Il commento al Vangelo della domenica a cura di don Mauro Pozzi parroco della Parrocchia S. Giovanni Battista, Novara.
CORREZIONE FRATERNA (Mt. 18, 15-20)
Quando ci sembra di aver subito un torto siamo spesso portati a considerare solo noi stessi e a condannare chi ci ha offeso. Il Maestro propone un comportamento molto diverso. Prima di tutto chiede di considerare anche la controparte: se ha sbagliato è bene che abbia la possibilità di rimediare comprendendo quello che ha fatto. L’ammonimento fatto a tu per tu è il primo passo.
Intanto confrontarsi con l’altro serve per mettere bene a fuoco il problema e poi abbassa la pressione. Infatti spesso tenendosi le cose dentro, e magari fingendo che tutto vada bene, si coltivano rancore e cattivi pensieri che tolgono la pace. Avere il coraggio di affrontare pacatamente l’altro permette di essere più sereni. Se la contesa non si compone, può essere che il problema sia della controparte, come anche nel cattivo giudizio di chi si sente offeso, per cui far intervenire dei testimoni garantisce una maggiore obiettività.
È un passo intermedio, in cui non si porta a conoscenza di tutti il problema, ma se non si arriva alla composizione, allora l’intera comunità è chiamata a intervenire. In questa maniera è garantito un giudizio equilibrato della controversia e chi è in errore ha modo di rivedere le sue posizioni. Una eventuale esclusione dalla chiesa non ha un valore solo umano, ecco perché il Maestro sottolinea che ciò che viene legato o sciolto lo è per la terra come per il cielo. Essere in comunione comporta una responsabilità reciproca.
La salvezza non può essere un obiettivo individuale, perché la legge stessa, come ci ricorda San Paolo, è fondata sull’amore. Nessuno che sia veramente amato si può lasciare indietro. Ciò che un’eventuale disapprovazione o condanna vuole ottenere è la redenzione di chi ne è oggetto.
Come il Signore dice a Ezechiele, dobbiamo essere come sentinelle, non per cogliere in fallo gli altri, ma per vegliare sulla loro salute spirituale. Il compito principale dei sacerdoti e dei vescovi è assolvere, ma se l’assoluzione è negata, è perché non c’è una vera conversione. Se andasse sempre tutto bene non ci sarebbero termini di paragone e nessuno sarebbe stimolato a migliorare. Il valore della comunità è grande anche per la preghiera. Essere insieme a chiedere vuol dire che non c’è una ricerca egoistica dei propri interessi, ma la volontà di cercare il bene comune. La nostra non è una religione individualistica in cui Dio è una specie di proprietà privata, ma fondandosi sull’amore, richiede necessariamente la condivisione. Chiesa vuol dire assemblea, quindi essere cristiani significa riconoscersi in una comunità. Gesù è presente quando c’è comunione.