Il tesoro nascosto e la perla preziosa
Il Vangelo di questa domenica, contiene due mini-parabole, non più di un versetto ciascuna, ma di portata incalcolabile. La prima dice:
“Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo;
un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia,
vende tutti i suoi averi e compra quel campo”.
Gesù si è servito fin qui di immagini di vita agricola. Ora ripete lo stesso concetto con un’immagine tratta dal mondo del commercio, in modo da farsi capire anche dalla seconda grande categoria del tempo che erano appunto i commercianti. Dice:
Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose;
trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.
C’è il rischio di scambiare queste parabole per due simpatici quadretti di vita. Invece ci troviamo davanti a due potenti squilli di tromba, capaci, se uno ne comprende il significato, di non lasciarlo più tranquillo per il resto della vita. Cosa voleva dire infatti Gesù? Più o meno questo. È scoccata l’ora decisiva della storia. È apparso in terra il regno di Dio! Cioè, che cosa? Quello che i patriarchi hanno atteso, che i profeti e i re avrebbero voluto vedere, ma non hanno visto: Dio che viene a salvare il suo popolo, a riscattarlo dal peccato e dalla morte, a introdurlo nella sua intimità.
Gesù altrove chiama tutto questo il “vangelo”, “la buona notizia”, la notizia tanto attesa: “Il tempo è compiuto, e il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al vangelo”. Concretamente, si tratta di lui, della sua venuta sulla terra. Il tesoro nascosto, la perla preziosa non è altri, in fondo, che Gesù stesso.
È come se Gesù con quelle parabole volesse dire: la salvezza è venuta a voi gratuitamente, per iniziativa di Dio, prendete la decisione, afferratela, non lasciatevela sfuggire. Questo è tempo di decisione. Capita, a volte, di vedere dei negozi di lusso con fuori scritto: “Offerta speciale. Affrettarsi. Tempo limitato a due settimane!” e la gente si accalca per non perdere l’occasione.
Mi viene anche in mente quello che successe il giorno che finì la guerra. In città i partigiani o gli alleati, non ricordo, aprirono i magazzini delle provviste lasciate dall’esercito tedesco in ritirata. In un baleno la notizia arrivò nelle campagne e tutti di corsa ad attingere a tutto quel ben di Dio, tornando chi carico di coperte, chi con ceste di prodotti alimentari.
Penso che Gesù con quelle due parabole voleva creare un clima del genere. Come per dire: “Correte finché siete in tempo! C’è un tesoro che vi aspetta, una perla preziosa. Non lasciatevi sfuggire l’occasione”. Solo che nel caso di Gesù la posta è infinitamente più seria. Si gioca il tutto per tutto. Il Regno è l’unica cosa che ci può salvare dal rischio supremo della vita che è quello di fallire il motivo per cui siamo in questo mondo.
Viviamo in un società che… vive di assicurazioni. Ci si assicura contro tutto. In certe nazioni è diventata una specie di mania. Ci si assicura anche contro il rischio del mal tempo durante le vacanze. Tra tutte, la più importante e frequente è l’assicurazione sulla vita. Una cosa buona, per carità, non voglio metterla in discussione. Ma riflettiamo un momento: a chi serve una tale assicurazione e contro che cosa ci assicura? Contro la morte? No di certo! Assicura che, in caso di morte, qualcuno riceverà un indennizzo.
Il regno dei cieli è anch’esso una assicurazione sulla vita e contro la morte, ma una assicurazione reale, che giova non solo a chi resta, ma anche a chi va, a chi muore. “Chi crede in me, anche se muore, vivrà”, dice Gesù. E sappiamo che non sono parole vuote. Pietro ha creduto in lui e vive ora più di quando era in vita e pescava sul lago; Paolo ha creduto in lui e vive. C’è qualcuno che dubita che Paolo apostolo vive? Anche se non crede al cielo e al paradiso, guardi sulla terra. Chi, tra gli antichi, è oggi più vivo, più letto, più studiato tra noi? Francesco d’Assisi ha creduto in lui, e vive. Per non parlare, naturalmente, della madre di lui, Maria, che “ha creduto” e vive. Vive nel cuore di milioni di persone che la “proclamano beata”, vive anche nelle infinite opere d’arte che ha ispirato.
