Commento al Vangelo del 3 ottobre 2010 – Paolo Curtaz

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Ventisettesima domenica durante l’anno

Ab 1,2-3;2,2-4/ 2Tm 1,6-8.13-14/Lc 17,5-10

Accresci la fede dei tuoi servi, Signore

Viviamo tempi difficili, lo vediamo tutti.

La crisi economica picchia duro e non si vedono prospettive.

Sono anch’io della generazione di quelli che non hanno certezze per il futuro, pur avendo voglia e qualità. Molti dei miei coetanei non sanno se avranno mai versato contributi a sufficienza per ricevere una pensione. Alcuni genitori mi raccontano, sconfortati, della rassegnazione dei loro figli neo-laureati presi per il naso da stages infiniti e contratti a termine.

Lo spettacolo sconcertante del mondo politico di questi ultimi mesi, poi, non giova. Al di là della vostra convinzione politica (io, dai confini dell’Impero, cerco di non schierarmi troppo), bisogna riconoscere con amarezza che si è raschiato il fondo del barile, in un vortice di “peggio” che ha scordato ogni valore etico, pure tanto decantato quando si tatta di raccogliere consensi elettorali.

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Anche nella Chiesa, poi, non scherziamo: a volte i credenti hanno l’impressione di essere messi all’angolo, attaccati nell’essenza stessa della fede. Non ha aiutato certo l’11 settembre e chi ha identificato tout court la fede col fanatismo. Così, senza fare troppo clamore, si insinua l’idea che tutte le fedi diventino radicalismi, che ogni istituzione (Chiesa in primis) esistono affinché alcune persone conservino i propri privilegi. Non passa giorno che sui quotidiani finiscono vicende che vedono come protagonisti preti o vescovi, situazioni a volte drammatiche e da vagliare con serietà e serenità, certo, ma, molto più spesso, situazioni trattate con un delirante moralismo che ha sostituito la sobria morale derivante dal Vangelo.

Quando si toglie Dio non è vero che non si crede più in nulla: si finisce col credere a tutto.

Ma alle antipatie del mondo che in nome della tolleranza bolla la Chiesa come intollerante, è arrivato il drammatico scandalo della pedofilia che, come dice bene il Papa, è la più dura prova da affrontare dai tempi dei martiri dei primi secoli.

Così la Chiesa è chiamata ad affrontare questi tempi senza ergere steccati, senza parlare la stessa lingua o battere la stessa moneta del mondo imbarbarito.

Quando il mondo parla a sproposito della Chiesa, la Chiesa è chiamata a parlare di Cristo.

E a fidarsi del suo Maestro che non l’ha mai abbandonata anche quando i cristiani smontavano la credibilità della Chiesa pezzo per pezzo.

Davanti a tutto questo, la preghiera dei discepoli, oggi è la nostra.

Accresci in noi la fede, Signore.

Abacuc

Abacuc è sconfortato, come non capirlo? Il piccolo e ostinato popolo di Israele deve continuamente lottare per sopravvivere in mezzo ai giganti: gli egiziani e gli assiri prima, i babilonesi poi… tutta la storia è un susseguirsi di invasioni e colpi di stato, di tragedie e di ingiustizie.

Ora ai confini di Israele premono i Caldei.

Il profeta, esasperato, rivolge la propria preghiera a Dio: ha un bel difenderlo di fronte al popolo, ma come si fa a suscitare la fede in un popolo esasperato?

Dio risponde invitando Abacuc e Israele alla fede, a conservare la fede, la fiducia.

Come Eleazaro domenica scorsa, Dio promette di stringere tra le proprie braccia con immenso affetto il giusto che vive a causa della fede.

Profeti di ieri e di oggi si scontrano continuamente con la stessa disarmante obiezione: dov’è Dio quando l’uomo scatena la propria violenza? Quando prevale la tenebra? Quando il giusto è irriso e disprezzato?

E la Parola oggi risponde: solo con la fede possiamo osare.

