Il brano evangelico di oggi contiene due temi ben distinti. Potremmo riassumere il primo con l’espressione « seguire Cristo fino alla croce » e il secondo con l’espressione: «accogliere Cristo nei fratelli».
I due temi, come si vede, hanno un oggetto e un soggetto comune: noi e Cristo; tendono, cioè, ad illuminare alcuni. aspetti del nostro rapporto con il Maestro.
L’accoglienza della donna sunamita che accoglie il profeta Eliseo ogni volta che passa per la sua città, lo rifocilla e gli prepara una stanza per riposarsi. Essa è ricompensata della sua accoglienza con la promessa di avere una discendenza.
Nel Vangelo troviamo ancora l’idea di una ricompensa a chi accoglie un profeta, cioè un ministro di Dio, un missionario del Regno. Ma questa ricompensa è spiritualizzata. Promette se stesso: «Chi accoglie voi, accoglie me»; altrove dice: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me » (Mt. 25, 40). Di più promette il Padre: «Chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato».
Alcuni esempi più comuni di accoglienza che il testo evangelico mette in luce:
– accogliere il discepolo che è forestiero o di passaggio, dare un bicchiere d’acqua a chi ha sete. Chi conosce il Vangelo sa quanto questa lista sia lunga: dar da mangiare a chi ha fame, visitare i malati, consolare gli afflitti… Sono le opere di misericordia, manifestazione concreta dell’accoglienza. San Paolo le riassumeva con l’espressione: «Portare i pesi gli uni degli altri» (Gal. 6, 2).
– Fare buona accoglienza al fratello significa uscire dal nostro egoismo per interessarci attivamente di lui, per dargli un po’ del nostro tempo, per ascoltarlo con pazienza. Il problema dell’accoglienza e dell’inserimento degli immigrati è un problema anche cristiano, oltre che sociale.
– San Paolo raccomandava ai cristiani: « Accoglietevi gli uni gli altri, come Cristo ha accolto voi » (Rom. 15, 7): Ecco, dunque, il modello della nostra accoglienza nei confronti dei fratelli. Come ci ha accolti Cristo? Ci ha accolti anche se peccatori, recidivi, anche se spesso l’abbiamo offeso e gli abbiamo voltato le spalle, anche se rozzi e tardi a capire, come erano gli stessi apostoli; ci ha accolti gratuitamente; ci ha accolti, nonostante l’immenso dislivello « sociale » che c’è tra noi e lui. Dobbiamo fare anche noi così.
Ma c’è un momento, la S. Messa domenicale, della nostra vita cristiana in cui l’accoglienza reciproca deve assumere un carattere e un’intensità tutta particolare: il momento in cui ci ritroviamo insieme come comunità, per ascoltare la parola di Dio e spezzare il comune pane eucaristico. Penso al modo con cui Gesù accolse i suoi discepoli per quella prima assemblea eucaristica che si celebrò nel Cenacolo. Si rivolse ai discepoli chiamandoli « figliolini », lavò loro i piedi, volle che la sala che doveva accoglierli fosse pulita e adornata con tappeti e cuscini (cf. Lc. 22, 12).
Sono persuaso che se le nostre assemblee liturgiche ci lasciano spesso freddi e apatici, se non producono mutamenti profondi nel nostro spirito, il motivo principale non è perché stiamo distratti o non pensiamo abbastanza a Gesù; si, è anche questo, ma è soprattutto perché non ci accogliamo davvero gli uni gli altri, non ci apriamo per fare « un cuore solo e un’anima sola »; ognuno resta chiuso nel suo guscio.
Questa accoglienza è certamente più facile da ottenere quando a riunirsi intorno all’altare è una piccola comunità che già si conosce e ha fatto un certo cammino insieme e che può scambiarsi, perciò, anche dei segni visibili di unione. Ma è un traguardo che dobbiamo porci anche nelle grandi assemblee domenicali come la nostra. Dobbiamo sforzarci di uscire dall’anonimato e valorizzare i segni di riconoscimento e di accoglienza che la liturgia ci offre.
«Dove sono due o più riuniti nel mio nome – dice Gesù – io sono lì in mezzo a loro » (Mt. 18, 20): è necessario, dunque, che siamo davvero riuniti « nel suo nome », che ci accogliamo gli uni gli altri come lui ha accolto noi, perché egli sia in mezzo a noi e, con lui, la sua gioia e la sua pace.
Adesso ci apprestiamo a viverla nella sua espressione più alta, l’Eucaristia. Egli ci accoglie così come siamo, poveri e laceri, nella sua casa, ci ammette alla sua mensa e si appresta a servirci: «Venite – ci ripete – mangiate il pane e bevete il vino che ho versato per voi » (Prov. 9, 5).
Non dimentichiamo che a quella mensa, con noi che desideriamo di fare comunione, c’è anche sempre Maria, madre di Gesù e madre nostra.
Fonte – per gentile concessione del sito consolata.org