Due miracoli simili e contrapposti che si intrecciano nella stessa lettura: la figlioletta di Giàiro, guarita in una stanza che Gesù stesso avevo preteso fosse silenziosa e solitaria; ed un miracolo che avviene in mezzo alla folla e che quasi, all’inizio non si comprende chi abbia toccato; la fanciulla che all’inizio neanche appare ed è il padre a farsi voce del suo dolore e che Gesù dice non essere morta ma solo piombata nel sonno; e una donna, invece, tormentata da un male che parla da solo, che esce ovunque, vergognoso ed evidente.
Una scena, quella della fanciulla, pieno di trambusto, urla ed agitazione, e l’altra dove questa donna pensa in silenzio e sfiora appena il manto di Gesù. In tutte queste differenze, l’elemento unificante è la fede che salva: la fede della donna e di Giairo. Giairo che, nonostante sia della classe sacerdotale, si fa piccolo davanti al Signore e lo riconosce come Salvatore, e la donna che non esita a farsi oggetto di vergogna e di ribrezzo pur di incontrare , di sfiorare, di ricevere la fonte della sua salvezza: Gesù.
Poesia
Quando chi soffre è chi amiamo.
Anche se siamo i capi.
Anche se abbiamo il potere.
Non siamo nulla.
Non abbiamo nulla.
Non possiamo nulla.
Davanti al dolore ci vuole l’amore.
La forza dell’amore.
Che sana e che fa vivere.
E allora il nostro potere si mette in ginocchio.
E allora imploriamo a terra.
Quando di noi abbiamo dato tutto.
Tutto il sangue che avevamo.
Tutte le forze che avevamo.
Anche se siamo andati da tutti.
Nulla è servito.
Nessuno ci ha aiutato.
Quando ogni forza è perduta.
Basta una carezza.
Basta sfiorare qualcosa che hai.
Che hai Tu che sei la forza.
Che hai tu che sei la vita.
Senza neanche implorare.
Senza neanche chiedere.
Basta cercarti e sfiorarti.
Per avere tutto quello che il sapere, che il denaro, che il potere.
Non aveva saputo dare.
C’è un premere curioso.
C’è un toccare perché la folla spinge.
C’è uno starti addosso perché si è folla.
Perché si vuole vedere chi sei.
E poi c’è una carezza.
E poi c’è un braccio che afferra.
E il dolore muove la mano.
E la fede allunga il braccio.
E prende quello che può.
E l’amore si gira.
E chiama.
E ama.
E ferma il dolore.
E mette la vita.
E asciuga il sangue e le lacrime.
Mi riduco a cercarti quando non mi reggo più in piedi.
Mi riduco a cercarti quando ho cercato tutti gli altri.
Mi riduco senza sangue prima di venire da te.
Quando imparerò che solo tu mi dai vita?
Quando imparerò che tu ti fermi sempre a vedere dove sono, a chiamarmi?
Ti amo.
A volte, quando mi dici di non aver paura e di crederti.
Non ce la faccio.
Mi perdo.
Mi complico.
Mi sembra che di me stia morendo la parte più importante.
Se tu non arrivi subito da me.
A casa con me.
Perché parli con lei?
E non vieni da me?
Mi sembra di morire se non ci sei.
Muoio se non ci sei.
Ho paura di disturbarti.
Ho paura di morire
Ma sto imparando ad aspettare.
Aiutami.
Ma sto imparando a crederti.
Grazie.
Ma sto imparando che ci sei.
Sempre.
Ed è sempre amore.
Ed è sempre vita.
Ridono.
Un attimo prima lacrime e grandi lamenti.
E ora ridono.
Con te la morte dorme.
Con te la morte aspetta.
Basta la tua mano per ridarmi la vita.
Basta che mi chiami per non attendere altro.
Quando muoio.
Ti aspetto.
Non mi dai solo vita.
Mi dai voglia di vita.
Quando mi sfiori.
Rivivo e ho fame.
Vita e voglia di vita: ecco quello che fai.
Ecco quello che sei.
LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
Mc 5, 21-43
Dal Vangelo secondo Marco
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‡ In quel tempo, essendo passato di nuovo Gesù all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare. Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi e lo pregava con insistenza: «La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva». Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita». E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male.
Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi mi ha toccato il mantello?». I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?». Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Và in pace e sii guarita dal tuo male».
Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, continua solo ad aver fede!». E non permise a nessuno di seguirlo fuorchè a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava.
Entrato, disse loro: «Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina.Presa la mano della bambina, le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico, alzati!». Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare.
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
Questo commento/poesia del vangelo del giorno è fatto dalla prospettiva di una delle donne senza nome che seguivano Gesù (cfr Lc 8, 1-3). Il suo nome è Zippi (Zippora).
A cura di don Mauro Leonardi – Il suo blog è “Come Gesù“
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