lui non si sa nulla. Compose il suo breve scritto, che nel canone cristiano è l’ultimo dell’Antico/Primo Testamento fra il 515 a.C. e il 330 a.C. (o il 445 a.C., quando Neemia proibì i matrimoni misti).
Il suo libretto consiste praticamente in sei dispute, nelle quali il profeta segue sempre lo stesso schema: 1) una constatazione inziale, a volte in forma retorica o di rimprovero; 2) un’obiezione (o controdomanda); 3) confutazione dell’obiezione (da parte di Dio o del profeta) con la riaffermazione dell’assunto di partenza; 4) conseguenze dei ragionamenti fatti. Destinatari dei forti rimproveri sono spesso i sacerdoti, ma anche i laici che contraggono matrimoni con gente pagana o divorziano dalla prima moglie.
Custodi, non funzionari
Nella seconda disputa, il profeta rivolge a nome di YHWH un severo “comandamento/rimprovero/miṣwāh” (Ml 2,1) ai sacerdoti. Dopo aver loro ricordato il grave affronto infertogli – l’offerta di animali difettosi (1,14a) –, rammenta loro di essere un “grande re”, dal nome/persona “maestoso/terribile/nôrā’”). E questo fra le “genti/gôyim”.
I sacerdoti non possono diventare funzionari del sacro, padroni delle offerte presentate dai fedeli affinché siano donate a YHWH. Devono “essere attenti/porre sul cuore/śîm ‘al lēb” non delle azioni ripetitive, padroneggiate, sviate e corrotte. Devono “porre sul cuore” “il peso/la gloria/kābôd” del nome/persone di YHWH. Devono accrescerla con un atteggiamento di venerazione dal cuore integro, leale, rispettoso.
I sacerdoti hanno deviato dalla strada principale, l’unica, quella dell’alleanza di YHWH fatta con i padri, in questo caso con il padre della loro tribù, Levi. Un’alleanza fra un Dio di liberazione e di amore, che va rispettato e onorato nel culto e nella vita, e il capostipite dei sacerdoti che devono essere tutti del Signore.
A loro non è riservata alcuna parte di eredità della terra, perché abiteranno fra i loro fratelli avendo come eredità YHWH stesso (Dt 14,29; Nm 18,20-32; Dt 18,1-8; Gs 14,3-4; 18,7. Le altri tribù li sosterranno nelle loro necessità, fornendo loro il necessario per vivere.
A loro saranno riservate alcune città particolari (Lv 25,32-34; Nm 35,4.8; Gs 21,1s.41 1Cr 6,39-66). Essi devono dedicarsi con umiltà a venerare il Signore, presentando a lui le offerte cultuali senza difetto, regolari, degne di un “grande re”. Con il loro comportamento fraudolento e il loro “insegnamento/torah” invece hanno scandalizzato molti (= tutti?), facendoli “inciampare/kāšal”.
Il loro impegno non è solo cultuale, ma quello di mantenere viva un’alleanza, far percepire sempre alla gente che Dio è dalla loro parte, amante degli uomini e che accetta i sacrifici corretti solo in quanto espressione dell’offerta delle loro persone, espressione di fedeltà a un’alleanza di vita sostenuta per la massima parte dal “grande re”.
Di inciampo a molti
Di sacerdoti maneggioni, affaristi, con l’animo da funzionario del sacro e presunti padroni delle coscienze ce ne sono sempre stati e sempre ce ne saranno. L’inciampo perpetrato contro i fedeli – e talvolta contro i più fragili e piccoli fra di loro – è gravissimo e segna per molti la fine di una volontà di rapportarsi a Dio, alla comunità cristiana, ai sacerdoti e al mondo della fede stessa. Un inciampo tremendo, che YHWH punisce con il massimo dello spregio, pudicamente “tagliato” dalla lettura liturgica: «Ecco spezzerò il vostro braccio e spanderò sulla vostra faccia escrementi, gli escrementi delle vittime offerte nelle vostre feste solenni» (Ml 2,3!). Li renderà spregevoli e abietti, perché hanno fatto del male gravissimo alle loro vittime. Lo hanno fatto con il loro comportamento menzognero, maneggiando in modo fraudolento le offerte dei fedeli, sviandole dalla loro destinazione “divina”.