Fidarsi

Abacuc è invitato a fidarsi, Timoteo riceve una commovente lettera da Paolo incarcerato ed è invitato a fare memoria della propria vocazione episcopale, gli apostoli, dopo un primo galvanizzante momento di euforia per i successi conseguiti dal Nazareno, cominciano a scontrarsi con il proprio limite e con l’ostilità di alcuni farisei e sentono la fiammella (timida) del credere lentamente vacillare.

Fidatevi, dice la Parola, fidati, affidati, diffida delle tue presunte certezze.

La fede è il ragionevole abbandonarsi nelle braccia dell’amato, nel gesto incosciente e ovvio del bambino che si getta fra le braccia del padre.

Non siamo chiamati a fidarci di un mistero imperscrutabile, a seguire ciecamente gli ordini della divinità, ad abbassare la testa alla volontà ostica e incomprensibile di una moloch a cui dobbiamo credere.

Il Dio di Israele chiede fiducia, il Dio che ha camminato nel deserto e sofferto, il Dio che ha accompagnato e illuminato una tribù di beduini facendola divenire popolo della speranza, il Dio che ha illuminato i re di Israele, il Dio che ha strappato degli uomini dal pascolo e dalla terra consacrandoli profeti, il Dio che – esausto – è diventato uomo (fragilità, stanchezza, sudore, decisione, rischio) per raccontarsi chiede fiducia, non uno qualsiasi.

Il Dio che ha dimostrato milioni di volte quanto dolorosamente ama.

Fiducia in Lui

Fiducia nel Nazareno rivelatore del padre, figlio del Dio benedetto che ha sconvolto la vita dei suoi discepoli svelando il volto del Padre morendo sulla croce.

Fidatevi almeno quanto un granellino di senapa, dice il Maestro.

Abacuc non lo sa, ma l’ennesimo scontro con una cultura straniera obbligherà Israele a riscoprire le proprie radici e diventare (tornare ad essere?) segno nel mondo.

Paolo non lo sa, ma le sue parole doloranti e aspre saranno prese dallo Spirito Santo e riempite di Dio così che noi, oggi, leggiamo la Parola di Dio sulle labbra screpolate di Paolo lo scoraggiato e irrequieto apostolo.

Pietro e Giovanni e gli altri non lo sanno, ma la loro fede, più piccola di un granellino di senapa, crescerà e diventerà un immenso albero alla cui ombra ci riposiamo noi, pavidi discepoli del terzo millennio…

anche quando i cristiani smontavano la credibilità della Chiesa pezzo per pezzo…

Leggerezza

Amico: abbandonati nelle braccia di Dio; ma sul serio, non per finta.

Conosco persone che – con l’acqua alla gola – mettono alla prova Dio.

Si fidano a parole ma non si staccano dalla riva per prendere il largo.

A volte la nostra vita è irrequieta e piena di dubbi ma non ce ne stacchiamo, invochiamo Dio, senza poi lasciargli la possibilità di agire e di salvarci; invochiamo Dio, sì, spiegandogli, però, cosa deve fare.

Vuoi essere discepolo? Metti la tua vita e la tua volontà nelle mani del Maestro: davvero, sul serio. Occhio però: normalmente Dio ascolta, spesso in maniera così eclatante che ti viene da sorridere.

L’unico serio rischio della preghiera è che Dio ci ascolti, l’unica controindicazione dell’abbandonarsi in Dio è che poi rischi pericolosamente la santità.

Seconda provocazione: siamo servi inutili. Cioè il mondo è già salvo, non dobbiamo salvarlo noi.

A noi è chiesto di vivere da salvati, a guardare oltre, al di là e al di dentro.

A noi Gesù chiede di vivere come uomini di fede, a camminare nel nostro cammino con un cuore compassionevole e gravido di pace, fecondo e accogliente. Con leggerezza.

Per il resto lasciamo a Dio fare il suo mestiere.

www.paolocurtaz.it