Commento al Vangelo a cura di don Giovanni Berti
Il Vangelo di questa domenica inizia dove era finito il racconto del vangelo di domenica scorsa. Anzi, viene ripetuta l’ultima riga, quando Gesù proclama che quel che è stato letto da lui dal rotolo del profeta Isaia si sta realizzando.
E’ davvero importante non dimenticare il legame profondo di tutto il brano di Gesù nella sinagoga di Nazareth, anche se la liturgia lo divide in due diverse domeniche.
[ads2]Gesù sta dicendo ai suoi concittadini, che lo hanno visto crescere e ne conoscono bene la famiglia, che le parole di misericordia di Isaia (…ai poveri il lieto annuncio, ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista, a libertà agli oppressi…) non sono parole sepolte nel passato o così lontane nel futuro da risultare inutili, ma sono parole di “OGGI” con lui, inviato da Dio per realizzare tutto questo.
La prima reazione è lo stupore, e l’evangelista sottolinea che “…tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia”.
Ma la meraviglia pian piano si trasforma in odio e violenza quanto “tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno”.
Cosa è successo tra la reazione di meraviglia a quella di sdegno?
Gesù, testimone di verità, non ha i cosiddetti “peli sulla lingua”, e oltre a rivelare che la parola antica di Isaia si realizza, svela anche la profonda ipocrisia di tutti coloro che sono in quel luogo di preghiera, così vicini fisicamente alla Parola di Dio ma nello stesso tempo così lontani. Infatti ascoltano le parole della Scrittura ma queste parole non le fanno scendere nel loro cuore e nella loro vita, che rimangono invece abitati da pregiudizi e chiusure.
Gesù svela loro questa ipocrisia, citando la stessa Scrittura e ricordando le volte in cui Dio non è riuscito a fare nulla per il suo popolo ma solo a degli stranieri “lontani da Dio” (la storia di Elia e di Eliseo…).
Gesù guarda in faccia i suoi concittadini e non dice loro che il nemico della fede è fuori da quelle pareti della sinagoga e non li incita ad armarsi e convertire il mondo “tutto cattivo e lontano da Dio”. Gesù punta il dito proprio su di loro e sul nemico di Dio che hanno dentro il loro cuore, un nemico che impedisce loro di accogliere veramente Dio mentre è li a due passi da loro.
A questo punto io non posso non sentirmi interpellato in questa provocazione di Gesù che vale per tutti coloro che erano in quella sinagoga come per me e per noi oggi.
Quale è la mia reazione allo sguardo interrogativo di Gesù?
Gesù mi sta dicendo chiaramente che il primo nemico per la mia fede sono io stesso, nella misura in cui ascolto superficialmente i suoi insegnamenti e mi chiudo nei confronti dei fratelli.
I concittadini di Gesù risposero con il rifiuto e la violenza, arrivando persino all’eliminazione fisica di colui che li interrogava e nello stesso tempo li chiamava a conversione.
Io non posso tentare di nuovo di eliminare Gesù buttandolo dal precipizio di Nazareth per metterlo a tacere, ma posso zittirlo seppellendolo in una fede superficiale e fatta di riti stanchi e abitudinari. Posso mettere a tacere Gesù, se mi chiudo in me stesso e nella mia comunità e tradizioni non ascoltando la storia che mi circonda che mi parla di Dio in modi sempre nuovi. Posso zittire il Vangelo se non lo metto in pratica in modo coraggioso e uscendo per strada, come dice spesso papa Francesco, anche a costo di sporcarmi, ma con la convinzione che le parole di Gesù sono vive e cambiano il mondo per davvero.