Commento al Vangelo del 5 novembre 2017 – p. Raniero Cantalamessa

Uno solo è il vostro maestro

Al centro delle letture di questa Domenica troviamo una vera e propria requisitoria contro i sacerdoti e le guide spirituali del popolo (scribi e farisei), che in parte si applica ai capi e ai maestri religiosi di tutti i tempi. Il pensiero di Gesù, a questo riguardo, si riassume nell’invito:

“Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno”.

Lasciamo tutto ciò alla riflessione della categoria più direttamente interessata, il clero, e cerchiamo di cogliere, all’interno di questo tema generale, uno spunto che interessa indistintamente tutti e che ricorre in questo solo punto in tutti e quattro i vangeli. Gesù dice ai suoi discepoli:

“Non fatevi chiamare ‘maestri, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo”.

I titoli di Cristo sono come facce di un prisma, ognuna delle quali riflette un particolare “colore”, cioè un aspetto della sua realtà intima. Qui ci troviamo dinanzi a un titolo importantissimo. Il rapporto fondamentale che legava Gesù e i suoi seguaci durante la vita era il rapporto maestro – discepoli. Gesù era chiamato Rabbì, cioè maestro. Quando i farisei parlano di lui agli apostoli dicono: “Il vostro maestro…” (“Perché non digiuna il vostro maestro?”); quando parlano a lui dei suoi apostoli dicono: “I tuoi discepoli…” (“Perché i tuoi discepoli mangiano senza essersi lavati le mani?”).
Il rapporto maestro discepolo è importante anche oggi. Presso certe categorie di professionisti (medici, giuristi ) e presso gli artisti, la cosa di cui si è più fieri e che si mette in testa alle proprie referenze è il nome del maestro alla cui scuola ci si è formati. Ma questo rapporto era ancora più importante al tempo di Gesù, quando non c’erano libri e tutta la saggezza si trasmetteva per via orale, da maestro a discepolo. In questo senso, Gesù una volta dice che “non c’è discepolo dappiù del suo maestro” (Matteo 10,24). Se tutto quello che uno sa, lo sa dal maestro che gli trasmette la tradizione del passato, finché rimane suo discepolo, o in quanto discepolo, non può evidentemente saperne più del maestro. Questo non toglie che il discepolo, attingendo da altre fonti o per indagine propria, possa superare il maestro (quando si tratta di un maestro umano), come tante volte avviene.
Nel mondo moderno il discepolo vive a casa sua e solo va alcune ore al giorno a scuola, in genere non presso un solo maestro, ma più maestri. Al tempo di Cristo, il discepolo andava a vivere con il maestro, imparava standogli accanto notte e giorno, osservando come viveva, rispondeva, si comportava. C’era una trasmissione di esistenza, non solo di dottrina. Anche Gesù fa lo stesso: invita i suoi futuri apostoli a “stare con lui”, prima di mandarli a predicare.
In un punto Gesù si distacca però anche da quello che avveniva al suo tempo tra maestro e discepoli. Questi si pagavano, per così dire, gli studi servendo il maestro, facendo per lui le piccole commissioni e rendendogli i servizi che un giovane può rendere a un anziano, tra cui c’era il lavargli i piedi. Con Gesù avviene il rovescio; è lui che serve i discepoli. Sentiamo cosa dice dopo aver lavato i piedi agli apostoli:

“Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Giovanni 13, 13-15).

Gesù non è davvero della categoria dei maestri che “dicono e non fanno”. Egli non ha detto di fare nulla ai suoi discepoli che non abbia fatto lui stesso. È l’esatto opposto dei maestri rimproverati nel brano odierno di Vangelo, i quali ”legano pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito”. Non è uno di quegli indicatori stradali che indicano la direzione in cui andare, ma loro non si spostano di un centimetro. Perciò può dire con tutta verità: “Imparate da me”.
Ma che vuol dire che Gesù è l’unico maestro? Non vuol dire, alla lettera, che questo titolo d’ora in poi non deve essere più usato per nessun altro, che nessuno ha il diritto di farsi chiamare maestro. Vuole dire che nessuno ha il diritto di farsi chiamare Maestro (con la lettera maiuscola), come se fosse il possessore ultimo della verità e insegnasse in nome proprio la verità su Dio. Il perché, Gesù lo spiega chiaramente quando dice:

“Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Giovanni 14, 6).

