Gesù in fuorigioco
Fuorigioco! Gesù gioca troppo avanti, oltre la linea difensiva e il suo goal è giustamente annullato dall’arbitro. E l’iniziale stupore si trasforma subito in delusione. Gesù gioca male e va messo fuori dal campo, non rispetta le regole e rovina il gioco di tutti.
Da semplice spettatore del calcio (specialmente in questo periodo di competizione europea) mi viene da commentare così la scena descritta dal Vangelo di questa domenica.
Gesù è nella sua città dove è cresciuto e conosciuto, predica nella sinagoga dove sanno tutto di lui, o almeno credono di sapere tutto… Visto che gioca in casa la sua partita di profeta e messia, venuto a rimettere gli uomini nel gioco di Dio, potremmo pensare che ha gioco facile, ma è proprio questo suo essere ben conosciuto che frena la sua partita.
Gesù non sta giocando a calcio, dove ovviamente anche per i fuoriclasse le regole valgono e vanno rispettate, ma sta cambiano il gioco della religione riportandola alla sua vera essenza che è un rapporto vero e diretto tra Dio e l’uomo e gli uomini tra di loro. Gesù usa la parola e soprattutto i gesti miracolosi per comunicare la forza di Dio e la sua presenza nel mondo, ma ben presto appare troppo fuori, troppo “avanti” per essere compreso. In fondo è solo un falegname e di lui si conosce bene la famiglia. Nelle parole dei suoi compaesani riportate dall’evangelista si legge tutto il disprezzo quando viene chiamato non per nome, ma come “figlio di Maria”, senza cioè manco nominare il padre, come fosse un disonore proprio per la famiglia del padre.
Il pregiudizio, cioè il fermarsi alle apparenze e al “già noto” di una persona, frena le relazioni tra gli uomini e blocca persino l’azione di Dio stesso. È singolare infatti come a Gesù viene addirittura impedito di fare miracoli. Non ha senso per lui fare miracoli se questi vengono visti solo come stregonerie e non come segni della presenza di Dio.
Gesù si meraviglia di questa incredulità dei suoi che lo giudicano senza appello. Gesù non finisce mai di rimanerci male difronte alla durezza di cuore di chi giudica e blocca l’altro e blocca anche Dio stesso. Se ci pensiamo bene è la stessa nostra reazione amara quando ci sentiamo giudicati prima di parlare, quando scopriamo che l’altro o gli altri ci guardano sempre allo stesso modo e non vedono il nostro sforzo di crescere e migliorare. Ed è anche quello che spesso facciamo noi stessi con il prossimo quando giudichiamo senza conoscere e ci fermiamo al pregiudizio che mi fa pensare dell’altro “è sempre lo stesso, non cambierà mai, so già dove vuole arrivare…”.
E viviamo così anche la religione, quando questa si cristallizza in una serie di piccole regole e piccole tradizioni e non alimenta più la vita di ogni giorno. Arriviamo preoccuparci più delle regole che del cercare Dio dentro la vita di ogni giorno, e la fede non ha più nulla di nuovo da insegnarci.
E così anche con noi Dio diventa incapace di fare miracoli. Non penso tanto a guarigioni straordinarie, ma Dio diventa incapace di rendere noi stessi un suo miracolo, un suo segno potente di amore che cambia il gioco del mondo e fa vincere la Sua partita.
Se non accogliamo la novità di Gesù e delle sue parole, se non ci mettiamo in gioco davvero come cristiani, con passione e entusiasmo, la nostra vita di fede si trasforma in un “palleggiare” a bordo campo che non fa vincere nessuno… nemmeno Dio, che rimane in fuorigioco.
Fonte: il blog di don Giovanni Berti (“in arte don Gioba”)