Il grido di dolore accomuna tutti! Alla sofferenza si può rispondere in maniera diversa:
- a) con ‘disfattismo’, cioè con la ricerca della morte, suicidio, eutanasia;
- b) con ‘ribellione’ nel tentativo di contrastarla o allontanarla;
- c) con ‘accettazione’, nella fede dell’Amore di Dio per noi. Più l’accettiamo e più la sofferenza diventa leggera perché Cristo la porta con noi.
Per capire la Passione secondo Matteo riflettiamo non solo sulla sofferenza fisica di Gesù, ma anche quella morale, e spirituale. Due fatti ci possono aiutare:
- Nella preghiera al Getzemani, Gesù provando tristezza, paura, e angoscia si rivolge a Dio con questa espressione: “Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36). È molto importante che Gesù ci faccia conoscere Dio come Padre: questo ci conforta e ci dà forza per affrontare i nostri momenti difficili.
Questo è l’interrogativo ricorrente durante i secoli ogni qual volta l’uomo si trova di fronte e dentro la sofferenza; è l’interrogativo affrontato da tanti scrittori, filosofi e teologi e mai risolto, se non quando si giunge all’accettazione della sofferenza come ‘mistero’ che ci riguarda tutti, di un mistero che trova senso pieno non solamente nella morte in croce di Gesù, ma nella sua risurrezione. Dio non ci toglie la sofferenza, ma ci dà la forza per usarla bene per la redenzione nostra e del mondo.
- Il grido di Gesù sulla croce: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, ci dice che il suo patire non è solamente fisico e psichico, derivante dall’essere stato inchiodato sulla croce, e questo basterebbe già di per sé. Il soffrire di Gesù è lancinante, morale e spirituale:
- è spiritualmente come un fallimento della sua missione:
- viene condannato dall’autorità religiosa giudaica,
- i suoi discepoli si disperdono e Lui si sente abbandonato dal Padre suo!
Giovanni Paolo II, nella Lettera Apostolica “Salvifici Doloris”, al n° 18, spiega che queste parole di Gesù sul Golgota: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, “nascono sul piano dell’inseparabile unione del Figlio col Padre, e nascono perché il Padre “fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti” (Is 53,6) e sulla traccia di ciò che dirà San Paolo “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore (2 Cor 5,21).
Ma proprio mediante tale sofferenza egli compie la Redenzione, e può dire spirando “Tutto è compiuto” (Gv 19,30).
“Perché mi hai abbandonato?” Non è una domanda senza risposta, osserva il card. Angelo Scola, perché anche il silenzio è una risposta. Non è forse questa l’esperienza di ognuno di noi di fronte alla sofferenza altrui? Il restare zitti, il non sapere che cosa dire!
Gesù non ha cercato di cancellare il dolore attraverso una teoria più brillante delle altre, ma si è immedesimato nella sofferenza illuminandola come unico mezzo di salvezza: noi siamo chiamati a collaborare alla Sua redenzione del mondo.
La sofferenza di Cristo sulla croce ci salva e dà senso anche alla nostra sofferenza. S. Paolo così scrive ai cristiani di Colossi: “Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1, 24).
G. Cottolengo afferma: “Se il Signore ci visita con malattie e tribolazioni, siamone contenti e rassegnati; queste, sono segno che Iddio è contento di noi”.