Si capisce allora anche l’esigenza radicale che un “affare” come questo pone: vendere tutto, dare via tutto. In altre parole, essere disposti, se necessario, a qualsiasi sacrificio. Non per pagare il prezzo del tesoro e della perla, che per definizione sono “senza prezzo”, ma per essere degni di essi. Perché non si può tenere il piede in due staffe, o, come diceva Gesù, servire due padroni. Mettere sullo stesso piano questo tesoro e un altro tesoro, fosse pure, dice Gesù, il proprio occhio e la propria vita, significherebbe “disprezzarlo”, tradirlo.
Nel Cantico dei cantici si dice che “se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell’amore, non ne avrebbe che dispregio” (Cantico dei Cantici 8,7): cioè, non avrebbe dato ancora nulla, tanto l’amore è superiore a tutte le ricchezze. E se questo vale per l’amore umano, vale infinitamente di più per l’amore che non avrà mai fine, che sarà pieno, totale.
Confesso che ho quasi paura a spiegare queste due parabole di Gesù. Perché esse, oggi come allora, creano in chi le ascolta una tremenda responsabilità. Adesso sai; la notizia dell’esistenza del tesoro e della perla è giunta anche a te. L’ora della decisione è scoccata anche per te che hai ascoltato, e naturalmente, ancor prima, per me che ho parlato. Sta a noi decidere se continuare a cincischiare con la vita, in attesa che essa ci sfugga dalle mani, o fare invece la cosa seria.
A questo riguardo, vorrei attirare ora l’attenzione su un aspetto trascurato delle due parabole. In ognuna di esse vi sono, in realtà, non uno, ma due attori: uno palese che va, vende, compra, e uno nascosto, sottinteso. L’attore sottinteso è il vecchio proprietario che non si accorge che nel suo campo c’è un tesoro e lo svende al primo richiedente; è l’uomo o la donna che possedeva la perla preziosa, e non si accorge del suo valore e la cede al primo mercante di passaggio, forse per una collezione di perle false, bigiotteria da nulla.
La domanda che ora ci dobbiamo porre è semplice: noi, a quale dei due attori somigliamo? La risposta non ci fa molto onore. Noi gente del vecchio continente – italiani, francesi, tedeschi, spagnoli e via dicendo- siamo, nelle due parabole, “il villano della storia”. Siamo il contadino stolto e il mercante sconsiderato. Nostro era il campo con il tesoro, nostra la perla preziosa. Noi conoscevamo Cristo, avevamo la fede, nostre erano le promesse, nostro il regno di Dio.
Ma, eccetto una minoranza sempre più esigua, abbiamo svenduto la fede. Chi l’ha barattata per un’ideologia, chi per i soldi, chi per pigrizia, chi semplicemente per l’andazzo del tempo, che fa sembrare chic mostrarsi agnostici, superiori a queste cose, “gente di mondo”, come si dice. Abbiamo venduto, o stiamo vendendo, anche noi la primogenitura per un piatto di lenticchie, come fece Esaù. Altro che disposti a dare via tutto, pur di non perdere Dio e la fede! Non siamo neppure capaci di dare una mezz’ora di tempo per andare la Domenica a rinfrescare la nostra fede nel contatto con la parola di Dio e il corpo di Cristo!
Per molti battezzati, l’ultima preoccupazione della vita è il regno di Dio. Lo dicono anche a volte con ostentazione. “Dio, la Chiesa, la fede? Non mi interessano, vivo bene così, ne faccio volentieri a meno!”. Quanto è pericoloso questo atteggiamento! E se avesse ragione il vangelo? Che farai?
Ma non voglio terminare su questa nota triste, senza, anche questa volta, dare “una ragione di speranza” a chi ascolta. Tornando alle due parabole, notiamo una cosa. Non è detto: “Un uomo vendette tutto quello che aveva e si mise alla ricerca di un tesoro nascosto”. Sappiamo come vanno a finire le storie che cominciano così. Uno perde quello che aveva e non trova nessun tesoro. Storie di illusi, di visionari.
No: un uomo trovò un tesoro e perciò vendette tutto quello che aveva per acquistarlo. Bisogna, in altre parole, aver trovato il tesoro per avere la forza e la gioia e di vendere tutto. Fuori parabola: bisogna aver prima incontrato Gesù, averlo incontrato però in maniera nuova personale, convinta. Averlo scoperto come proprio amico e salvatore. Dopo sarà uno scherzo vendere tutto. Lo si farà “pieni di gioia” come quello scopritore di cui parla il vangelo.