Commento al Vangelo del 3 Febbraio 2019 – Piccole Suore della Sacra Famiglia

PAROLE DI GRAZIA CHE USCIVANO DALLA SUA BOCCA

BATTESIMO DEL SIGNORE – ANNO C – LUCA 3,15-16.21-22

In quel tempo, 21. Gesù cominciò a dire nella sinagoga: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.

Il brano della liturgia odierna continua l’episodio che è stato oggetto di meditazione la scorsa domenica. Come Gesù trascorre la sua infanzia a Nazareth, così inizia anche il ministero a Nazareth. Proprio a Nazareth viene dapprima accolto e poi rifiutato, anzi gli abitanti cercheranno di farlo morire. Nella storia di Gesù si legge in filigrana la storia della Chiesa e dei discepoli di Cristo, prima accolti e poi respinti.

“Oggi”: (sémeron) è il termine che dà inizio all’anno di grazia, alla predicazione, alla missione di Gesù. Dalla Parola proclamata, Gesù capisce se stesso, la sua chiamata, la sua missione, il suo percorso futuro. Egli pronuncia le sue prime parole ufficiali; non commenta il testo, ma lo conferma, e afferma che si attualizza ciò che il profeta Isaia aveva predetto seicento anni prima.

“Oggi”, “ora”, “in questo momento” noi vogliamo accogliere la salvezza e donarla ai fratelli. Facciamo in modo che ognuno sia felice di incontrare Dio attraverso la nostra umile storia, il nostro gesto disponibile, il nostro sguardo sereno, la nostra fedeltà fatta di piccole cose, il nostro desiderio di giungere alla meta dove saremo colmati di pace eterna.

22.  Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: “Non è costui il figlio di Giuseppe?”.

Lo stupore dei nazareni è grande perché non si trovano davanti alla grande sapienza che emana da un uomo che hanno visto crescere in mezzo a loro. Accolgono positivamente la sua parola, che entra nella vita e tocca i cuori, ma subito si lasciano prendere dal pregiudizio, dall’avversità, dall’ostilità.

Siamo chiamati anche noi cristiani a convertirci perché Dio può parlarci attraverso le persone più umili. Dobbiamo perciò accogliere la Parola, al di là della persona che ce la offre.

“Parole di grazia che uscivano dalla sua bocca”: Gesù manifesta che il suo insegnamento procede dall’Alto e che le sue parole nascono da una sapienza più grande, divina.

“Non è costui il figlio di Giuseppe?”: Giuseppe era conosciuto, Gesù era conosciuto. I nazareni non ritengono possibile che tanta sapienza scaturisca da una persona come loro, proveniente da un paese sperduto. Fin dall’inizio Gesù diventa scandalo per i suoi compaesani e avrà come frutto la croce.

23.  Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”».

A differenza del racconto di Marco, Luca ci presenta un Gesù che non compie miracoli, anche se sono i suoi paesani che glielo chiedono. L’intento è quello di far emergere che Gesù è subito segno di contestazione e fa venire a galla i pensieri di molti cuori. Il proverbio che Gesù cita era molto conosciuto: prima di parlare bisognerebbe che un medico fosse capace di guarire se stesso. Così Gesù, prima di compiere miracoli altrove, dovrebbe cominciare a compierli nel paese di origine. Invece, Egli non vuole lasciarsi possedere dai suoi compaesani, né essere obbligato a sottostare al loro monopolio. Essi pretendono di sapere tutto di lui e si chiudono alla sua salvezza.

Fin da questo momento è chiaro che la missione di Gesù è rivolta a tutto il mondo, non è esclusiva della sua nazione. La liberazione che Egli porta non nasce solo dal proprio potere, ma da quello della Parola che Egli pronuncia.

Evitiamo anche noi di chiuderci alla salvezza di Dio e apriamoci alla sua volontà che si rivela nel nostro intimo, nel dialogo profondo con Lui.

24.  Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria.

Gesù cita un altro proverbio preceduto dalla locuzione “In verità vi dico”, modo semitico che precede un’affermazione molto importante. Il proverbio dichiara che un profeta ha una missione universale, aperta a tutti e che per questo non può fermarsi nella sua patria, dove non viene necessariamente capito.

