Commento al Vangelo del 31 gennaio 2010 – Paolo Curtaz

Quarta domenica durante l’anno, anno di Luca
Ger 1,4-5.17-19/1Cor 12,31-13,13/Lc 4,21-30

Gesù profeta

Gesù inizia il ministero a casa sua, nella sinagoga di Nazareth.

Domenica scorsa abbiamo ascoltato nel racconto di Luca della lettura durante il culto dello shabbat, da parte di Gesù, del profeta Isaia, lettura dei tempi messianici. Isaia profetizza speranza, consolazione, ritorno dall’esilio, conversione, pace, luce, una benedizione infinita sul popolo di Israele.

Gesù conclude dicendo: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura”.

È lui a portare quella buona notizia. È lui la buona notizia.

Fantastico, no? A questo punto una buona sceneggiatura prevede musica intensa, il primissimo piano su Gesù che si allarga sulla folla esterrefatta che gioisce e piange e abbraccia Gesù.

Ma la vita non è (quasi) mai un film. Gesù richiude il rotolo del profeta Isaia e la gente inizia a mormorare a voce sempre più alta.

«Ma non è il figlio di Giuseppe? Il falegname? Sì, è lui! Ho anche un bel comò che mi ha fatto suo padre! Ma che gli prende? Si è montato la testa?»

Gesù interagisce, cita la Scrittura, spiega come sia difficile fare i profeti in casa propria, che solo degli stranieri, come la vedova di Zarepta e Naaman il Siro, hanno saputo riconoscere profeti grandi come Elia ed Eliseo. E si scatena il putiferio.

All’iniziale sconcerto subentra l’offesa e la permalosità.

Ma come si permette? Ma chi si crede di essere questo giovane presuntuoso? Noi sapremmo riconoscere Elia o Eliseo! Sapremmo accogliere il Messia, se Adonai lo inviasse!

Scomode verità

Oggi parliamo di profeti inascoltati.

Oggi parliamo di come Dio sia venuto a parlare di sé e di come noi ci rifiutiamo di ascoltarlo.

Le ragioni del rifiuto sono evidenti: Gesù è un Messia banale, poco spettacolare, non corrisponde ai criteri minimi di serietà del profeta standard.

Accade così anche al nostro mondo disincantato e cinico: siamo talmente impregnati di ciò che pensiamo essere il cristianesimo da non riconoscere il vero volto di Dio.

Cosa c’entra la Chiesa con Dio?

E le tante questioni aperte in ambito etico col vangelo?

E la mia parrocchia con Gesù?

Molti fratelli e sorelle sono scandalizzati dal fatto che la parola grande di Dio è consegnata alle fragili mani di discepoli spesso incoerenti. Ci fermiamo al messaggero ignorando il messaggio.

Come vorrei gridare forte ai fratelli che non credono: andate al Gesù del vangelo! Non al Gesù dell’abitudine o degli stereotipi simil-cattolici!

Andate alla sorgente, non lasciatevi fermare dalla nostra incoerenza! Il tesoro è custodito in fragili vasi di creta, la fontana è arrugginita ma l’acqua che vi sgorga è pura e fresca.

Dio (che mistero!) accetta il rischio di affidare alle nostre balbettanti parole la sua Parola.

Professionisti

Attenti, però, discepoli del Nazareno. Questa pagina non è rivolta anzitutto a chi non crede, ai lontani, ai sé dicenti atei. È anzitutto rivolta a noi discepoli del Risorto, a noi che frequentiamo la sinagoga, che ci sentiamo figli di Abramo.

Il mondo non è diviso in chi crede e in chi no, ma in chi ha il coraggio di accogliere e chi è sclerotizzato sulle proprie convinzioni, anche su quelle belle e sante.

Se perdiamo il senso della Profezia, se non ci lasciamo scuotere dal Geremia di turno, se non abbiamo il coraggio di ricordarci che, pur discepoli, siamo in continua conversione, rischiamo di allontanare Gesù dalla nostra vita e dalla Chiesa o, peggio, di buttarlo giù dal precipizio perché non la pensa come noi.

Profeti e no

La Chiesa necessita di profezia e di profeti, di posizioni scomode e all’apparenza irriguardose per mantenere vivo il carisma fecondo del vangelo. È bello che ancora oggi ci siano dei cristiani che, sentendo di appartenere alla Chiesa, compiono scelte di pace e di giustizia a volte estreme che richiamano tutti, cristiani in primis, alla coerenza.

Guai a spegnere lo spirito della profezia!

A volte è la Chiesa intera a dover essere segno profetico nel mondo, come quando. finalmente!, assume un netto rifiuto di ogni forma di violenza e di guerra, fosse anche motivata da nobili ragioni (che quasi mai si rivelano del tutto nobili).

Nello stesso tempo bisogna distinguere i profeti dai rompiscatole.

In ogni comunità c’è il polemico che si sente un pochettino profeta, in ogni presbiterio il prete che assume posizioni forti. Gesù invita a mitigare la severità e la polemica mettendo al centro di ogni relazione, sempre, il bene maggiore dell’amore.

Anche i profeti, insomma, devono stare attenti a non porsi fuori dalla norma assoluta del vangelo come ci ricorda con forza san Paolo.

Amore che esige franchezza e richiamo, certo, ma pur sempre amore.

Paolo Curtaz

 

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