Corpus Domini
Il Vangelo di oggi ci ricolloca nella cornice pasquale. Siamo nel giorno della preparazione alla Pasqua che poi alla sera diventa il primo giorno degli azzimi. La festa degli azzimi e la festa della Pasqua nel tempo si sono in qualche modo sovrapposte, indicando la stessa realtà del passaggio, della liberazione. Gli azzimi sono il pane dell’afflizione e della schiavitù, ma anche il pane della verità, della vita nuova, del taglio con il passato, e per questo il primo giorno degli azzimi si doveva togliere dalla casa tutto il lievito vecchio a indicare che si tagliava con una mentalità che è quella degli schiavi per diventare un popolo libero, per entrare in una novità di vita.
È l’esortazione di Paolo a tagliare con la mentalità del mondo, con la mentalità del peccato, con tutto ciò che in qualche modo può rendere la nostra vita corruttibile: un pane lievitato va molto più facilmente a male rispetto al pane azzimo, ma noi siamo già azzimi, nella sincerità e nella verità (cf 1Cor 5,7). Siamo già questa pasta nuova che è Cristo, che è la verità della vita, quella divino-umanità che è l’umanità vissuta al modo di Dio. Il Levitico al capitolo 23 ci ricorda che il primo giorno dopo il sabato – dei sette giorni degli azzimi – c’era il rito di portare il primo frumento raccolto nel campo al sacerdote che lo agitava in alto per esprimere la gratitudine a Dio per la nuova vita. [better-ads type=”banner” banner=”84722″ campaign=”none” count=”2″ columns=”1″ orderby=”rand” order=”ASC” align=”right” show-caption=”1″][/better-ads]
Questo covone si chiamava la prima delle primizie della vita. Nell’anno della Pasqua di Cristo questa festa del covone, questa liturgia dopo il sabato, cade proprio nel giorno della risurrezione di Cristo. “Cristo è stato risuscitato dai morti, primizia di quelli che sono morti” (1Cor 15,23). È Cristo questa primizia, questa umanità nuova vissuta da Dio come Figlio, umanità che oltrepassa la morte, che fa parte già della nuova creazione, che fa già parte del santuario vero e non è più vulnerabile al lievito vecchio, al veleno del peccato, della tentazione, della morte ma è la primizia. Lui è risuscitato come primizia, poi risusciteranno tutti quelli che sono suoi, che sono di Lui.
Molti sono i parallelismi con l’ingresso di Cristo a Gerusalemme: stesse parole, stesse frasi per aiutarci a capire che in questa cornice pasquale, in questa cena che sarà istituzione della Pasqua, si racchiuderà il vero passaggio, che è il passaggio alla Gerusalemme celeste, al santuario vero, nel Regno, nell’eschaton. Questo è il vero taglio con il passato, con il lievito vecchio. È la primizia di risurrezione, di una umanità risorta che può entrare nel regno, può entrare sulla piazza d’oro perché non è più della carne e del sangue di questo mondo.
Questa grande ricchezza del passaggio a un pane nuovo si è persa nella grande, insormontabile distanza che si è creata tra l’eucaristia e la teologia che voleva esprimerla, che, pur cercando di mettere l’accento sulla presenza di Dio, non è riuscita a inserirla in una visione trinitaria, comunionale, ecclesiale, chiudendo l’orizzonte su un rapporto individuale con l’eucaristia che invece è proprio il superamento dell’individuo, l’affermazione della persona nel suo senso teologico, come intessuta in un organismo, in un corpo della primizia che è Cristo. Il Vaticano II ci invita a riappropriarci del mistero dell’eucaristia perché essa è la vita stessa della Chiesa, è l’articolazione della sua vita all’interno: noi siamo ciò che siamo nell’eucaristia che è per noi un cibo che nutre l’uomo per questa grande novità che Dio ha compiuto in Gesù Cristo per noi, questo nostro innesto nella novità di Cristo.
Questo passaggio, questo innesto, avviene con il cibo e la bevanda – non è sufficiente contemplare, ammirare, adorare. L’Eucaristia ci coinvolge in quell’unico evento in cui questo passaggio è avvenuto. Ci colloca lì, come popolo di Dio, intessuto in questo organismo fatto di tante dimore che è il suo Corpo, mentre siamo in cammino verso il compimento. Questo va recuperato. Da qui si comincia. Qui si apre la dimensione ecclesiale, il Corpo di Cristo, la sua vita, il calice, il passaggio ci ha ricreati, ci ha rigenerati, ci ha risuscitati come sua Sposa, come il Corpo di cui Lui è il capo. L’Eucaristia è la vita e il Corpo del Signore nostro, ma è anche tutto ciò che è Cristo con il Suo Corpo, con la sua Sposa che siamo noi, la Chiesa.
È il luogo dove sprofonda la tentazione, che sempre resta, del lievito vecchio, la nostalgia della schiavitù, le cose vecchie e non risolte, i rancori, le vendette, i perdoni non dati, non ricevuti, le ferite che sanguinano, puzzano e diventano gli occhiali attraverso i quali leggiamo noi stessi e gli altri, la storia e tutto… L’Eucaristia è il farmaco che guarisce, sana e nutre con tutto ciò che essa è, anche la Chiesa, in una ricchezza del nutrimento del Corpo di Cristo, della sua vita filiale, dunque della vita dei fratelli e delle sorelle.
P. Marko Ivan Rupnik – Fonte