“Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36): Gesù ha appena pronunciato questo invito, cuore del vangelo di Luca (vangelo della misericordia); e ancor prima è il cuore di Gesù. Infatti non possiamo comprendere e interpretare Gesù se non a partire dalla consapevolezza che Egli è il Figlio del Padre, che è misericordia.
Gesù ci chiama a partecipare alla sua stessa condizione filiale, alla sua stessa vita di Figlio di un Padre che è misericordia; di conseguenza anche noi dovremmo esprimere parole ed opere di misericordia. È quel frutto che l’apostolo Paolo richiama nella lettera ai Galati: “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (5,22).
Ci possiamo chiedere: è davvero questo il frutto che chi si avvicina a noi può cogliere dalla nostra vita? Oppure, chi ci accosta, trova più facilmente i frutti acerbi dell’albero che erano gli scribi e i farisei, i quali criticavano aspramente Gesù proprio per la sua misericordia?
“Può forse un cieco guidare un altro cieco?”.
Scribi e farisei peccavano di superbia. Si ritenevano, infatti, capaci di guidare gli altri verso Dio. Vale la pena di ricordare gli ultimi versetti del racconto del cieco nato: “Gesù allora disse: “È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi”. Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: “Siamo ciechi anche noi?”. Gesù rispose loro: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane” (Gv 9,39-41).
Tutti siamo ciechi di fronte al mistero di Dio. Tutti abbiamo bisogno che Gesù ci schiuda gli occhi, perché Lui solo ha visto il Padre, Lui solo lo conosce, Lui solo ce le può rivelare. Scribi e farisei, respingendo Gesù, respingendo la sua rivelazione che Dio è Padre misericordioso, perseverano nella loro cecità. Perciò con la loro pretesa di guidare gli altri, si rendono responsabili del fallimento del loro cammino.
Solo se si riconosce la propria cecità e si accoglie la luce che Gesù ci dona su Dio, cioè la luce della sua misericordia, si può camminare verso il vero traguardo, che è l’incontro con il Padre. Questo cammino si chiama conversione. Solo se ci si pone nella condizione di conversione, ci si può orientare con sicurezza.
“Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?”. Scribi e farisei peccavano di presunzione. Erano bravissimi nell’indicare anche le più leggere trasgressioni degli altri riguardo alla Legge, però insistevano nel mantenere nel loro occhio la trave, cioè l’inosservanza di ciò che nella legge è essenziale: “Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici. Io infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9,13).
Chi non riconosce il bisogno della misericordia di Dio, chi non riconosce che già la misericordia di Dio lo ha graziato, non è in grado di correggere gli altri, per renderli più fedeli a Dio. La correzione fraterna è possibile solo da parte di chi si riconosce figlio perdonato dal Padre misericordioso e quindi fratello tra fratelli. Pietro è stato scelto da Gesù come capo degli apostoli proprio perché ha fatto in prima persona l’esperienza della conversione e del perdono misericordioso.
“Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono”. È un dato che la natura ci offre; dalla natura dell’albero deriva il tipo di frutto. Dal frutto che si raccoglie si comprende di quale albero si tratti. Occorre perciò interrogarsi: portiamo il frutto dello Spirito o produciamo le opere della carne (“fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere” Gal 5,19-21)? Produciamo nel terreno della nostra vita attenzione e dedizione misericordiosa verso il prossimo, oppure giudizio, condanna, rifiuto, disprezzo?
Nello scrigno del nostro cuore ci sia un solo tesoro: la misericordia di Dio!
Appendice
Anche i cattivi possono dir cose buone, ma…
Se, dunque, anche i cattivi possono dir cose buone, chiediamo un po` al Cristo, non per contestarlo, ma proprio per imparare da lui: Signore, se i cattivi possono dir cose buone – per cui ci ordinasti: fate quello che dicono, ma non fate quello ch`essi fanno – se possono dir cose buone, com`è che altrove dici: “Ipocriti, non potete dir nulla di buono, perché siete cattivi” (Mt 12,34)?
