Siamo giunti alla quinta domenica di Pasqua. Possiamo scorgere un cammino che la liturgia domenicale ci ha proposto anche solo considerando i brani evangelici. La settimana Santa ci ha spronato ad una immersione nel mistero Pasquale, evento centrale della nostra salvezza. Nelle domeniche successive ci ha presentato le varie apparizioni del Risorto, quasi a sottolineare il suo essere sempre con noi, nella nostra quotidianità. Quindi l’immagine di Gesù, Buon Pastore, che si fa carico della pecorella smarrita, nella domenica scorsa, ed ora la parabola della vite e i tralci, ossia della nostra realtà più intima di credenti che si realizza in una profonda intimità con Dio. La sua vita divina, come linfa, penetra la nostra vita e la trasforma, è la stessa vita di Dio ricevuta nel Battesimo e vivificata continuamente dall’Eucaristia, cibo spirituale, che la plasma.
Il brano di questa domenica è posto nel vangelo di Giovanni dopo l’Ultima Cena e prima della preghiera di Gesù al Padre nel Getsemani, a cui seguirà la cattura. Gesù sta parlando ai suoi discepoli, sta facendo loro le sue ultime consegne. Egli dice:
Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Perché Gesù ci parla della vite? Si tratta di una parabola, ossia di un genere di discorsi utilizzati anche dai rabbini del tempo per affrontare dei temi importanti per la vita, il cui riferimento era alla vita quotidiana, e all’ambiente culturale. In Israele come in tutto il bacino mediterraneo la vigna è conosciuta, coltivata e ne sono apprezzati i suoi frutti. Anche l’Antico Testamento ne parla.
Isaia 5, 1–7 ha un bellissimo testo “Il cantico della vigna” in cui Israele, popolo di Dio, è paragonato ad un vigneto, curato con passione da un agricoltore, in ultima analisi da Dio. E Geremia 2,21 dice: “Io ti avevo piantato come vigna pregiata, tutta di vitigni genuini; come mai ti sei mutata in tralci degeneri di vigna bastarda?”. Gesù stesso ci parla di un viticoltore: il Padre. Dio ama il suo popolo come sua proprietà, come colui che cura con dedizione e impegno il suo campo. In un altro testo biblico dice: “Come una madre ha cura del proprio bambino, così io non mi dimenticherò mai di te” (Is, 49,15).
Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Innanzitutto Gesù osserva che i tralci non sono uguali: c’è chi porta molto frutto, c’è chi non ne porta affatto, da ciò l’azione dell’agricoltore: tagliare i tralci improduttivi, e potare ossia tagliare una parte di tralcio buono affinché dia più frutto, un frutto di migliore qualità, bello, corposo. E lo fa non per gusto personale, quasi a godere di far in qualche modo soffrire la vite, ma nell’interesse della vite stessa, perché cresca più rigogliosa, più conforme alle sue qualità, perché non torni ad essere selvatica, e quindi a produrre frutti insignificanti, acidi, aspri, immangiabili.
Questa parabola ci richiama un’altro brano, quello del fico sterile Lc 13, 6–9, che ha solo foglie, ma il padrone accoglie la richiesta dell’agricoltore: “Lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire, se no lo taglierai”.
Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Puri, mondi, potati: il termine greco ha questi tre significati. Questa è la realtà spirituale che produce in noi la Parola di Dio, letta, ascoltata, fatta diventare vita della nostra vita. Quella parola che come pioggia, dice ancora la Scrittura, una volta caduta sulla terra la rende feconda, fa’ germogliare i semi, e produce molto frutto.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Rimanete, restate, dimorate in me. Invito prezioso! Solo rimanendo nella vite, in Gesù, nella sua Parola, possiamo e siamo in grado di portare frutti di bene. Come avviene per il tralcio che può portare frutto solo se inserito in modo vitale nella vite. Non possiamo dare frutto da noi stessi.
Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. “Io sono” la vite. Gesù ci sta dicendo qualcosa di meraviglioso che a noi potrebbe sfuggire ma che era ben comprensibile agli Ebrei. “Io sono” è il nome di Dio così come era stato rivelato a Mosè sul monte Sinai: “Tu dirai “Io Sono” mi ha mandato a voi”.
