La volgarità del linguaggio non è più un fatto marginale e trascurabile. Le “parole buone”, quelle rispettose delle idee e della sensibilità altrui, quelle che non offendono, che non umiliano, che non ricorrono a volgarità gratuite, sono diventate merce rara.
Questa domenica che ci conduce nella nuova Quaresima, offre la possibilità di confrontare la nostra fede con un ambito della vita che sfugge spesso alla nostra attenzione: la parola. A introdurre la riflessione è la prima lettura dal libro del Siracide: «Il frutto dimostra come è coltivato l’albero, così la parola rivela i pensieri del cuore». A portarla a compimento è il vangelo con lo stesso paragone dell’albero: «Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda». Le due riflessioni richiamano un impegno che san Paolo sintetizzerà così: «Nessuna parola cattiva esca dalla vostra bocca, ma piuttosto parole buone che possano servire per un’opportuna edificazione, giovando a quelli che ascoltano» (Ef 4,29).
La riflessione e l’esortazione sono molto importanti ed estremamente attuali in tempi in cui le “parole buone”, quelle rispettose delle idee e della sensibilità altrui, quelle che non offendono, che non umiliano, che non ricorrono a volgarità gratuite, sono diventate merce rara, e hanno lasciato campo libero a parole volgari, violente e offensive. Questo linguaggio greve e rozzo non è certamente una novità dei nostri giorni, però, mentre fino a non molti anni fa era considerato disdicevole e grave indizio di mancanza di educazione, per lo meno quando veniva adoperato in pubblico, oggi, è stato, come si usa dire: “sdoganato”, e considerato addirittura segno di libertà e di creatività, anche in categorie insospettabili. Non è necessario dilungarsi per fornire le prove, perché è sufficiente osservare cosa succede nei media, televisione e web, che hanno il duplice potere di rispecchiare ciò che accade nella realtà, e di rilanciarlo e rafforzarlo. Pochi accenni: i comici non sanno più far ridere se ogni tre parole non infilano una volgarità – e “comiche” donne fanno di tutto per non rimanere in dietro anche in questo campo -; gli sportivi e i loro allenatori non si fanno problema ad andare giù pesante; e i politici, il peggio del peggio, che ne hanno fanno addirittura una bandiera e uno strumento di propaganda. Così, dagli spettacoli, dai talkshow, dalle interviste la volgarità tracima tra la gente, come dimostrano sia la vita reale che i social.
Per chi prova a criticare e a contrastare questo malcostume, c’è sempre pronta una risposta: “Che male c’è? Le parolacce sono composte di vocali e consonanti come le altre”. Il male c’è e non è per nulla trascurabile, perché il risultato di questo malcostume è ciò di cui poi tutti si lamentano: la mancanza di rispetto dell’altro, sempre più generalizzata. Non potrebbe essere diversamente, perché chi non è attento a parlare, non lo è nemmeno ad agire. Infatti chi non cura le parole non cura nemmeno i sentimenti. «La bocca esprime ciò che dal cuore sovrabbonda», afferma Gesù. Tradotto: la volgarità del linguaggio scaturisce da un cuore abbandonato a sentimenti non rispettosi verso se stessi e verso gli altri.
Un segno di volgarità particolarmente insidioso: guardare la pagliuzza nell’occhio degli altri senza prima riconoscere la trave che è nel proprio occhio, ricorrendo a parole pesanti, giudizi immotivati, epiteti volgari, accuse inventate senza calcolare e preoccuparsi delle sofferenze e dei danni che possono provocare. La cronaca è ricca di tragedie gravissime provocate in persone deboli da volgarità diffuse dai social, e Papa Francesco è arrivato a dichiarare che “fare chiacchiere è terrorismo”, perché colpisce nel mucchio e si nasconde. Parole pesanti ma non nuove, perché la sapienza antica della Bibbia da sempre ha avvertito che «molti sono caduti a fil di spada, ma non quanti sono periti per colpa della lingua» (Sir 28,18).
Non arrendiamoci alle mode! Al contrario: l’impegno a far sì che nessuna parola cattiva esca dalla nostra bocca, ma soltanto parole buone che possano servire al bene nostro e degli altri, può essere un ottimo proposito per vivere al meglio la quaresima di quest’anno.
Fonte: Paoline