Qual è la nostra porta per il cielo?
Il vangelo di questa domenica presenta la parabola del povero Lazzaro e del cosiddetto “ricco epulone”, sinonimo di mangione. È la storia di un uomo ricco, abituato a vesti di porpora o lino finissimo e ogni giorno banchetta lautamente; di fronte a lui si staglia la figura del povero che sta alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con ciò che resta sulla tavola del ricco, ma non viene neppure considerato: solo i cani si avvicinano per leccare le sue ferite e lenirgli il dolore.
Dopo la morte, Lazzaro riposa nel seno di Abramo mentre il ricco sprofonda negli inferi tra i tormenti e un grande abisso separa i due. Un esito trionfale per il povero e tremendo per l’epulone: ci ricorda che conseguono esiti drammaticamente diversi e inappellabili secondo lo stile di vita adottato, ed è giusto che ciò generi un guizzo di santa angoscia, perché ci aiuta a capire che fatto, esperienza, relazione vissuti sono roba seria. Già in questa vita esistono abissi per i quali c’è il tempo di rimediare ed è molto importante ricordarlo, perché esiste una differenza notevole tra fare il bene e scegliere il male, tra chi si occupa del prossimo e chi se ne disinteressa, tra chi si volge al bene aprendosi al regno dei cieli e chi si concentra su se stesso. Le nostre scelte sono importanti e possono determinare profondamente il nostro benessere o malessere e quello altrui.
Anche nell’aldilà il ricco dà indicazioni di servizio a Lazzaro, chiedendogli di intingere nell’acqua la punta del dito per bagnargli la lingua; ed è interessante rilevare come egli continui a vederlo come un subalterno. Non potendo essere alleviato nel suo dolore, l’epulone chiede che i suoi fratelli almeno si salvino, ma ottiene l’amara risposta di Abramo: “Hanno Mosè e i profeti, ascoltino loro” (Lc 16,29). Avere Mosè e i profeti significa possedere già la strada che conduce alla salvezza.
Comincia allora a palesarsi la sapienza intima di questa parabola: il ricco ha avuto la sua occasione per salvarsi e la sorpresa è constatare che quel pezzente cencioso, puzzolente accanto alla sua porta, perennemente ignorato, a cui non pervenivano neanche le briciole della tavola, quell’orribile, inguardabile uomo vicino alla soglia era la porta per il paradiso. Lazzaro era la potenziale salvezza per il ricco, l’occasione per entrare nel regno dei cieli. Tutti, oggi, abbiamo accanto a noi delle porte per accedere al regno dei cieli e probabilmente le stiamo sottovalutando. La salvezza sta lì, a portata di mano: abbiamo Mosè e i profeti, un povero sulla soglia, infermità inaspettate o croniche: tutte potenziali occasioni per entrare nell’eternità. Solo stando fra i tormenti negli inferi il ricco alza gli occhi e «vide». Spesso la sofferenza è il momento della chiarezza, del discernimento in cui finalmente scopriamo le cose che contano. La ricchezza spesso obnubila la vista.
Le cose possiamo capirle pienamente solo guardandole dal paradiso o dall’inferno, ossia guardandole secondo il loro esito definitivo, chiedendoci fin da subito se un atto ci sta conducendo in cielo oppure nell’abisso. Sant’Ignazio, spiegando i principi del discernimento, invita a chiedersi: “questo pensiero mi porta a Dio o mi porta a ripiegarmi su me stesso?”.
La parola di questa domenica ci invita a prendere in mano la nostra vita per scoprire che tutto quello che abbiamo in noi e intorno a noi può essere una porta per la grazia, può essere la soglia del paradiso. Quelle cose che non guardiamo perché sporche, cenciose, antipatiche, possono essere invece una grazia, un’occasione per fidarci di Dio e rispondere al suo amore e alla vita.
Letture della
XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C
Prima Lettura
Ora cesserà l’orgia dei dissoluti.
Dal libro del profeta Amos
Am 6,1a.4-7
Guai agli spensierati di Sion
e a quelli che si considerano sicuri
sulla montagna di Samaria!
Distesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani
mangiano gli agnelli del gregge
e i vitelli cresciuti nella stalla.
Canterellano al suono dell’arpa,
come Davide improvvisano su strumenti musicali;
bevono il vino in larghe coppe
e si ungono con gli unguenti più raffinati,
ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano.
Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati
e cesserà l’orgia dei dissoluti.
Parola di Dio
Salmo Responsoriale
Dal Sal 145 (146)
R. Loda il Signore, anima mia.
Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri. R.
Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri. R.
Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione. R.
Seconda Lettura
Conserva il comandamento fino alla manifestazione del Signore.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
1 Tm 6,11-16
Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni.
Davanti a Dio, che dà vita a tutte le cose, e a Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo,
che al tempo stabilito sarà a noi mostrata da Dio,
il beato e unico Sovrano,
il Re dei re e Signore dei signori,
il solo che possiede l’immortalità
e abita una luce inaccessibile:
nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo.
A lui onore e potenza per sempre. Amen.
Parola di Dio
Vangelo
Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 16,19-31
In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».
Parola del Signore