Troviamo qui la rivelazione di chi è realmente Gesù: egli è Dio come il Padre. E’ l’inviato dal Padre, questo Padre che Gesù ci presenta come l’agricoltore. Colui che ha così a cuore il Popolo di Dio, Israele, ed ora il nuovo Israele che siamo noi, credenti in Gesù, e per i quali non ha esitato a mandare il suo Figlio, affinché potessimo essere salvati. Gesù è la vite vera nella quale col Battesimo siamo stati inseriti, innestati, in cui scorre la stessa linfa, la stessa vita divina che ci genera come figli del Padre, di Dio, della Trinità.
Condizione fondamentale è “dimorare”, “rimanere”. Più avanti al v. 9 Gesù dirà: “Rimanete nel mio amore”. Dio è amore, è la sua essenza, e se noi abbiamo ricevuto la vita di Dio, non possiamo avere che gli stessi connotati di Dio, amare come egli ama. E ancora Gesù afferma: dall’amore che avrete gli uni per gli altri riconosceranno che siete miei discepoli.
Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Siamo chiamati a riflettere seriamente. Essere in Gesù e portare molto frutto, oppure essere gettati fuori come tralcio secco, inerte, incapace di produrre frutti buoni e perciò gettato ad ardere nel fuoco, eliminato come il tralcio secco? Quale è la nostra posizione dinnanzi a Dio?
La realtà del peccato è comune a tutti noi uomini. Scegliere Dio e la vita, abbiamo sperimentato che porta grande gioia, serenità profonda, propositi di bene, ma quando in qualche modo ostacoliamo, rifiutiamo questa vita divina che opera in noi, la tristezza riempie il nostro cuore, i pensieri, i desideri non sono più rivolti al bene ma al male, com’è capitato a Giuda: “Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte” (Gv13, 30). Notte, infatti, si riferisce all’ora tarda del giorno, ma anche notte nel suo animo perché ormai deciso a tradire Gesù e a fare da guida a coloro che lo avrebbero arrestato, condannato e ucciso.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. Se rimanete in me … Essere una cosa sola con lui. E’ la stessa preghiera che fa Gesù per i suoi, prima della passione: “Padre che tutti siano una sola cosa; come tu, Padre sei in me e io in te …” Gv 17,21. “Chiedete … e vi sarà fatto”. Gesù non può non ascoltare le nostre richieste purché certamente conformi alla sua volontà al suo volere, se tutta la nostra vita è così trasformata fino ad avere uno stesso sentire con Lui. Se i suoi desideri corrispondono ai nostri.
In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.
Portare frutto e diventare suoi discepoli, questa è la sua gioia, la realizzazione del piano divino, la salvezza dell’uomo, il motivo per cui il Padre ha mandato il Figlio Gesù a noi.
Chiediamo al Signore come frutto di questo momento di ascolto della sua Parola di diventare sempre più suoi intimi amici per portare frutto.
Appendice
Farò con loro un’alleanza di pace; sarà un’alleanza eterna con loro. Li stabilirò e li moltiplicherò e porrò il mio santuario in mezzo a loro per sempre. In mezzo a loro sarà la mia dimora: io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Le nazioni sapranno che io sono il Signore che santifico Israele, quando il mio santuario sarà in mezzo a loro per sempre”. (Ez 37, 26-27)
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Israele, la vigna del Signore
È il canto dell’amore ferito. Il termine che qui indica Dio (diletto o “amato”, cfr. Is 5,1), è lo stesso con cui nel Cantico dei Cantici viene chiamato lo sposo.
Voglio cantare per il mio diletto
il mio cantico d’amore per la sua vigna.
Il mio diletto possedeva una vigna
sopra un fertile colle.
Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi
e vi aveva piantato viti pregiate;
in mezzo vi aveva costruito una torre
e scavato anche un tino.
Egli aspettò che producesse uva;
essa produsse, invece, acini acerbi.
