Celebriamo la festa della Santissima Trinità. Appena si pronuncia il nome di questo mistero, abbiamo l’impressione di essere proiettati a un’altezza vertiginosa, lontanissimo dalla nostra realtà quotidiana e magari ci arrendiamo subito e rinunciamo alla corsa. Invece vedremo che è un mistero vicinissimo. Noi viviamo immersi nella Trinità, nascosti in essa, come il pesce nell’acqua. In essa “viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (Atti 17, 28). Lo spunto per la riflessione ce lo offre la seconda lettura. In essa san Paolo dice:
“Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre!”.
La parola di Dio ci offre una immagine famigliare per scoprire il vincolo che ci unisce alla Trinità: l’adozione. Questa è una realtà che conosciamo bene nell’ambito umano. Da essa non sarà difficile risalire a un’altra adozione, molto più profonda, che ci riguarda tutti. Scopriremo che siamo tutti degli adottati!
L’adozione può essere, a volte, un’esperienza di grande sofferenza. Spesso i bambini adottati si portano dietro i traumi della situazione da cui provengono, che si possono manifestare sotto forma di ribellione, di violenza e di una apparente ingratitudine. Ma come c’è una grazia di stato nel matrimonio, così ci deve essere una grazia di stato per i genitori adottivi, perché spesso dànno prova di una comprensione e pazienza quasi sovrumane. Si elevano a un amore che è forse quello che, sulla terra, ci ricorda più da vicino l’amore di Dio: un amore gratuito che “tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1 Corinzi 13, 7). Vorrei, in questa occasione, far giungere a questi genitori adottivi l’espressione di tutta la nostra ammirazione e invitarli ad ascoltare più attentamente del solito. Se infatti l’istituto umano e giuridico dell’adozione serve da immagine alla adozione divina, questa serve poi come modello per l’adozione umana. Intendo dire che i papà e le mamme adottivi hanno qualcosa di importante da imparare da Dio, proprio riguardo all’adozione.
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San Paolo ci dice dove si fonda la nostra adozione divina:
“Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò suo figlio, nato da donna… perché ricevessimo l’adozione a figli” (Galati 4, 4).
La nostra adozione si basa sul fatto che il Figlio naturale di Dio, Gesù Cristo, facendosi uomo, ci ha presi come fratelli, ci ha dato il suo Spirito, ci ha uniti a sé come membra al capo, facendo di noi una sola famiglia. Le cose si sono svolte, in certo senso, nell’ordine inverso rispetto alle adozioni umane. In queste ultime, sono il papà e la mamma che adottano e, se hanno dei figli naturali, cercano di aiutarli ad accogliere il fratellino o la sorellina che si aggiunge alla famiglia dall’esterno. Qui, al contrario, è stato il fratello maggiore, Gesù, ad adottarci e “presentarci al Padre in un solo Spirito” (cfr. Efesini 2, 18). Siamo diventati prima fratelli e poi figli, anche se le due cose sono avvenute contemporaneamente nel battesimo. Il risultato di tutto questo ce lo indica di nuovo la Scrittura:
“Così voi non siete più stranieri, né siete ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio” (Efesini 2, 19).
Ecco dunque che cos’è ormai per noi la Trinità: la nostra famiglia! Grazie all’adozione a figli, siamo diventati “familiari di Dio”. Il figlio adottivo diventa automaticamente erede, insieme con i figli naturali, se ve ne sono, o da solo, in caso contrario. Un fatto, a pensarci bene, assai sorprendente per la logica umana. Non ha fatto nulla, non è nato da loro, ed eredita tutto; tutto quello che i genitori hanno messo insieme nella vita, va a lui. Così è anche per noi. La seconda lettura della festa continua infatti dicendo:
“Se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo”.
Ma adesso dobbiamo mettere in luce anche le differenze che esistono tra le adozioni umane e questa adozione da parte del Padre celeste. L’adozione umana, a parte l’amore che c’è dentro, in se stessa è un fatto giuridico. Il figlio adottivo assume il cognome, la cittadinanza, la residenza di colui che lo adotta, ma non condivide il loro sangue, la loro vita; non ci sono stati concepimento, doglie e parto. Per noi non è così: Dio non ci trasmette solo il nome di figli, ma anche la sua vita intima, il suo Spirito. Per il battesimo, in noi scorre la vita stessa di Dio. Non solo “ci chiamiamo figli di Dio, ma lo siamo realmente” (cfr. 1 Giovanni 3, 1).
