Commento al Vangelo a cura di don Giovanni Berti
I bambini di terza elementare, che quest’anno seguo personalmente, si stanno preparando alla prima confessione. Nell’ultimo incontro di catechismo ho introdotto l’argomento che intendevo affrontare richiamando loro questa tappa importante del cammino. Immediatamente i bambini, con quel modo di fare esplosivo tipico della loro età, mi hanno bombardato di domande: “ma cosa è la confessione?” “cosa di deve fare?” “ma bisogna dire tutti tutti i peccati?”, e nello stesso tempo hanno iniziato a darsi anche le risposte tra di loro “devi fare la penitenza!”, “devi andare solo dal prete” “bisogna dire tutte le cose brutte…”
Ho avvertito nelle loro domande e soprattutto nelle risposte un po’ del clima di come viene insegnato e vissuto questo sacramento in famiglia e nella comunità, e questo ovviamente mi ha fatto riflettere molto su quanto abbiamo tutti (me compreso) ancora da imparare sul vero significato della Riconciliazione sacramentale…
Mi piace nel Vangelo di Luca questo vignaiolo paziente, che nella parabola dimostra una pazienza testarda nei confronti del fico che nella vigna da un bel po’ di tempo non porta frutti. Il buon senso porterebbe a decidere il taglio definitivo, con la motivazione non secondaria che se non porta frutto non solo è inutile ma sfrutta anche il terreno, e “ruba” il posto ad altre piante più fruttuose.
Il vignaiolo, nel quale Gesù prima di tutto vede se stesso, vuole dare una possibilità in più a questa pianta, e lo fa impegnandosi in prima persona e aumentando la sua azione di cura zappando attorno e con il concime. La pianta di fico nella vigna, per coloro che ascoltano Gesù, richiama immediatamente il popolo di Israele, che tante volte nella Scrittura è chiamato vigna del Signore. Gesù si confronta continuamente con chi vorrebbe una separazione netta e immediata tra buoni e cattivi, tra giusti e ingiusti, tra osservanti della Legge di Dio e peccatori. Già Giovanni Battista aveva annunciato che il Messia aveva già in mano l’ascia per abbattere alla radice la pianta che non porta frutto, cioè il popolo infedele a Dio, ma Gesù invece si mostra come questo vignaiolo che crede ancora che sia possibile cambiare le cose, che è ancora possibile ritrovare vita e frutto.
Gesù non è venuto per condannare, ma per vivificare. Gesù sa che con l’amore vero è possibile tutto, anche ridare vita ai morti. Gesù crede così tanto in una seconda possibilità anche nel peccatore più incallito che sulla croce donerà il paradiso al ladrone che gli ha solo chiesto di ricordarsi di lui.
Ho pensato che questa parabola, insieme a tante altre che ci parlano della misericordia di Dio (come quella più famosa del figliol prodigo), sia un meraviglioso insegnamento per comprendere il perdono di Dio e la sua celebrazione nel Sacramento della Riconciliazione, o Confessione come solitamente lo chiamiamo.
Quando vado a confessarmi, se da un lato riconosco le mie sterilità e i frutti non dati con la mia vita di fede e umana, dall’altro sperimento la parola buona di Gesù, vignaiolo paziente, che si prende cura di me. Con il “concime” del perdono mi dà ancora la possibilità di portare quel frutto di bene che posso dare ancora perché, secondo Dio, crede in questa possibilità. A volte io stesso, quando mi guardo dentro e vedo che mi sembra impossibile fare il bene, quando mi deprimo pensando che non sarò mai capace di trovare pace in me stesso o in qualche situazione di relazione interrotta, quando perdo la speranza di sentirmi amabile sia dagli uomini e da Dio, ecco che Gesù mi invita a credere ancora in me stesso. Posso portare ancora frutto, non è detta l’ultima parola!
Vorrei tanto che i bambini che si preparano alla prima confessione crescano con questa consapevolezza, cioè che “andare a confessarsi” non è così terribile e difficile, anzi è la buona occasione per ritrovare quella energia di vita spirituale che Dio stesso ci può dare sempre e di cui abbiamo davvero bisogno.