Gesù è la suprema e definitiva rivelazione di Dio agli uomini che contiene in sé tutte le rivelazioni parziali che si sono avute prima o dopo di lui; è il Logos totale, diceva già san Giustino Martire, in cui sono racchiusi tutti i “semi di verità” disseminati nel mondo.
Ma domandiamoci: di che cosa è maestro Cristo, qual è la sua “specializzazione”? Due soli soggetti: Dio e l’uomo. Ci fa conoscere Dio e ci fa conoscere noi stessi; ma sappiamo che in queste due conoscenze è racchiusa tutta la sapienza essenziale. Sant’Agostino pregava Dio dicendo: “Che io conosca te e che io conosca me”. La conoscenza di Dio senza la conoscenza di sé porterebbe alla presunzione di credersi uguali a Dio (“Comprendere è uguagliare”, diceva, mi pare, Raffaello); la conoscenza di sé senza quella di Dio porterebbe alla disperazione. L’insieme delle due cose è la vera sapienza.
Su Dio, Gesù non si è limitato a ripetere cose già dette e note. Ha portato delle novità assolute che solo il Figlio “che è nel seno del Padre” poteva rivelare: che è Padre, Figlio e Spirito Santo, cioè Trinità; che è amore e perciò è Trinità, perché meno che tra due persone non ci può essere amore. Ci ha rivelato “le profondità di Dio”. Sull’uomo, ha rivelato che è destinato a diventare figlio di Dio, a possedere la vita eterna, che è libero e può decidersi o per la luce o per le tenebre, può credere o rifiutare di credere, decidendo così del suo destino eterno.

Ma non ha detto solo verità astratte su Dio; non si è limitato a rivelarci chi è Dio, ma anche cosa vuole Dio, la sua volontà su di noi. “Questa è la volontà del Padre mio…”. Il Vangelo non è, nel suo insieme, che la rivelazione di questa via di Dio. Questo va ricordato all’uomo d’oggi e il papa Giovanni Paolo II lo ha fatto con l’enciclica Veritatis splendor, “Lo splendore della verità”. L’uomo moderno pensa molto spesso che non esiste una verità assoluta, valida sempre e per tutti; esistono tante verità quanti sono i soggetti. La verità è soggettiva, non oggettiva. Il valore supremo non è la verità, ma la veracità, cioè la sincerità: dire quello che si crede vero, quello in cui si crede, senza pretendere che sia la Verità. Poiché non esiste una verità assoluta, non esistono neppure norme morali assolute. L’uomo si inventa la sua morale a mano a mano che progredisce nella storia, come il fiume, avanzando, si scava il suo letto. La morale dipende dalla cultura: è buono quello che la maggioranza, in un certo contesto culturale, ritiene essere tale. È il relativismo morale che vediamo ogni giorno riaffermato e attuato nella pratica.

Contro questo relativismo il papa riafferma che esiste una Verità assoluta perché esiste Dio che è il misuratore della verità. Questa verità essenziale, certamente da individuare con sempre maggiore accuratezza, è stampata nella coscienza. Ma poiché la coscienza si è appannata per il peccato, per le abitudini e gli esempi contrari, ecco il ruolo di Cristo che è venuto a rivelare in modo chiaro questa verità di Dio, che impersona anzi in se stesso questa verità; ecco anche il ruolo della Chiesa e del suo magistero che spiega tale verità di Cristo e la applica alle mutevoli situazioni della vita.
Ma è soprattutto lo Spirito Santo, lo “Spirito di verità”, che ormai ci guida alla verità tutt’intera, ci ricorda quello che Gesù ha detto. Egli è il maestro interiore, senza del quale invano si leggono o si ascoltano parole che vengono dal di fuori. Lui conferisce quella speciale unzione che “insegna ogni cosa” (1 Giovanni 2, 27).
Prima di salire al cielo Gesù diede una consegna agli apostoli:

“Andate e ammaestrate tutte le nazioni…insegnando loro ad osservare tutto ciò che io vi ho comandato” (Matteo 28, 19 s.).

Se i discepoli devono “ammaestrare” e “fare discepoli”, vuol dire che sono anch’essi promossi maestri. È vero; questo però non toglie che c’è ancora e sempre un solo maestro, perché essi non devono fare gli uomini “discepoli” propri, ma di Cristo.
In questo nuovo compito di maestri gli apostoli e i loro successori (e, in un altro senso, tutti i battezzati) devono imitare il loro maestro. Insegnare con l’esempio, amare coloro ai quali sono chiamati a trasmettere la verità (la verità si trasmette solo nella carità, su nessun’altra lunghezza d’onda!), lavare i piedi ai propri discepoli, cioè in spirito di servizio, non di dominio. E quello che il divino Maestro raccomanda al termine del brano odierno di vangelo:

“Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato”.

Il frutto più bello della nostra riflessione odierna sul Vangelo sarebbe riscoprire, con l’aiuto dello Spirito Santo, quale onore, quale privilegio inaudito, quale titolo di raccomandazione (presso Dio) sia l’essere discepoli di Gesù di Nazaret. Mettere anche noi questa cosa in cima a tutte le nostre referenze. Essere e sentirci, nella vita, prima di ogni altra cosa, discepoli di Cristo. Che vedendoci o udendoci qualcuno possa dire di noi, ciò che la donna disse a Pietro nell’atrio del Sinedrio: “Anche tu sei uno dei suoi discepoli. Il tuo parlare (meglio se si potrà aggiungere: e il tuo operare) ti tradisce” (cfr. Matteo 26, 73).

Fonte

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XXXI Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Mt 23, 1-12
Dal Vangelo secondo  Matteo

1Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2dicendo: «Sulla cattedra di Mosé si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. 8Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 05 – 11 Novembre 2017
  • Tempo Ordinario XXXI
  • Colore Verde
  • Lezionario: Ciclo A
  • Salterio: sett. 3

Fonte: LaSacraBibbia.net

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