L’adozione divina crea un vincolo più forte che la stessa generazione di figli naturali. Il figlio naturale possiede, è vero, lo stesso sangue del padre, la stessa vita della madre. Tuttavia, una volta nato, quello che era un tempo il sangue del padre è ora nel figlio. Il figlio può vivere separato dal padre e dalla madre; anzi, per vivere ha bisogno, dopo nove mesi, di separarsi dalla madre e vivere per conto suo. Se non lo fa, muore. Non così sul piano spirituale. Qui la stessa vita, lo stesso Spirito, scorre in noi e in Cristo. E non solo non dobbiamo separarci da lui per vivere, ma cessiamo piuttosto di vivere e moriamo se ci separiamo da lui con il peccato. Qualche Domenica fa, Gesù ci ha illustrato questo rapporto intimo e profondissimo che ci lega a lui con l’immagine del tralcio che vive se resta unito alla vite e muore se si stacca da essa.
Accennavo sopra alle prove che devono spesso superare i genitori adottivi per continuare ad amare i figli adottivi. Se questi commettono qualcosa di terribile, non possono rinnegarli; sono loro figli, portano per sempre il loro nome; se necessario si copriranno della loro stessa vergogna, ma non li sconfesseranno. Tutto questo è prezioso. Osservando alcuni genitori adottivi, ho capito, su Dio Padre, qualcosa che non avevo appreso dai libri di teologia. Davanti alla generosità e perseveranza del loro amore, alla loro capacità di trovare una scusa, o almeno una attenuante, per tutto, mi dicevo: “Ecco, così Dio fa con noi!” Noi trasciniamo spesso il suo nome nella polvere, arriviamo a rimproverargli di averci messi al mondo, e lui continua, con immensa pazienza e magnanimità, a chiamarci figli e a farsi carico di noi.
Ma l’adozione non è solo rischio e prova; è anche, il più delle volte, fonte di grandissime e pure gioie e soddisfazioni. Gioie che somigliano a quelle di Dio, perché basate sul dare, non sul ricevere. Due genitori avevano adottato una bambina, lottando per anni per strapparla a un male grave. In seguito questa ragazza, da poco felicemente sposata e madre già di due bambini, ha chiesto ai suoi genitori adottivi di aiutarla ad adottare anche lei un bimbo. “Questo, diceva il papà, è stata la ricompensa migliore che potevamo desiderare”. Non hanno, con il loro gesto, risolto solo un caso: hanno messo in moto una catena di solidarietà che continua.
Spesso il bambino o la bambina adottata sviluppa un tipo di amore tutto speciale per chi l’ha tratta dalla solitudine, dalla povertà e dalla emarginazione nella vita. Un amore fatto di commossa gratitudine e ammirazione che non si incontra in nessun’altra situazione umana. Anche Dio ha le sue gioie paterne dalla adozione. Grazie ad essa, egli ha riempito il paradiso di quei geni “alla terza potenza” che sono i santi. Ma egli è fiero di tutti i suoi figli adottivi, nessuno escluso, anche di noi che siamo così poveretti.
Ci siamo proposti all’inizio di dimostrare che la Trinità che celebriamo non è un mistero lontano, che non ci riguarda, e abbiamo scoperto ben di più: che essa è la nostra famiglia. E non una famiglia passeggera, ma quella nella quale siamo destinati a vivere e, speriamo, ad essere felici in eterno.
Viva dunque l’istituto dell’adozione e auguri di cuore a tutti i papà e le mamme adottive. Avete scoperto oggi che siete in buona compagnia: anche Dio è un papà adottivo e la Madonna (in senso diverso, ma vero) una mamma adottiva, dal momento che anche lei ci ha adottati come fratelli minori del suo figlio Gesù. Possiate avere gioia dai vostri figli e tanto aiuto da parte di Dio e della Vergine nei momenti di difficoltà.
Qui tutti i commenti al Vangelo domenicale di p. Cantalamessa
Questo è un commento del 2018.