25.  Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26. ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne.

Per affermare che la sua è una missione aperta a tutti, Gesù cita due interventi di Dio a favore di stranieri: il primo è verso una vedova di Zarepta, la cui farina e il cui olio durerà per molto tempo, in cambio di aver dato da mangiare, nonostante la sua povertà, al profeta Elia: “La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunziata per mezzo di Elia” (1Re 17,7-16).

27.  C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro ».

Il secondo intervento di Dio, citato da Gesù, è a favore di un uomo affetto da lebbra, Naaman (in ebraico significa “piacevolezza”), capo dell’esercito arameo di Ben Hadad II, al tempo di Joram, re di Israele. Una giovane schiava ebrea rivelò alla moglie che un profeta in Samaria avrebbe potuto curare il suo padrone. Naaman ottenne una lettera da Ben Hadad e si recò con questa da Joram. Il re di Israele interpretò questo gesto come un disegno malvagio contro di lui e si stracciò le vesti. Quando il profeta Eliseo lo venne a sapere, mandò a chiamare Naaman e gli comandò di immergersi per sette volte nel fiume Giordano (cfr. 2Re 5,1-27).Vistosi guarito, Naaman ritornò a ringraziare l’uomo di Dio e rinunciò alla sua divinità Rimmon, identificato con Ramman (“ruggente, tonante”), dio venerato in Assiria e in Babilonia, e scelse il Dio di Israele.

Gli esempi della vedova di Zarepta e di Naaman indicano come l’azione di Gesù è rivolta anche ai pagani, senza pregiudizi, senza esclusioni.

28.  All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno.

La reazione dei nazareni è molto sproporzionata, ma simboleggia il rifiuto che Gesù avrà in tutta la sua vita e che continuerà nello scontro tra i Giudei e la Chiesa.

Evitiamo di essere pieni di ira come i nazareni, liberiamoci dalla pretesa di sapere tutto sulla religione, sulla storia, sulla vita. Facciamo spazio a Dio per essere ricolmi del suo Spirito Santo, che ci spinge verso la novità e verso nuovi orizzonti.

Anche noi cristiani rischiamo di ascoltare superficialmente la Parola o di riempirci di sdegno quando incontriamo qualcuno di credibile che la proclama e ci fa scomodare. Invece di lasciarla scorrere via, dobbiamo assimilarla perché diventi vita della nostra vita: “La tua parola mi fa vivere” (Salmo 119,50). Dove cercare conforto se non in Dio? Dove cercare risposte se non nella sua verità? Dove trovare gioia se non nel crederci amati da Lui?

29.  Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù.

Dal punto di vista geografico le indicazioni di Luca sono imprecise. Nazaret è posta sul fianco di una valle, non su un monte, a nord-est della pianura di Iezreel. Per l’evangelista quello che conta è preannunciare che il destino di Gesù sarà quello di essere espulso, perseguitato e portato fuori dalla città per essere crocifisso.

30.  Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Gesù supera il tentativo di linciaggio, mostrandosi più forte degli avversari. Riprende il cammino, sia simbolico che reale per giungere a Gerusalemme. L’evangelista Giovanni direbbe che per Gesù non era ancora giunta la sua ora, il momento di pagare con la vita la sua adesione al Padre.

Da questo brano del Vangelo impariamo che è possibile ostacolare la profezia, ma non ucciderla, perché ha insita una incontenibile vitalità, che viene da Dio.

Se ascoltiamo la voce del Signore, se incarniamo la sua Parola, se ci poniamo in aiuto a chi soffre, come ha fatto il samaritano, riusciremo ad essere segno di contraddizione per la società del nostro tempo, profeti di speranza nel Dio della Vita. Se siamo ancorati a Lui, nulla potrà farci desistere da una testimonianza che neanche la morte può annientare.

Uniti a Dio siamo e saremo invincibili. Continuiamo, pertanto, il nostro cammino, passando in mezzo al male e andando oltre, verso il compimento della nostra missione.

Suor Emanuela Biasiolo

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Lc 4, 21-30 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino. C: Parola del Signore. A: Lode a Te o Cristo.

Fonte: LaSacraBibbia.net

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