E ora, abitanti di Gerusalemme
e uomini di Giuda,
siate voi giudici fra me e la mia vigna.
Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna
che io non abbia fatto?
Perché, mentre attendevo che producesse uva,
essa ha prodotto acini acerbi?
Ora voglio farvi conoscere
ciò che sto per fare alla mia vigna:
toglierò la sua siepe
e si trasformerà in pascolo;
demolirò il suo muro di cinta
e verrà calpestata.
La renderò un deserto, non sarà potata né vangata
e vi cresceranno rovi e pruni;
alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia. (Isaia 5,1-6)
La vite e i tralci
“Io sono la vite e voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui produce molto frutto: perché senza di me voi non potete far nulla” (Gv 15,5). Nessuno pensi che il tralcio possa da solo produrre almeno qualche frutto. Il Signore ha detto che chi è in lui produce «molto frutto». E non ha detto: Senza di me potete fare poco ma: «Senza di me Voi non potete fare nulla». Sia il poco sia il molto, non si può farlo comunque senza di lui, poiché senza di lui non si può fare nulla. Perché anche se, quando il tralcio produce pochi frutti, l`agricoltore lo monda, affinché ne produca di piú: tuttavia, se non resterà unito alla vite e non trarrà alimento dalla radice, non potrà da se stesso portare nessun frutto. Anche se Cristo non sarebbe la vite se non fosse uomo, non potrebbe tuttavia fornire ai tralci la capacità di produrre frutti, se non fosse anche Dio. Di modo che, come senza questa grazia è impossibile la vita, così la morte è in potere del libero arbitrio.
“Chi poi non rimarrà in me sarà gettato via come il tralcio; e si dissecca; e poi sarà raccolto e gettato nel fuoco dove brucerà” (Gv 15,6). Il tralcio è infatti tanto prezioso se resta unito alla vite, quanto, se ne è reciso, è privo di valore. Come il Signore fa rilevare per bocca del profeta Ezechiele (cf. Ez 15,5), i rami di vite recisi non possono né essere utili all`agricoltura, né usati dal falegname in alcuna opera. Il tralcio di vite ha due sole alternative: o restare unito alla vite o essere gettato nel fuoco: se non è unito alla vite sarà buttato nel fuoco. Quindi, per non finire nelle fiamme, deve restare unito alla vite.
“Se voi rimanete in me e le mie parole rimangono in voi domandate quanto volete e vi sarà fatto” (Gv 15,7). Rimanendo in Cristo, che cosa possono chiedere i fedeli se non quanto a Cristo conviene? Che possono volere, se restano uniti al Salvatore, se non ciò che non si oppone alla loro salvezza? Una cosa infatti desideriamo, quando siamo in Cristo, e una cosa ben diversa quando siamo ancora uniti a questo mondo. Ma qualche volta può accadere che il fatto di dimorare in questo mondo ci spinga a chiedere qualcosa che, senza che noi ce ne rendiamo conto, non è utile alla nostra salvezza. Ma questo certamente non ci avviene se siamo in Cristo, poiché egli esaudisce le nostre richieste solo quando giovano alla nostra salute eterna. Rimanendo dunque noi in lui e in noi restando le sue parole, potremo chiedergli qualunque cosa, ed egli la compirà in noi. Se gli chiediamo qualcosa ed egli non ci esaudisce, significa che quanto abbiamo chiesto non favorisce il rimanere in lui e non è conforme alla sua parola che in noi dimora, ma riguarda invece desideri e debolezze della carne, che non sono certo in lui, e nelle quali non è certo la sua parola. Quanto alla preghiera che egli stesso ci ha insegnata e con la quale diciamo: “Padre nostro che sei nei cieli” (Mt 6,9), essa fa parte sicuramente delle sue parole.
