Commento al Vangelo del 3 Marzo 2019 – d. Giacomo Falco Brini

CIO’ CHE GUIDA GESÙ E IL SUO DISCEPOLO

Sono di rientro dalla Terra Santa. Per me è stata la prima volta. Ho vissuto il pellegrinaggio come un nuovo viaggio di nozze. Lo stupore e il dolore mi hanno accompagnato (è mancato improvvisamente un pellegrino del mio gruppo a Betlemme), e ho imparato ancora una volta come essi possano sorprendentemente coesistere. Sono molte le cose che colpiscono quando si è lì, anche se ne avevo una vaga conoscenza. Una di esse, a Gerusalemme, è la rigida osservanza religiosa di molti fratelli ebrei e musulmani. Nel loro sistema di vita c’è come motore una religione che li separa dagli altri. Proprio il contrario di quello che opera nel cuore umano la fede in Cristo. Il vangelo di oggi infatti offre 3 criteri di discernimento per verificare se abbiamo compreso le sue Beatitudini e se stiamo cercando di vivere le istruzioni di domenica scorsa, che si compendiano nel grande comandamento: siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro (Lc 6,36).

Facile a dirsi, ma difficile a credersi e ad agire di conseguenza. Mentre ero in coda per visitare il Santo Sepolcro a Gerusalemme, ho parlato con un uomo di Assisi. Ce l’aveva con i musulmani che hanno ancora le chiavi del luogo sacro e con i cristiani “deboli”. Secondo lui papa Francesco è uno di questi: ci sta portando alla rovina perché dialoga con i musulmani e il cristianesimo che predica è una stoltezza, perché fa arretrare il discepolo davanti all’avanzata musulmana. E’ la solita tentazione del cristiano: pensare che possa esistere un’altra strada di salvezza, pensare di poter ricorrere giustificatamente a mezzi e a modalità che Gesù ha rifiutato per compiere la sua missione, pensare che in certi casi è sacrosanto abbassare il tiro del vangelo, soprattutto quando mette al centro la misericordia di Dio. Ma oggi il vangelo dice che chi ritiene questo comandamento troppo perfetto o “saltabile” in certe occasioni, è un cieco e una guida di ciechi (Lc 6,39). Infatti, chi è il cieco per il vangelo? Se volete saperlo, andate a leggervi il celebre episodio di Gv 9. Se si è onesti, lì ci ricorderemo senza appello che cieco è colui che si fa guida degli altri senza avere in sé, come senso della vita, la misericordia di Dio. Cieco è colui che invece di scoprire il proprio male, è tutto intento a cercare e condannare il male altrui accampando la sua presunta giustizia.

Dunque il vero discepolo di Gesù insegna a vivere di misericordia facendosi misericordioso con gli altri: si prepari bene in materia, se vuole assomigliargli un po’! (Lc 6,40). Chi insegna diversamente è una guida cieca. Quell’uomo di Assisi cui ho solo rivolto qualche domanda mi ha tagliato corto dicendo: “a me hanno insegnato così e credo che sia giusto vedere le cose così, punto”. Liberissimo. Tuttavia i vv.41-42 rincarano la dose, se davvero cerchiamo il discernimento. La guida che insegna diversamente è cieca perché non si accorge di avere una trave nell’occhio. Questa verità ha 2 conseguenze: impedisce di riconoscere il proprio peccato con il suo peso (è una trave!) e impedisce di ricordarsi che il male altrui è chiamato da Gesù pagliuzza (cosa pesa?). Il suo, è l’unico peccato che Gesù apostrofa duramente: l’ipocrisia. L’ipocrita, nel teatro greco, prima di essere un attore che finge, è il protagonista che risponde al coro. Perciò altro modo sottilissimo di essere un falso maestro è farsi protagonista nel sapere tanti discorsi di Gesù, ma applicandoli sempre agli altri! Come faccio tante volte anch’io che sono chiamato ad essere guida per gli altri! Signore Gesù, abbi pietà di me!

Se il peccato fondamentale della vita (con sua conseguente cecità) è non ritenersi bisognosi della misericordia di Dio, possiamo allora comprendere i versetti finali del vangelo. Ogni albero si riconosce dal suo frutto (Lc 6,44). Se le cose stanno così (Lc 6,43), cos’è l’albero buono e cos’è l’albero cattivo? Cos’è il buon tesoro? (Lc 6,45a) Nei vv.39-42 abbiamo visto ciò che distingue le false guide. In questa ultima piccola parabola si evidenzia dove affonda le sue radici: è il cuore dell’uomo. Il problema capitale del discepolo di Cristo, nonché criterio della sua identità, è dunque sapere per davvero di essere una pianta cattiva che produce frutti amari: solo guardando con sincerità sé stessi si vede il proprio male e si sente il bisogno della misericordia di Dio. Un mio maestro diceva che la Bibbia serve per farmi battere il petto, non per batterla in testa agli altri! Il succo della fede cristiana consiste nel riconoscere che l’albero buono è solo Gesù e che frutti buoni li fa Lui, non io. Però, il miracolo della fede è che sono stato innestato in Lui e che può bonificare il mio cuore con la sua misericordia, se credo che Egli è capace di volgere sempre il mio male in bene. Il buon tesoro del mio cuore è Gesù. Prima delle azioni, è la mia parola che rivela se vivo della sua misericordia: la bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda (Lc 6,45b e anche Sir 27,4-8).

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