Commento al Vangelo del 29 Aprile 2018 – Piccole Suore della Sacra Famiglia

RIMANETE IN ME E IO IN VOI

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 1. «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore.

In questa domenica quinta di Pasqua, l’evangelista Giovanni vuole incoraggiare la sua comunità a rimanere fedele a Gesù, nonostante le persecuzioni. Il brano presenta uno dei discorsi di addio pronunciati da Gesù alla sera del Giovedì Santo, dopo l’Ultima Cena.

Gesù si identifica con la vite, pianta molto comune in Palestina, oltre all’olivo e al fico. La vite è un arbusto rampicante dal fusto contorto. È una pianta che ama il sole, si adatta al clima, basta che sia temperato e non rigido. Cresce dal livello del mare fino alla collina. Sembra che il luogo di origine sia stato in Asia Minore fin dall’8000 a.C. È la pianta da cui si trae “il vino, che rallegra il cuore umano” (Salmo 104,15).

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Questi dettagli e l’osservazione da vicino di una vite per vedere il legame tra tronco e rami, ci aiutano a capire che Gesù ha scelto il paragone di una pianta molto comune, ben conosciuta dai suoi interlocutori.

Nella Bibbia i profeti descrivono il popolo di Dio come una vigna, curata con amore dal Dio dell’Alleanza. Israele, però, non corrisponde sempre alle cure che riceve e non produce spesso i frutti attesi.

Nel libro del profeta Isaia è descritta la relazione unica tra Dio e il suo popolo. Il canto di Isaia 5,1-7 è detto “canto della vigna”. Lo scrittore sacro utilizza i termini “diletto” e “amato” con cui è identificato lo sposo del Cantico dei Cantici. Dio, che aveva dato tutto se stesso al popolo scelto, voleva che fosse osservata la sua volontà: giustizia, rettitudine, amore, non norme esteriori di culto.

La vigna curata e rigogliosa è simbolo di Israele che vive nella volontà di Dio. La vigna abbandonata e distrutta è immagine della risposta di Dio all’infedeltà del popolo.

In Isaia 27,2-5 Dio promette un intervento futuro di perdono che porterà pace e prosperità a tutta la vigna.

Geremia proclama di Israele: “Ti ho piantato come vite vera (alethiné)” (Geremia 2,21).

Il Salmo 80 (8-12) comunica l’azione di Dio verso il suo popolo: “Hai divelto una vite dall’Egitto, per trapiantarla hai espulso i popoli. Le hai preparato il terreno… la sua ombra copriva le montagne e i suoi rami i più alti cedri. Ha esteso i suoi tralci fino al mare e arrivavano al fiume i suoi germogli”.

La vigna piantata da Noè, sfuggito al diluvio, segna l’inizio di un’era nuova.

Nel Cantico dei Cantici la vigna è simbolo della sposa (Israele), che molto spesso però si dimostra infedele.

“Io sono la vite vera” : Gesù si identifica con la vite e aggiunge “vera” (alethiné) perché in lui si compiono le promesse di Dio a Israele. Il popolo eletto è stato inutilmente richiamato da Dio che si attendeva frutti di fedeltà e non li ha ricevuti. Gesù è il nuovo Israele, l’autentico, piantato da Dio, colui che rappresenta tutto il popolo.

“Il Padre mio è l’agricoltore”: visto il fallimento di Israele, Dio Padre si prende cura Egli steso dell’umanità perché dia frutto abbondante. L’alleanza diventa personale. Gesù ha l’audacia di chiamare “Padre mio”, il vignaiolo che coltiva la vite. Gesù è la vigna che ricapitola in sé tutta la storia del popolo di Dio, assumendo i suoi peccati e le sue sofferenze.

Gesù ci presenta Dio come un Padre che non siede in trono, ma che è un lavoratore, munito di cesoia e non di scettro: vuole che portiamo frutto e per questo interviene al momento opportuno per sfrondare quanto è inutile nella nostra vita.

Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto.

“Ogni tralcio che in me non porta frutto”: in primavera (marzo/aprile) si tagliano i rami infruttuosi. In estate (agosto) si potano i germogli superflui. Il lavoro dell’agricoltore è potare, non amputare, è togliere il superfluo; proprio perché ci tiene alla sua vigna e vuole che dia la massima produzione, vigila, controlla, interviene, taglia, lega, sostiene…

La potatura è dolorosa (quando il contadino pota, la vite “piange” dove è tagliata, esce del liquido, come lacrime, fino a quando la ferita guarisce e si cicatrizza), ma è necessaria per rinvigorire la vite, farla crescere e farle produrre più frutti. La potatura può essere fatta solo da Dio: è Lui che sa quando e cosa è giusto tagliare.

