Commento al Vangelo del 30 agosto 2015 – Paolo Curtaz

Il commento al Vangelo di domenica 30 agosto 2015 a cura di Paolo Curtaz per la XXII domenica del tempo ordinario.

Dt 4, 1-2. 6-8; Sal.14; Gc 1, 17-18. 21-27; Mc 7,1-8.14-15.21-23

Parole taglienti

Parla diritto e diretto il Rabbì che si fa pane, che condivide ciò che è e ciò che ha.

Non gli importano i riconoscimenti, non aspira certo a diventare re.

Fugge ciò che noi costantemente ricerchiamo: fama, notorietà, riconoscimento, visibilità.

Parla diritto e diretto, anche a costo di sembrare antipatico, anche perdendo pezzi di popolarità, anche davanti a chi ritiene insostenibili le sue parole e se ne va.

In un tempo in cui pavidi politici leggono i risultati delle indagini demoscopiche per capire cosa dire per piacere, Gesù fa ciò che tutti dovrebbero fare: dice ciò che è vero e giusto.

E dopo l’approfondita lettura del discorso della sinagoga di Cafarnao, dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, la liturgia torna a leggere il vangelo di Marco per ricordare ai farisei di ieri e di oggi alcune inevitabili dinamiche della fede che, se trascurate, rischiano di provocare disastri.

L’estate ormai è passata, si torna a scuola, dopo il caldo torrido e le ultime settimane autunnali, dalle mie parti, dopo un’estate di disperati che fuggono le guerre per raggiungere l’Europa, la Parola ancora ci interpella.

[ads2] Norma e norme

Siamo tutti allergici alle regole, se siamo onesti. Soprattutto quelle che ci costringono, che ci angustiano, che ci stanno antipatiche. E poi siamo molto severi esigendo dagli altri il rispetto delle norme. A volte, però, perdiamo di vista la ragione per cui esistono delle norme: per il quieto vivere, nella società, per indicare un percorso, nella fede.

Molti, però, senza porsi troppe domande, osservano stancamente le norme senza chiedersi dove conducano. Nella fede, in ogni fede, questo atteggiamento rischia di soffocare e uccidere il desiderio, come in un coppia.

Occorre intendersi bene, allora, sul concetto di “norma” riferito alla fede.

La religione non è osservare delle regole ma seguire un percorso. E le norme sono i segnali tracciati da qualcuno che prima di noi ha percorso quel sentiero e ci indica la direzione.

E, rispetto a Dio, non conta solo il fatto di osservare le norme, ma la ragione per cui si osservano.

Come nell’amore.

Preparare pranzo ai miei cari è il modo concreto che ho di manifestare loro il mio affetto. Ma se lo faccio con rabbia e rassegnazione, qualcosa non funziona.

La regola, nella fede, è il vestito dell’amore, il modo che l’amore ha di concretizzarsi, di essere credibile, di essere visibile.

Un amore che non si concretizzi nel gesto, nella fedeltà, nel servizio, è poco credibile.

Ma anche un gesto fedele che manca d’amore è ambiguo e dannoso.

Così nella fede: se mi pongo davanti a Dio come davanti a un amministratore che mi sanziona se trasgredisco una regola non potrò mai conoscerne la forza dirompente dell’amore.

Tradizione di uomini

Perciò Gesù contesta chi lo contesta (alla faccia del Gesù sdolcinato e stucchevole!), difende Dio e la fede autentica. Non solo il rischio di vivere la regola con superficialità è molto diffuso, allora e oggi. Ma ergere la regola a metro di giudizio, quasi sostituendola a Dio, è drammaticamente pericoloso.

Si rischia di mettere tutto lo stesso piano: le indicazioni che provengono da Dio e quelle che provengono dagli uomini, la Rivelazione con le tradizioni degli uomini. E molto spesso, nel modo di storicizzare la fede, questa confusione ha determinato gravi ingiustizie. Anche nel piccolo.

Quante volte nelle nostre parrocchie ci si schiera dietro un perentorio si è sempre fatto così solo per nascondere la propria insicurezza e la propria pigrizia mentale?

Il Signore ci insegna ad essere liberi (non anarchici!) e responsabili, a capire, a confrontarci nella logica del Vangelo, come stanno coraggiosamente facendo i nostri vescovi intorno al tema dell’affetto e della famiglia.

Così dovrebbe essere nelle nostre comunità, senza ergersi a giudici gli uni degli altri, senza cercare scorciatoie, senza barricarsi.

Il Vangelo è uno, certo, ed è intangibile.

Ma stiamo attenti a non confondere ciò che è duraturo e ciò che è mutevole.

Nulla di impuro

Nel caso concreto, quello della purificazione del corpo prima del cibo, Gesù è perentorio e liberante: nulla è impuro. È l’animo con cui facciamo i gesti che ne determina la purezza, l’intenzione pura, lo sguardo libero e liberante.

In una religiosità ossessionata dal puro e dall’impuro, dalle abluzioni e dalle regole, Gesù stabilisce un nuovo, liberante criterio.

A volte noi cristiani ci siamo dimenticati di quanto siamo stati resi liberi.

Vigiliamo sul cuore, sull’intenzione, allora, senza perderci nei meandri del legalismo, anche religioso, per essere davvero orientati all’essenziale.

 

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