“Se non fossimo così votati
a tenere la nostra vita in moto
e per una volta tanto non facessimo nulla,
forse un immenso silenzio interromperebbe la tristezza
di non riuscire mai a capirci
e di minacciarci con la morte.
Forse la terra ci può insegnare,
come quando tutto d’inverno sembra morto
e dopo si dimostra vivo…”
Mi hanno colpito questi versi della poesia di Pablo Neruda, poeta cileno (1904-1973), intitolata “Restare in silenzio”.
È un’ode al silenzio non solo delle parole ma soprattutto di ogni attività, sia lavorativa e positiva ma anche di quella che produce violenza e sofferenza come la guerra e l’odio. Come tutte le poesie, questa di Neruda immagina un mondo impossibile, specialmente il nostro così freneticamente votato al produrre, al comunicare velocemente e a non fermarsi mai.
Eppure stare in silenzio e fermi anche per poco, come dicono le parole della poesia, è una buona occasione per capire noi stessi, gli altri, il mondo e anche Dio. Quest’ultimo non ha i nostri stessi ritmi e obiettivi umani e se non ci fermiamo mai rischiamo davvero di non capirlo, e alla fine non capiamo nemmeno noi stessi come Dio ci ha creati.
Pietro non capisce Gesù, anche se è suo discepolo da un po’. Non comprende lo stile di dono e di amore che segna tutta la sua missione. E quando Gesù parla di croce e sofferenza, Pietro lo rimprovera e lo vorrebbe zittire. Pietro e i gli altri discepoli (di cui è portavoce nel racconto evangelico) non comprendono che nella morte per amore c’è la strada per la resurrezione della vita. Gesù è l’inviato di Dio ma non come loro si aspettano secondo la logica del potere, ma nella strada dell’amore. Non sono capaci di fermarsi ed ascoltare e non vogliono sentir parlare che tutta la marcia apparentemente trionfale del Messia in terra si fermi.
È Gesù però che a sua volta blocca Pietro e lo invita a stare zitto, a fermarsi e riflettere come discepolo. Per questo lo invita dicendogli “va dietro a me…”, e prendere il suo ritmo e non quello del mondo e della mentalità produttiva umana. Pietro e gli altri sono invitati ad ascoltare il pensiero di Dio che è diverso, più lento ma più vero e più ricco di vita.
Stavo pensando al blocco forzato di questo periodo a causa dell’emergenza sanitaria. Tutto o quasi si è fermato e soprattutto si è fermata ogni attività pastorale nella Chiesa, comprese le nostre liturgie, feste e tradizioni. Tutto fermo e in silenzio. È stato tutto così negativo? Oppure è stata una occasione da “ascoltare”, un silenzio forzato che ci ha costretto in modo benefico a ripensare chi siamo, chi è l’altro, chi è Dio e quello che davvero lui vuole?
Il silenzio delle parole e delle azioni, anche se difficile e impegnativo, è necessario davvero per ricordarci che la prima e l’ultima parola e azione ce l’ha Dio, così come Gesù insegna. Se non sono capace di fermarmi rischio il gravissimo errore di Pietro che arriva a rimproverare Gesù quando questo parla di croce, ignorando che parla anche di resurrezione. Fare silenzio e fermarsi aiuta anche a capire il prossimo, con la sua vita, le sue attese e verità che spesso se corriamo e non ci fermiamo, non siamo capaci di comprendere e finiamo per rifiutare.
Fonte: il blog di don Giovanni Berti (“in arte don Gioba”)