Non allontaniamoci, dunque, nelle nostre richieste al Signore, dalla lettera e dallo spirito di questa preghiera: se così facciamo, ogni cosa che chiederemo egli ce la concederà. Le sue parole rimangono in noi, quando facciamo quanto ci ha ordinato e desideriamo quanto Ci ha promesso; ma quando invece le sue parole restano, sì, nella nostra memoria, ma non se ne trova traccia nella nostra vita e nei nostri costumi, allora il tralcio non fa più parte della vite, perché non assorbe più la vita dalla sua radice. Questa distinzione tra il conoscere la legge e metterla in pratica è efficacemente posta in rilievo dal profeta che dice: “Si ricordano dei suoi comandamenti per metterli in pratica” (Sal 102,18). Non sono pochi, infatti, coloro che si ricordano dei suoi comandamenti solo per disprezzarli, per deriderli e fare il contrario di ciò che essi ordinano. In costoro non hanno dimora le parole di Cristo; essi sono in qualche modo in contatto con esse, ma non sono affatto ad esse uniti. E tali parole non solo non produrranno in costoro alcun beneficio, ma renderanno invece testimonianza contro di essi. E poiché quelle parole sono in loro, ma essi non le conservano, sono esse che posseggono loro, per condannarli. (Agostino, Comment. in Ioan. 81, 3-4)
L’immagine si rinnova avvicinandosi progressivamente a Dio
Certo, il rinnovamento di cui ora si parla, non si compie istantaneamente con la conversione stessa, come il rinnovamento del Battesimo si compie istantaneamente con la remissione di tutti i peccati, senza che rimanga da rimettere la più piccola colpa. Ma come una cosa è non avere più la febbre, altra cosa ristabilirsi dalla debolezza causata dalla febbre, ancora come una cosa è estrarre il dardo conficcato nel corpo, altra cosa poi guarire con un`altra cura la ferita procurata dal dardo; cosí la prima cura consiste nel rimuovere la causa della malattia, ciò che avviene con il perdono di tutti i peccati, la seconda nel curare la malattia stessa, ciò che avviene a poco a poco progredendo nel rinnovamento di questa immagine. Questi due momenti sono indicati nel Salmo in cui si legge: “Egli perdona tutte le tue iniquità”, ciò che si attua nel Battesimo; poi il Salmo continua: “Egli guarisce tutte le tue malattie” (Sal 102,3), ciò che si attua con i progressi quotidiani, quando si rinnova questa immagine. Di questo rinnovamento parla assai chiaramente l`Apostolo quando dice: “Quantunque il nostro uomo esteriore vada deperendo, quello interiore però si rinnova di giorno in giorno” (2Cor 4,16). Ora “si rinnova nella conoscenza di Dio” (Col 3,10), cioè “nella vera giustizia e santità” (Ef 4,24), secondo i termini usati dall`Apostolo nelle testimonianze che ho riportato un po’ più sopra. Dunque colui che di giorno in giorno si rinnova progredendo nella conoscenza di Dio e nella vera giustizia e santità, trasporta il suo amore dalle cose temporali alle cose eterne, dalle cose sensibili alle intelligibili, dalle carnali alle spirituali e si dedica con cura a separarsi dalle cose temporali, frenando ed indebolendo la passione, e ad unirsi con la carità a quelle eterne. Non gli è possibile però questo che nella misura in cui riceve l`aiuto di Dio. E Dio che l`ha detto: “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5). Chiunque l`ultimo giorno di questa vita sorprenda in tale progresso e accrescimento, e nella fede nel Mediatore, questi sarà accolto dai santi Angeli per essere condotto a Dio che ha onorato e per ricevere da lui la sua perfezione, alla fine dei tempi gli sarà dato un corpo incorruttibile per non essere destinato alla sofferenza, ma alla gloria. In questa immagine sarà perfetta la somiglianza di Dio (cf. Gen 5,1; Gc 3,9), quando sarà perfetta la visione di Dio. Di questa visione l`apostolo Paolo dice: “Ora vediamo per mezzo di uno specchio in enigma, ma allora a faccia a faccia” (1Cor 13,12). Egli dice pure: “Noi che, a faccia velata, rispecchiamo la gloria del Signore, siamo trasformati nella stessa immagine, salendo di gloria in gloria, in conformità all`operazione del Signore che è spirito” (2Cor 3,18). E questo che si realizza in coloro che progrediscono di giorno in giorno nel bene. (Agostino, De Trinit., 14, 17, 23)
Lotta contro le tentazioni
Se ti viene in mente un cattivo pensiero, grida, con lacrime al Signore: «Signore, sii buono con me peccatore! Perdonami, o amico degli uomini. Signore, allontana il male da noi!». Certo, il Signore conosce i cuori: sa quali pensieri sorgono da un animo cattivo, ma sa anche quali pensieri vengono in noi versati dalla stizza amara dei demoni. Tuttavia sappilo: più tu combatti e resti fedele nel servizio del Signore, più i tuoi sensi e i tuoi pensieri verranno purificati. Infatti, nostro Signore Gesù Cristo ha detto: “Ogni ramo che in me porta frutto, io lo purificherò, perché porti frutto maggiore” (Gv 15,2). Solo abbi la più sincera volontà di farti santo! Il Signore ama e appoggia col suo aiuto coloro che sono zelanti e lavorano per ottenere la salvezza dell`anima.
