Commento al Vangelo del 3 marzo 2018 – Paolo Curtaz

Quanto dobbiamo ancora convertirci! Quanta fatica dobbiamo ancora fare per passare dall’idea di Dio che portiamo nel cuore al vero volto di Dio annunciato da Gesù! Il cuore del vangelo di Luca si trova tutto in questa parabola che parla dell’uomo e di Dio.

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Dell’uomo che vede in Dio un concorrente, un avversario, uno che vuole soggiogarci, e che pretende di avere un’eredità che non gli è dovuta, che pone una grande distanza fra sé e il padre, che sperpera il patrimonio in idiozie perdendo la dignità.

Dell’uomo che vive la propria appartenenza al padre come un obbligo, come una schiavitù che non suscita gioia ma noia, di una visione della vita castrata e senza emozioni. E ci parla di Dio. Del nostro Dio.

Un Dio che lascia partire il figlio senza fermarlo, che lo aspetta ogni giorno, che esce di casa correndo (gesto sconveniente in Israele!) e lo abbraccia. Che non chiede ragione delle folli spese del giovane, che gli restituisce dignità.

Un padre che esce di casa per spiegare le proprie ragioni al figlio maggiore, che cerca di convincerlo… E noi, quale Dio vogliamo tenere?

Paolo Curtaz – qui il commento nel suo blog

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO

Dal Vangelo secondo Luca

Lc 15,1-3.11-32

In quel tempo, si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».

Parola del Signore

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