Riflettete sul problema, perché con l`aiuto del Signore possiate vederne la soluzione. Vi ripeto la domanda. Il Cristo dice: “Fate ciò che dicono, ma non fate ciò che fanno, perché dicono e non fanno“. Essi stessi non fanno quello che insegnano. Perciò dobbiamo fare quello che dicono, ma ciò ch`essi fanno, noi non lo dobbiamo fare. Altrove è detto: “Che forse si raccoglie uva dalle spine o fichi da un cespuglio? L`albero lo si riconosce dai suoi frutti” (Mt 7,16). Che dobbiamo fare, allora? Come dobbiamo interpretare queste parole? Ecco qua rovi e spine. Fate. Mi chiedi di raccogliere uva dalle spine: qua comandi, là proibisci, come farò a ubbidire? Senti, cerca di capire. Quando dico: “Fate ciò che dicono, non fate ciò che fanno“, devi ricordarti di quella mia parola: “Si son seduti sulla cattedra di Mosè“. Quando dicono cose buone, non son loro a dirle, è la cattedra di Mosè che le dice. La cattedra sta per la dottrina, è la dottrina di Mosè che parla; e la dottrina di Mosè sta nella loro memoria, ma non sta nelle loro opere. Quando però son loro a parlare, quando esprimono se stessi, qual è il commento? “Come potete dir cose buone voi, che siete cattivi“? Sentite l`altra similitudine. Non andate a cercar uva tra le spine; perché l`uva non viene sulle spine. Ma non vi siete accorti del tralcio che, crescendo, si spinge nella siepe, si mescola alle spine e lí fiorisce e tira fuori un grappolo? Hai fame, passi e vedi un grappolo tra le spine. Hai fame e vorresti prenderlo: prendilo, allunga la mano con cautela: guardati dalle spine, prendi il frutto. Così quando un uomo, sia pur pessimo, ti offre la dottrina di Cristo: ascoltala prendila, non rigettarla. Se lui è cattivo, le spine son sue, se dice cose buone, il grappolo pende tra le spine, non nasce dalle spine. Se hai fame, prendilo, ma guarda le spine. Se ti metti a imitar le sue azioni, stendi incautamente la mano: hai afferrato le spine prima del frutto: ne resti ferito, graffiato: non è il frutto che ti nuoce, esso viene dall`uva, sono le spine, che hanno un`altra radice. Per non sbagliarti, guarda dove prendi il frutto: c`è la vite. C`è un tralcio e vedi che appartiene alla vite, vien dalla vite, ma è capitato tra le spine. Dovrebbe forse la vite trattenere i suoi tralci? Così capita alla dottrina di Cristo: cresce, si spande e s`innesta su alberi buoni e su spine cattive e vien poi annunziata da buoni e da cattivi. Ti tocca guardare da dove viene il frutto, da dove nasce ciò che ti alimenta e da dove viene ciò che ti punge; si presentano insieme, ma la radice è diversa. (Agostino, Sermo Guelferb. 32, 10)
La reciprocità dell`amore verso il Maestro divino
È conveniente che noi si pratichi un amore di reciprocità verso chi, per amore, ci guida ad una vita migliore; che noi si viva secondo i dettami della sua volontà, non solo in adempienza di quanto egli ordina di fare o astenendoci da quanto egli vieta, ma fuggendo altresì taluni esempi e imitando il più possibile gli altri; è così che compiremo, per similitudine, le opere del Pedagogo e che si realizzerà appieno la parola: “Ad immagine e somiglianza” (Gen 1,26).
Impegnati in questa vita come in una notte profonda, abbiamo bisogno effettivamente di una guida infallibile e precisa. Ora, la migliore guida non è certo il cieco che, secondo la Scrittura, portato per mano da un altro cieco, conduce al precipizio (cf. Mt 15,14 e parr.); è invece il Logos il cui sguardo penetrante arriva al fondo dei cuori (cf. Ger 17,20; Rm 8,27).
E come non può esistere luce che non illumini, né oggetto in movimento che non si muova, né essere amante che non ami, così non può darsi un bene che non sia benefico e non conduca alla salvezza.
Amiamo dunque i precetti del Signore traducendoli nelle azioni: il Logos, facendosi carne (cf. Gv 1,14), ha manifestamente indicato che una stessa virtù concerne ad un tempo la vita pratica e la contemplazione. Sì, assumiamo il Logos come legge; riconosciamo che i suoi precetti e i suoi consigli sono sentieri accorciati e rapidi verso l`eternità: infatti, i suoi comandi sono pieni di forza persuasiva, e non di paura. (Clemente di Ales., Paedagogus, 1, 3, 9)
I frutti dello Spirito
Ecco poi una grande lezione di virtù, che ci insegna a non attendere la fertilità da ciò che è sterile, né aspettare un abbondante raccolto da un terreno non lavorato. A ciascuno la terra dà il frutto per quanto l`ha coltivata: tra le spine di questo mondo non potrai trovare il fico che, eccellendo per il sapore dei suoi frutti, è ben scelto per raffigurare l`immagine della risurrezione. Tu hai letto: “I fichi hanno dato frutti non maturi” (Ct 2,13), cioè i frutti della sinagoga sono apparsi fin da principio immaturi, inutili e caduchi; anche la nostra vita non è matura in questo corpo, lo sarà nella risurrezione.