Con il loro insegnamento hanno fatto danno e inciampo, annunciando un Dio diverso da quello attestato dalla Scrittura e “facendo parzialità/alzando la faccia/nāśā’ pānîm” fra le persone (certo non preferendo i più poveri…).
L’alleanza con i padri e con Levi, il progenitore della loro tribù, è stata invalidata, distrutta. Occorre ricostruirla tornando alla verità del proprio compito di leviti e di sacerdoti in mezzo al popolo di Dio: preghiera, offerta di sacrifici compiuti in modo degno, insegnamento veritiero, secondo le parole e le opere di YHWH e la sua alleanza, coerenza fra insegnamento e vita. Dio è unico padre di tutti i figli che ha creato. Non c’è posto per la perfidia e l’inganno in un popolo di fratelli, ma solo la gara a costruire relazioni buone e “patti” che leghino anche le varie generazioni fra di loro (cf. Rm 12,10). I sacerdoti di YHWH questo devono compiere. L’alleanza con lui deve essere l’unica stella che li guida sul cammino, per non allontanarsi mai dalla strada della vita.
La città del grande re
Il Vangelo di Matteo ha presentato in un primo momento Gesù come il messia secondo le Scritture (Mt 1,1–4,17); poi ha illustrato le opere del Cristo e la discussione su di esse, fra coloro che le accettano e coloro che le rifiutano (4,18–16,20).
Al centro del Vangelo si staglia Pietro, che, a nome dei Dodici, professa la sua fede nel Messia (16,13-20): le opere che compie manifestano Gesù come messia.
In Mt 16,21–28,20 si presenta, infine, Gesù come il Messia, il Figlio dell’uomo rigettato, ma intronizzato da Dio nel suo Regno glorioso. Gesù entra in Gerusalemme, la città del grande re (Mt 5, 35; cf. Ml 1,14): un re umile e mansueto, sopra un asino e un puledro. L’evangelista Matteo è l’unico a ricordare che, entrato nell’area templare (hieron), operò delle guarigioni di ciechi e storpi, che non potevano inoltrarsi oltre i primi spazi ed entrare nell’atrio degli uomini, all’interno del santuario vero e proprio (naos).
Dice infatti Lv 21,16-21, a proposito dei sacerdoti che “servono” il Signore: «Il Signore parlò a Mosè e disse: “Parla ad Aronne dicendo: Nelle generazioni future nessun uomo della tua stirpe che abbia qualche deformità potrà accostarsi ad offrire il pane del suo Dio; perché nessun uomo che abbia qualche deformità potrà accostarsi: né un cieco né uno zoppo né uno sfregiato né un deforme, né chi abbia una frattura al piede o alla mano, né un gobbo né un nano né chi abbia una macchia nell’occhio o la scabbia o piaghe purulente o i testicoli schiacciati. Nessun uomo della stirpe del sacerdote Aronne con qualche deformità si accosterà per presentare i sacrifici consumati dal fuoco in onore del Signore”».
Grazie a Gesù, ciechi e storpi potranno così entrare nel santuario, lodare il Signore e presentare le loro offerte insieme ai loro “fratelli”.
Naftalina
All’interno dell’area templare, forse sotto il Portico di Salomone che ne segnava il confine orientale, Gesù tiene un forte discorso alla folla e ai suoi discepoli (23,1). Egli prende di mira difetti ed errori gravi compiuti dagli scribi e dai farisei (bollati come “ipocriti”), ma che nell’80 d.C. l’evangelista Matteo ricorda molto bene nel suo vangelo perché possono ripetersi tali e quali nell’assemblea dei discepoli di Gesù (così come oggi)!
