DALLA VANAGLORIA NARCISITICA DELL’EGOISMO ALLA GLORIA DI DIO DELLA VITA NUOVA SPESA PER AMORE
La Quaresima che ci accompagna alla Verità, ci aiuta a scoprire che, come tra i Giudei, anche nelle nostre famiglie, come negli uffici, nei gruppi di amici, in parrocchia, tutti cerchiamo gloria gli uni dagli altri. Le nostre relazioni sono come quei sistemi di allarme costituiti da una serie di elementi che inviano tra di loro raggi infrarossi, formando così una barriera invisibile. Appena il segnale tra le parti viene interrotto scatta l’allarme. Così, quando i fallimenti dolorosi interrompono bruscamente la trama di gesti, parole e atteggiamenti ipocriti che ci lega invisibilmente agli altri, scattano le liti piene d’ira e rancori che sembra ne stessimo facendo scorta da anni.
Perché tessiamo una trama di menzogne con cui ci avviciniamo agli altri, non per donarci, ma cercando in loro dei “testimoni” a nostro favore, qualcuno che ci dicesse che esistiamo, che siamo importanti, che valiamo. Ma, anche se ottenute, si tratta di false testimonianze, tutte carnali, lacci che danno gloria per riceverne. Senza l’amore di Dio dentro, unica consistenza che dia valore alla vita, senza il suo amore a testimoniare l’unicità di ciascuno di noi, tutto è vanità: “Aveva ben ragione san Girolamo di paragonare la vanagloria all’ombra. Difatti l’ombra segue dovunque il corpo, ne misura persino i passi…
Lo stesso fa la vanagloria, segue dovunque la virtù. Invano cercherebbe il corpo fuggire la sua ombra, questa sempre e dovunque la segue e le va appresso” (Padre Pio da Petralcina). La vanagloria è un’ombra di morte, il ripiegamento orgoglioso su se stessi che impedisce la fede: E come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo?. Non può credere chi cerca dagli altri, dalla loro stima e dal loro consenso, la gloria – il peso, il valore, la consistenza della propria esistenza, secondo l’etimologia del termine greco dóxa e di quello ebraico “kavod”. Grava su di lui la maledizione descritta dal profeta Geremia: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore. Sarà come un tamerisco nella steppa; non vedrà venire il bene, dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere” (Ger. 17,5 ss).
Due amici che fondano la propria relazione sulla vanagloria si ritroveranno con odio e invidia; così due sposi, o due fidanzati, se cercano nell’altro la felicità che dia senso alla loro vita, non avranno che gelosia e rancore. Soprattutto, chi pone la sua gloria nella carne “non vedrà venire il bene”, non riconoscerà cioè Gesù negli eventi e nelle persone; non lo vedrà nelle “opere” da Lui compiute, e per questo “non potrà credere in Colui che lo ha inviato”. Nelle situazioni difficili, nelle prove della vita, quando l’amico mostrerà la sua debolezza, quando lo sposo tradirà le attese, quando la fidanzata entrerà in crisi, non saprà discernere oltre la sofferenza della carne la chiamata di Dio a donarsi, e fuggirà nascondendosi nell’inganno delle passioni, per sperimentarvi la morte.
La vanagloria, infatti, chiude la porta al Messia e la apre ai falsi profeti che vengono “nel proprio nome”. Per questo spesso rifiutiamo Cristo che, “nel nome del Padre”, ci offre gratuitamente il suo amore. Per non cedere alle lusinghe della superbia non basta “scrutare le Scritture”; certo, in esse possiamo avere la “vita eterna”, ma occorre lasciarci giudicare da esse, e umiliarci per scoprire in essa la “testimonianza” di Cristo che giunge sino alla nostra storia e ci chiama per “andare a Lui e avere la vita”. Invece, come i Giudei, “ci siamo rallegrati tante volte della luce di Giovanni Battista”, ci ha scaldato la “lampada” della profezia che “arde” nella predicazione, ma è stato “per poco”.