Per questo dobbiamo tener lontane da noi le sollecitudini terrene, che logorano l`anima e inaridiscono lo spirito, se vogliamo raccogliere i frutti maturi di una diligente coltivazione. Tutto questo non possiamo trovarlo nei campi incolti di questo mondo, poiché “da spini non si colgono fichi, né da rovi si vendemmia l`uva” (Lc 6,44). Il primo detto si riferisce al mondo e alla risurrezione; l`altro, all`anima e al corpo: sia perché nessuno raggiunge con i peccati la maturazione della sua anima, la quale come l`uva, si corrompe se sta vicina alla terra e matura bene se sta in alto; sia perché nessuno può sfuggire alla condanna della carne se non colui che è stato redento da Cristo che come l`uva, fu sospeso al legno. (Ambrogio, In Luc., 5, 81)
A proposito di coloro che hanno mal rinunciato
Provo ritegno persino a dirlo, ma tanti di coloro che vediamo aver operato rinunce, lo hanno fatto senza mutare nei vizi precedenti sì che hanno cambiato solo l`apparenza e l`abito secolare. Infatti, si sforzano di acquistare quelle ricchezze che prima non possedevano; certamente, poi, non abbandonano quelle che in precedenza avevano.
Oppure, il che è ancora più lugubre, desiderano persino moltiplicarle, con il pretesto che hanno servi e fratelli da mantenere con quelle, come ne avessero un preciso obbligo. O ancora, siccome presumono di diventare abati, si riservano le ricchezze per fondare in seguito una qualche nuova comunità. Tutti costoro, se cercassero davvero la via della perfezione, si sforzerebbero di aderire a questa con tutte le forze, liberandosi non solo dalle ricchezze, ma altresì dagli affetti di un tempo e da tutte le altre distrazioni. Porrebbero se stessi, soli e spogli di tutto, sotto la potestà degli anziani, per non aver alcuna sollecitudine gravosa per gli altri, ma anche per non dover guidare se stessi.
Capita invece che, mentre si affannano ad eccellere sui fratelli, mai si sottomettono agli anziani. Mossi dalla superbia, mentre bramano ammaestrare gli altri, né apprendono per sé, né meritano di fare quelle cose che appartengono a Dio e sono da farsi.
A costoro è opportuno applicare la sentenza del nostro Salvatore, secondo la quale è inevitabile che dei ciechi divenuti guide di altri ciechi, finiscano insieme in un fossato (cf. Mt 15,14). (Giovanni Cassiano, Collationes, 4, 20)
La Scrittura è il nostro paradiso terrestre
Anche ora Dio passeggia nel paradiso, quando leggo la divina Scrittura. Il paradiso è il libro della Genesi, nel quale pullulano le virtù dei Patriarchi. E` paradiso il Deuteronomio, in cui germinano i precetti della Legge. E` paradiso il Vangelo in cui l`albero della vita fa buoni frutti e diffonde tra tutti i popoli le direttive dell`eterna speranza. (Ambrogio, Epist., 49, 3)
Non giudicate (Mt 7,15)
La vista mia accorciata dal peccato,
non scorgo piú la trave nel mio occhio;
la pagliuzza dell`altro con acume vedo,
cosí all`ipocrita divenendo affine.
(Nerses Snorhalí, Jesus, 426)
La Parola di Dio è impegnativa
Pambos, essendo un analfabeta, chiese a un tale che gl`insegnasse un Salmo. Ma sentito appena il primo verso del Salmo 38 che dice: «Ho detto: Seguirò la mia via, per essere fedele alla mia parola», se ne andò senza neanche sentire il resto, dicendo che questo verso era sufficiente, purché si fosse impegnato a praticarlo con le opere. Lamentandosi poi colui che gli aveva insegnato il primo verso, che dopo sei mesi non si era fatto piú vedere, rispose ch`egli ancora non era riuscito a metterlo veramente in pratica. Poi dopo molti anni, interrogato da un amico se avesse ormai imparato quel verso, disse: Diciannove anni interi a stento bastano per imparare a praticarlo. (Socrate lo Scolastico, Hist. Eccles., 4, 23)
Fonte: Figlie della Chiesa