Dietro a sé una vita segnata dalla sofferenza: un marito morto dopo appena sette anni di matrimonio. Una storia d’amore tragicamente spezzata, sogni, progetti di vita infranti. Il dolore può indurire il cuore; ci si rinchiude nella propria sofferenza, ci si crea una dura scorza nell’illusione di difendersi da altre ferite. A volte non si vede più la sofferenza altrui, anzi si scarica la propria sofferenza sugli altri e si guarda con occhio cattivo chiunque osi essere felice. A volte si perde la voglia di vivere, la speranza che la vita possa offrirci qualcos’altro… Di Anna si dice che “era molto avanzata in età”, poi si precisa “aveva ottantaquattro anni”; per lunghissimi anni ha patito l’assenza di colui che aveva amato ed era divenuto compagno della sua vita; dopo la sua morte, ha vissuto in compagnia di un incolmabile vuoto. Eppure Anna non si è rassegnata, ha assunto l’assenza, il vuoto, vivendoli come “luoghi” di attesa; ha celebrato l’Avvento con la sua vita, divenendo con tutto il suo essere attesa del messia. “Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere”. Con digiuni: a significare che il cibo materiale non basta a saziare la sua fame; con preghiere: cioè nella tensione di tutto il suo essere verso colui che deve venire e che solo può salvare, dare senso alla vita. Saper attendere è un’arte, che il nostro tempo impaziente ha dimenticato; si vorrebbe tutto e subito. Anna ha imparato l’arte dell’attesa: “perseverava nel tempio”, nella casa di Dio; ma l’apostolo Paolo ci dice: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? … Santo è il tempio di Dio che siete voi!” (1Cor 3,16-17); sappiamo attendere nel tempio del nostro cuore, abitato dalla presenza di Dio?
Anna sa discernere in un bambino i segni della vita; quel bambino porterà guarigione là dove regna la malattia, consolazione dove regna la disperazione, vita dove regna la morte. La sua morte in croce sarà salvezza e vita per ogni uomo. E allora Anna canta anch’essa il suo Magnificat: “Si mise a lodare Dio”; annuncia la gioiosa notizia, divenendo la prima apostola: “Parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme”.
Abbiamo celebrato il Natale, celebrazione di una presenza: il Figlio di Dio nato come figlio dell’uomo, venuto a insegnarci a vivere in questo mondo (cf. Tt 2,12) e a portarci la redenzione da ogni nostro male; celebrazione di un’attesa: attendiamo il suo ritorno, attendiamo “un cielo nuovo e una terra nuova” (Ap 21,1), ma l’attesa nasce là dove vi è una mancanza, un’assenza. Anna la profetessa ci ha insegnato come viverle.
sorella Lisa della comunità monastica di Bose
Dal Vangelo secondo Luca
[Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore.] C’era una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
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