Commento al Vangelo del 30 novembre 2016 – Monastero di Bose

Gv  1,35-42

In quel tempo 35 Giovanni stava con due dei suoi discepoli 36 e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». 37 E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38 Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro -, dove dimori?». 39 Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. 40 Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41 Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – 42 e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.

L’evangelo che ci è dato leggere per la memoria liturgica dell’apostolo Andrea, “primo chiamato”, ci fa rivivere la vocazione di questo discepolo. Una vocazione particolare a vari titoli, ma che non è tanto dissimile, in fin dei conti, da quella dei tanti chiamati che, fino a oggi, cercano ancora di mettere i loro passi sul cammino tracciato da Gesù.

È innanzitutto attraverso la mediazione di Giovanni il Battista che avviene la chiamata di Andrea: vedendo passare Gesù, il Battista lo indica a due dei suoi discepoli, che senza esitare, “sentendolo parlare così” (v. 37), si mettono a seguire il loro nuovo maestro, pur senza conoscerlo ancora. Una vocazione trasmessa da altri: non è forse stato così anche per tanti, che non hanno sentito l’appello diretto del maestro: “Seguimi!”, ma si sono convertiti a lui in risposta alla parola di testimoni affidabili?

Inoltre, pur essendo una chiamata personale, l’appello raggiunge Andrea mentre si trova insieme a un altro compagno. È insieme ad altri che si riceve la vocazione cristiana, e non da soli o solo per se stessi. La ricerca che porta alla fede immette in un cammino condiviso con altri, che con la loro presenza permettono paradossalmente a chi si sente chiamato di vivere tuttavia un’ esperienza personalissima.

L’invito fatto a parole (lo testimonia l’ascolto dei discepoli) si traduce poi immediatamente in un comportamento: Andrea e l’altro discepolo del Battista si mettono a seguire Gesù. Questo movimento fisico permette allora un incontro esistenziale. La vocazione di Andrea trova la sua conferma in un dialogo, fatto più di domande che di risposte (“Che cosa cercate?” – “Maestro, dove dimori?”: v. 38), che apre a un imperativo: “Venite e vedrete” (v. 39). Per essere vissuto, l’appello deve essere messo in pratica; il discepolo non può rimanere mero “ascoltatore, illudendo se stesso” (cf. Gc 1,22). Una condivisione duratura può allora iniziare: i discepoli “rimasero con lui” (v. 39).

Ma questo dimorare non è fine a se stesso: deve allargarsi ad altri, per i quali si diventa a propria volta testimoni. L’esperienza vissuta in prima persona va trasmessa ad altri, che potranno forse scoprire a loro volta una risposta alla loro ricerca e un senso alla loro vita. È quanto si appresta a fare Andrea, che incontrando suo fratello, lo indirizza a Gesù, in cui ha “trovato il Messia” (v. 41), cioè colui che personifica la risposta ultima di Dio alla speranza del suo popolo.
Tutto il brano, come tutta la ricerca dei discepoli, appaiono così orientati verso di lui. Lasciamoci allora anche noi condurre, ancora una volta come fosse la prima, verso Gesù, da questa “moltitudine di testimoni” (Eb 12,1) che ci precedono e ci accompagnano nella fede.

Fratel Matthias della comunità monastica di Bose

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