Tutto bello e commovente, ma la carne tira di più… “Per poterci salvare” la Quaresima ci chiama a conversione: basta ipocrisie! Se non viviamo nell’intimità con Cristo ogni evento significa che non abbiamo “creduto davvero all’Inviato del Padre”. Per giustificare la propria incredulità i Giudei si appellano a “Mosè” dei cui “scritti” si ritengono fedeli osservatori; ma Gesù smaschera questa pretesa perché, rifiutando Lui, dimostrano di non aver mai creduto alla Torah che di Lui parla e Lui profetizza. Si sono accostati alla Scrittura per trarne “vanto”, mentre la Torah restava lettera lasciando fuori lo Spirito che dà la vita.
Anche noi possiamo riempirci la bocca della Parola di Dio, esibire lignaggi di famiglie da sempre nella Chiesa, certificati di partecipazione a convegni, ritiri, messe e rosari, non ci servirà a nulla. Se “non vogliamo andare a Lui” per consegnargli sino in fondo la nostra vita significa che siamo ancora orfani, “non abbiamo mai udito la voce del Padre, né abbiamo visto il suo volto, e non abbiamo la sua parola che dimora in noi”. Riconosciamolo, “non abbiamo in noi l’amore di Dio”, non si vede nelle nostre opere. Ma coraggio, Gesù lo sa e ci ama così.
Ci conosce e viene a salvarci, non a “prendere gloria dagli uomini”; in noi, infatti, cerca solo i peccati per perdonarli. La “testimonianza su di Lui” e sulla sua identità, non proviene dalla carne, nei modi che vorremo noi, ma dal Cielo e si manifesta nelle opere d’amore con cui pazienta e prende su di sé i nostri peccati. La sua è Gloria autentica, il peso della sua vita offerta per noi. Amare il nemico, ecco la Gloria di Cristo, la sostanza divina della sua vita, l’intimità con il Padre che schiude il Cielo in ogni evento di morte. La stessa preparata per te e per me se nella Chiesa “abbiamo accolto in noi il suo amore”. La Gloria che viene da Dio ci libera dalla condanna di cercare la vita negli altri: che meraviglia un padre che non cerca gloria nel figlio perché vive in Dio!
Non esigerà ma educherà, nel senso originale del termine: condurrà il figlio fuori dalla menzogna, per consegnarlo, libero, a Cristo. E così una moglie, un marito, colmi della Gloria di Dio, possono donarsi senza riserve. Chi ha l’amore di Dio può morire ogni giorno per amore, non fugge, vede il bene per sé e per gli altri anche nella Croce. Elisabetta della Trinità lo aveva compreso bene: “Il mio Sposo mi ha fatto capire che la mia vocazione in terra d’esilio è essere lode della sua Gloria”. Per questo Elisabetta si gettò con fede e amore nel «folto della croce».
Accettò tutto con il sorriso e l’abbandono alla volontà di Dio, diventando veramente “lode di gloria della Trinità”, un’anima “che adora sempre e, per così dire, è tutta trasformata nella lode e nell’amore, nella passione della gloria del suo Dio”.
[toggle title=”LEGGI IL BRANO DEL VANGELO” state=”close”]
Gv 5, 31-47
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai Giudei:
«Se fossi io a testimoniare di me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera. C’è un altro che dà testimonianza di me, e so che la testimonianza che egli dà di me è vera.
Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità. Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce.
Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato.
E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato.
Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. Ma voi non volete venire a me per avere vita.
Io non ricevo gloria dagli uomini. Ma vi conosco: non avete in voi l’amore di Dio. Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete; se un altro venisse nel proprio nome, lo accogliereste. E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?
Non crediate che sarò io ad accusarvi davanti al Padre; vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra speranza. Se infatti credeste a Mosè, credereste anche a me; perché egli ha scritto di me. Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
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