Che senso ha tutto questo?
Come racconteremo in futuro a chi non l’ha vissuto direttamente quello che sta succedendo in questo periodo storico? Non solo “cosa” racconteremo, cioè non solo i fatti (che molti sono ancora da accadere), ma come racconteremo il modo in cui li abbiamo vissuti, cosa ci hanno insegnato e come ne siamo usciti interiormente, sia come singoli che come comunità? E alla fine che significato daremo a tutto questo?
C’è uno spot pubblicitario in televisione questi giorni che immagina due genitori, in un futuro prossimo, raccontano ai loro bambini il periodo del virus con le restrizioni e come le hanno superate. Questi genitori usano il tono positivo di chi vuole trasmettere il bene imparato e i motivi di speranza per il futuro e non solo le difficoltà.
Quando gli evangelisti hanno scritto i 4 vangeli che conosciamo, i fatti storici di Gesù di Nazareth erano passati da almeno 30 anni. In mezzo c’era stata tutta la crescita della prima comunità cristiana, c’erano stati i primi problemi del primo gruppo di discepoli che hanno dovuto affrontare il processo di comprensione di quello che era successo e anche le ostilità esterne. Quando anche l’evangelista Giovanni, che secondo gli studiosi è l’ultimo a scrivere il suo vangelo, stende il resoconto della vita del suo amico e maestro Gesù, c’è stato un lungo periodo in cui lui e la comunità cristiana hanno cercato di rielaborare i fatti storici, hanno ripensato i gesti e le parole che forse in un primo momento non erano così chiari. E poi l’azione dello Spirito Santo ha pian piano lavorato nel cuore e nella mente di Giovanni per portarlo a quell’altezza giusta (come un’aquila che tradizionalmente è il simbolo del quarto evangelista) per vedere la vicenda di Gesù nella sua completezza anche prima degli stessi eventi storici sperimentati in prima persona.
Questa domenica la liturgia ci fa ascoltare ancora una volta (come la mattina del giorno di Natale) il cosiddetto “prologo” al Vangelo che l’evangelista premette alla narrazione dei fatti di Gesù. Sono 18 versetti che nel primo capitolo fanno iniziare tutta la vicenda non in un contesto storico, ma fuori dalla storia, direttamente nell’eternità di Dio.
“In principio era il Verbo…”, scrive san Giovanni, e in quel “principio” si richiama la prima parola della Genesi quando viene narrata la creazione. Siamo fuori dal tempo, dentro Dio stesso che è principio di ogni cosa così come della stessa storia di Gesù di Nazareth. Giovanni in quel suo “prologo” mette quel che lui ha capito della storia di Gesù dopo averla vissuta, pregata e testimoniata. Potremmo dire che quell’inizio del Vangelo è in fondo la fine del cammino di fede di Giovanni, tutto quello che lui ha capito della storia di Gesù. Nel prologo c’è la conclusione del cammino di fede riguardo Gesù, uomo vero e storicamente vissuto in un contesto particolare, ma che dentro fin dall’inizio aveva tutto Dio, tutta la luce e la vita di Dio.
Queste righe che stanno all’inizio del racconto sono molto dense di significato e così cariche si fede che non è facile leggerle velocemente e capirle tutte. Non bisogna avere fretta di capire queste parole in ogni loro parte, ma sono parole da cui farsi prima di tutto avvolgere, sono una testimonianza di fede che può contagiare la nostra fede.
Giovanni comprende che nella vita storica di Gesù c’è tutto Dio, tutto il desiderio di Dio di comunicare con l’uomo, di abbattere ogni distanza tra la nostra piccolezza e la sua grandezza, e illuminare così le nostre tenebre, anche le tenebre che stiamo vivendo in questo periodo…
Come racconterò io questo periodo che sto vivendo oggi? Me lo domando principalmente come cristiano. Voglio credere che se coltiverò nella mia vita l’incontro con Gesù Cristo attraverso il Vangelo, allora sarò capace di leggere anche dentro queste tenebre la luce e la vita di Dio. Non sono ancora in grado di dire che tutto mi è chiaro, anche perché io come tutti ci sono ancora dentro. Leggendo e meditando queste parole del prologo, spero davvero che come la Parola d’amore di Dio non è rimasta chiusa nel cielo ma si è fatta carne, si è fatta visibile e storica in modo che potesse essere sperimentata in Gesù, così anche per me lo sarà nella mia storia. Anch’io e così anche tutti gli altri potremo raccontare questi giorni con una speranza e un senso profondo di vita, dicendo che davvero le tenebre non hanno prevalso sulla luce e “in lui è la vita e la vita è la luce degli uomini”. E questa luce è Gesù.
Fonte: il blog di don Giovanni Berti (“in arte don Gioba”)