Senti ora un esempio, che ti illustra i cattivi pensieri. Quando l’uva vien colta dalla vite, gettata nel torchio e pigiata, produce il suo mosto, che vien raccolto in vasi. E questo mosto, all’inizio, fermenta tanto forte, come se bollisse al fuoco più acceso in una caldaia; anche i vasi migliori non riescono a contenerne la forza, ma si rompono pel suo calore. Ciò avviene coi pensieri degli uomini, quando essi si elevano da questo mondo vano, e dalle sue cure, alle realtà celesti. Allora gli spiriti cattivi, che non ne possono sopportare il fervore, conturbano in mille modi la mente dell`uomo, cercando di suscitarvi una tetra burrasca, per rovinare e squarciare il vaso, cioè l’anima riempiendola di dubbi e rendendola infedele. (Efrem, Ad monach. Aegypt., 10, 2)
[…] Cari amici! La prima Lettura ci ha presentato un momento importante in cui si manifesta proprio l’universalità del Messaggio cristiano e della Chiesa: san Pietro, nella casa di Cornelio, battezzò i primi pagani. Nell’Antico Testamento Dio aveva voluto che la benedizione del popolo ebreo non rimanesse esclusiva, ma fosse estesa a tutte le nazioni. Sin dalla chiamata di Abramo aveva detto: «In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,3). E così Pietro, ispirato dall’alto, capisce che «Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga» (At 10,34-35). Il gesto compiuto da Pietro diventa immagine della Chiesa aperta all’umanità intera. Seguendo la grande tradizione della vostra Chiesa e delle vostre Comunità, siate autentici testimoni dell’amore di Dio verso tutti!
Ma come possiamo noi, con la nostra debolezza, portare questo amore? San Giovanni, nella seconda Lettura, ci ha detto con forza che la liberazione dal peccato e dalle sue conseguenze non è nostra iniziativa, è di Dio. Non siamo stati noi ad amare Lui, ma è Lui che ha amato noi e ha preso su di sé il nostro peccato e lo ha lavato con il sangue di Cristo. Dio ci ha amato per primo e vuole che entriamo nella sua comunione di amore, per collaborare alla sua opera redentrice.
Nel brano del Vangelo è risuonato l’invito del Signore: «Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15,16). E’ una parola rivolta in modo specifico agli Apostoli, ma, in senso lato, riguarda tutti i discepoli di Gesù. La Chiesa intera, noi tutti siamo inviati nel mondo per portare il Vangelo e la salvezza. Ma l’iniziativa è sempre di Dio, che chiama ai molteplici ministeri, perché ognuno svolga la propria parte per il bene comune. Chiamati al sacerdozio ministeriale, alla vita consacrata, alla vita coniugale, all’impegno nel mondo, a tutti è chiesto di rispondere con generosità al Signore, sostenuti dalla sua Parola che ci rasserena: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (ibidem). […] (Papa Benedetto XVI, dall’Omelia del 13 maggio 2012).
Fonte: Figlie della Chiesa