Gesù pronuncia sette forti invettive (non maledizioni!) di profetico dolore (“guai/ouai/ in ebr. hôi, cf. Ab 2,6.9.15.19; Sof 2,5; Am 6,1; Ger 48,1; Ez 13,3.18 ecc.), in una “lite di famiglia” tesa alla conversione e al recupero, non alla condanna e all’esclusione.
Gesù conosceva bene l’ambiente e la debolezza degli uomini, anche se esperti nella Legge e nell’applicazione dei suoi minimi dettagli per santificare YHWH in ogni momento e in ogni luogo.
Dall’intenzione iniziale è facile però cadere lentamente nell’ostentazione, nella ricerca del prestigio, nella vanagloria, nell’ipocrisia vera e propria. Si ricerca il consenso e il plauso della gente, ma nell’ipocrisia si dice e non si fa. Forse non si insegnano cose che offendano Dio, ma quando la vita non corrisponde all’insegnamento, tutto si corrompe con un odore di falsità, di marcio, di incoerenza che non riesce a cambiare i cuori di chi ascolta e vede agire così i servi di YHWH.
Gli incoerenti e i malvagi tendono a diventare rigidi e cattivi (lo ha ricordato anche papa Francesco). A loro preme la dottrina «in naftalina» (ancora papa Francesco). Vera, ma fissa. Vera, ma che ha perso il contatto con la realtà mutata profondamente e con le persone immerse in culture totalmente diverse, che modificano la stessa percezione valoriale. Dottori della legge che ignorano la fatica della vita, il dolore silenzioso delle famiglie, la fragilità delle psicologie odierne, la liquidità delle relazioni, l’assenza di figure paterne valide e di testimonianze serene e credibili da parte degli adulti.
Felici per sempre
Il cuore di Dio è sempre vicino al cuore delle persone, i suoi figli. Per essi ha espresso progressivamente lungo i secoli la sua volontà secondo la loro capacità spirituale e culturale di percepirla. Non va quindi “messa in naftalina”. Cosa dici, Signore, a tutta la comunità dei figli, perché oggi possiamo essere veramente liberi e felici per sempre (cf. Dt 4,40; 5,16, 6,24; 12,25; 19,13)?
«Il Signore udì il suono delle vostre parole, mentre mi parlavate – dice Mosè all’inizio del suo secondo discorso di fronte alla Terra Promessa –, e mi disse: “Ho udito le parole che questo popolo ti ha rivolto. Tutto ciò che hanno detto va bene. Oh, se avessero sempre un tal cuore, da temermi e da osservare tutti i miei comandi, per essere felici loro e i loro figli per sempre!”» (Dt 5,28-29).
Un solo Padre, tutti fratelli
Non vanno ricercati i titoli, anche se ci sono persone che li pretendono anche dopo che la Santa Sede stessa li ha aboliti… Non chiamate nessuno (e non fatevi chiamare), “rabbì”, “padre” o “guide”. Uno solo è il Maestro (il Cristo), uno solo è il Padre (Dio), uno solo è la Guida (il Cristo). Voi siete tutti fratelli, figli dell’unico Padre celeste, guidati dall’unica Guida autorizzata, perché inviata dal Padre, umile e coerente fino al dono totale di se stesso.
L’umiltà è la via della fraternità accogliente. Allora la gente potrà avvertire che ci sono persone che “danno vita” con la loro vita, con l’insegnamento, con la bontà del cuore. Ai religiosi diranno ancora con fiducia e affetto “padre/madre/sorella”. Non disobbediscono alle parole Gesù, quando incontrano l’uomo/la donna di Dio che ama di cuore i propri fratelli. Riconosceranno la paternità nella loro fraternità feconda.
Per essere felici, per sempre!
Evangelii gaudium!
Commento a cura di padre Roberto Mela scj – Fonte del commento: Settimana News