Tutti noi, riflettendo, possiamo testimoniare che le potature e i momenti difficili della vita ci hanno aiutato a crescere.

Anche la Chiesa può aver bisogno di potatura per non rischiare di produrre fogliame e non frutti. Come comunità cristiana abbiamo bisogno di lasciarci potare da Dio attraverso la sua Parola che monda (verbo kathaíro), che è come spada a doppio taglio (cf. Ebrei 4,12).

Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.

I discepoli di Gesù sono già innestati alla vite. Per questo vengono chiamati “puri”. Non si tratta di purità morale, ma di unione intima con Cristo, realizzata tramite l’annuncio della Parola, che pota anche ciascuno di noi, perché essa è anche giudizio che separa, ci purifica e ci indirizza verso la strada della comunione con Cristo e il Padre per mezzo dello Spirito.

Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me.

Gesù spiega che soltanto uniti a Lui possiamo essere fecondi. Ci chiede di rimanere nel suo amore (verbo méno). Rimanere non è solo restare, dimorare, ma significa essere comunicanti “in” e “con” Gesù a tal punto da poter vivere, per la stessa linfa, di una stessa vita. La parola annunciata da Gesù ha il potere di potare i suoi discepoli, di cambiare, cioè il modo di pensare, di amare, di agire, per assumere i sentimenti stessi di Cristo. Anche noi dobbiamo compiere una scelta: stare uniti a Cristo oppure essere gettati nel fuoco come sarmenti (tralci) inutili. Non è possibile, infatti, produrre frutto se non intensamente legati alla pianta. Fuori di metafora, non possiamo offrire salvezza al mondo se non siamo uniti a Colui che vive in noi: egli è il tutto e noi possiamo portare frutto solo se lasciamo scorrere la linfa della Sua vita in noi, attraverso la Parola e i sacramenti.

“Rimanete in me e io in voi”: l’unica condizione per portare frutto è essere inseriti in Cristo: Lui in noi e noi in Lui. Lui pianta, noi tralci. Unica linfa, unica radice, unica pianta, unico amore che unisce per sempre la creatura al Creatore, il Creatore alla creatura. In ogni momento, in qualsiasi tempo, nonostante tutto ciò che può accadere dobbiamo essere una cosa sola con Dio.

L’invito di Giovanni è quello di costituire una comunità compatta, unita nell’amore reciproco, che sia in grado di vincere gli assalti della tentazione della disunione e del distacco dalla fede in Cristo. Il messaggio, pertanto, è di grande attualità anche oggi.

Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.

La vera identità dei discepoli si rivela nel rimanere uniti al Signore. Solo a questa condizione possiamo contribuire alla salvezza, perché senza il Signore non possiamo fare nulla.

Dobbiamo aprirci all’azione di Cristo per permettere al suo amore di raggiungere tutti per mezzo nostro.

Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.

Chi non rimane unito a Gesù sperimenta non tanto il fuoco dell’inferno, quanto il fuoco che brucia l’inutilità. È inservibile chi non è una cosa sola con Cristo. I sarmenti (o tralci) della vite, infatti, non servono neppure per fare legna.

Per capire questo versetto è necessario sapere che Giovanni scrive per una comunità cristiana che subisce pressioni dagli ebrei affinché i neo cristiani tornino alla fede giudaica, staccandosi dalla nuova dottrina che hanno abbracciata.

Queste parole sono rivolte anche a noi oggi, tentati di abbracciare altre impostazioni filosofiche, scientiste, pseudo-religiose, materialiste.

Se siamo uniti a Gesù nessuna forza contraria può farci deviare dalla salvezza.

Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8.

In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

Gesù ci comunica che la sua Parola è garanzia di unità non solo con Lui, ma anche con il Padre: siccome Gesù e il Padre sono una cosa sola e ognuno di noi è unito a Gesù, siamo di necessità uniti anche al Padre. Più forte è la nostra fede e la nostra unione, più grande sarà l’esaudimento di ogni nostra richiesta e più grande sarà la gloria che il Padre ne trarrà.

Lasciamoci attraversare dall’energia vitale che viene da Dio, in modo che Lui produca frutto per mezzo nostro. Invochiamo lo Spirito perché non permetta che ci separiamo dalla comunione Trinitaria, unica fonte della nostra gioia e della nostra fecondità spirituale nel mondo.

Suor Emanuela Biasiolo

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
V DOMENICA DI PASQUA – ANNO B

Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 29 Aprile 2018 anche qui.

Gv 15, 1-8
Dal Vangelo secondo Giovanni

1«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 29 Aprile – 05 Maggio 2018
  • Tempo di Pasqua V
  • Colore Bianco
  • Lezionario: Ciclo B
  • Anno: II
  • Salterio: sett. 1

Fonte: LaSacraBibbia.net

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