Commento al Vangelo del 3 Marzo 2020 – Servizio Pastorale Giovanile di Pompei

«Voi dunque pregate così…».

La preghiera può diventare un inutile spreco di parole quando cerchiamo di convincere Dio delle nostre buone ragioni o quando chiediamo a Lui che sia fatta la nostra volontà piuttosto che la sua.

Troppo spesso trasformiamo la preghiera in una specie di letterina a babbo natale dove elenchiamo i nostri desideri e quello che ci meritiamo perché siamo stati buoni. Ma poi, se non veniamo accontentati, ce la prendiamo con Dio e crediamo che sia ingiusto, che non ascolti la nostra preghiera o, addirittura, che non esista.

Gesù ci insegna a pregare in altro modo, rivolgendoci ad un padre che conosce bene le nostre necessità, più di quanto noi stessi le conosciamo. L’unica preghiera che Gesù consegna a noi suoi discepoli ci insegna anzitutto a chiedere l’essenziale: sperimentare la santità di Dio, accorgerci della presenza del suo Regno in mezzo a noi, assecondare la sua volontà di bene nella nostra vita. Una preghiera con i piedi ben saldi sulla terra: al Padre che ci ama chiediamo il pane giorno per giorno, il perdono delle nostre colpe, la capacità di perdonare e di superare le ombre e la parte oscura del nostro cuore.

Il Padre nostro, perciò, è la vita che diventa preghiera ma è anche l’invito di Dio a trasformare la preghiera in vita. Il modo di comportarsi di Dio con noi è strettamente legato al modo con il quale noi ci relazioniamo agli altri. Non possiamo allargare le braccia e chiedere a Dio di rimettere i nostri debiti se noi per primi non li rimettiamo ai nostri debitori.

Ecco, allora, che la preghiera si fa vita rendendo tutti noi non soltanto dei contemplativi, uomini di belle parole, ma soprattutto figli amati che imitano l’amore del Padre e lo mettono in pratica.


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