PACE A VOI
II DOMENICA DI PASQUA O DELLA DIVINA MISERICORDIA ANNO C – GIOVANNI 20,19-31
19a. La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei,
La seconda domenica dopo Pasqua è detta della “Divina Misericordia”.
Il brano odierno è tratto dal Vangelo di Giovanni e narra quanto è avvenuto sia la domenica della risurrezione sia esattamente otto giorni dopo.
Possiamo distinguere cinque parti: l’apparizione di Gesù ai discepoli il primo giorno della settimana, il giorno del Signore, che sarà molto più importante del sabato per i Giudei; il mandato ad annunciare il Vangelo e perdonare i peccati; l’incredulità di Tommaso; la nuova apparizione otto giorni dopo; la conclusione con l’affermazione della beatitudine per quelli che crederanno senza aver visto.
I discepoli sono spaventati per la persecuzione che incombe su di loro. Si parla di discepoli in generale, non si parla solo degli Undici, ad indicare che molti sono coloro che fanno l’esperienza dell’apparizione del Risorto e del suo successivo mandato. Giovanni allarga così il messaggio anche a noi, discepoli lontani nel tempo, che possiamo sperimentare il Signore ed annunciarlo al mondo.
“Erano chiuse le porte del luogo”: il luogo è chiuso, segno del cuore chiuso alla fede dei discepoli. Essi hanno creduto all’annuncio di Maria di Màgdala, la quale aveva detto che il corpo era stato trafugato, invece di aprirsi alla fede nella risurrezione. La tradizione ha identificato il luogo chiuso con il Cenacolo (luogo dell’istituzione dell’Eucaristia), ma non c’è fondamento a questa interpretazione.
“Per timore dei Giudei”: i discepoli non hanno ancora il coraggio di dichiararsi seguaci del Cristo e, probabilmente, sono stati accusati di aver occultato il cadavere di Gesù. Hanno bisogno di un’ulteriore forza dall’Alto. Nelle nostre situazioni di angoscia, Gesù non ci abbandona, non ci lascia soli, ma si fa presente per darci la sua pace e perché diventiamo suoi testimoni.
19 b. venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”.
Gesù realizza la promessa di venire in mezzo ai suoi (cfr. Giovanni 14,18.28). Viene come Vivente, Vittorioso e Salvatore. Sta in mezzo a loro, cioè rimane in piedi, ritto, non steso nella morte nel sepolcro. L’atto di essere in piedi è segno dell’Uomo che vive. Non li rimprovera per averlo abbandonato, tradito, rinnegato. Viene, e dona la sua pace.
Gesù porta la pace, il dono per eccellenza. Non è solo il saluto tipico ebraico: shalom. È molto di più: è la pienezza del dono di Dio.
Gesù non teme di venire nella nostra vita, talora chiusa a Lui e agli altri, trincerata dalla paura. Viene nella nostra realtà più oscura e difficile e ci dona la sua presenza. Supera ogni barriera, entra a porte chiuse, perché conosce il nostro desiderio di Lui, il nostro bisogno di salvezza. Senza di Lui non possiamo fare nulla, ed Egli viene a cercare noi, le pecore perdute, per portarci sulle sue spalle.
- Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il
Gesù si fa riconoscere, mostrando “la carta di identità”: le ferite impresse nella sua persona. Il suo corpo è glorioso, non soggetto alle leggi del tempo e dello spazio, ma sono indelebili i segni del suo amore per gli uomini, per noi! Il nostro Dio è Salvatore e Redentore per sempre e per sempre conserva il sigillo di riconoscimento, la prova della sua fedeltà e della sua misericordia.
“I discepoli gioirono al vedere il Signore”: Gesù aveva promesso (cfr. Giovanni 14,20) che i discepoli l’avrebbero rivisto e così è avvenuto.
È la gioia dell’esperienza di fede, di quando abbiamo il dono di poter percepire più fortemente la presenza di Dio.
- Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”.
Gesù appare agli apostoli e si ferma con loro. L’incontro non è finalizzato a loro stessi, ma a donare l’annuncio a tutti. Il mandato missionario viene direttamente da Cristo, l’Inviato dal Padre. Egli manda i discepoli e, oggi, manda noi.
“Come il Padre”: alcuni studiosi spiegano che “come” sarebbe meglio tradotto con “per il fatto che”. Il mandato missionario non è un paragone con l’invio del Figlio da parte del Padre, ma è il vero e proprio motivo del nostro essere missionari: per il fatto che il Padre ha mandato il Figlio, anche noi siamo mandati al mondo, in continuità con la missione ricevuta dal Figlio. Lo scopo è la glorificazione del Padre, la diffusione della conoscenza del suo nome, la manifestazione del suo amore.
- Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito
Secondo l’evangelista Giovanni, lo Spirito Santo viene effuso dal Risorto il giorno stesso della Risurrezione, non il giorno della Pentecoste. Giovanni intreccia, anticipa e porta a compimento gli eventi, così che la Pentecoste avviene già la sera di Pasqua.
È lo Spirito che rende possibile la missione: senza la sua forza la vita cristiana, non è realizzabile, la missione non è feconda, l’apostolato è arido. Grazie allo Spirito, viviamo sempre alla presenza di Dio e possiamo vivere in continua adorazione, anche nelle faccende domestiche e nelle cose più quotidiane da fare.
“Soffiò”: = insufflò; il verbo si riferisce al soffio vitale alitato da Dio nell’uomo all’atto della creazione. Noi viviamo solo perché abbiamo ricevuto il soffio di Dio. Cristo dà inizio ad una nuova creazione: comunica lo Spirito che fa rinascere l’uomo, lo mette in condizione di vivere in comunione con Dio. Possiamo ora partecipare alla vita di Cristo Risorto e Glorificato.
- A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”
Grazie alla fedeltà di Cristo al Padre, i discepoli sono mandati nel mondo a liberare dai peccati. Il Risorto trasmette ai discepoli la completa potenza di perdono dei peccati, conferendo loro il suo stesso potere di perdonare.
“Perdonare/non perdonare”: il modo di esprimersi è tipico della modalità ebraica, che utilizza la forma positiva e quella negativa di un’espressione per accentuarne il significato.
- Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù.
Tommaso non era presente, forse per essere andato a fare commissioni per la comunità, forse per motivi che non conosciamo. Ognuno di noi può essere il discepolo Tommaso, assente dalla comunità dei fratelli di fede e incredulo di fronte al loro racconto di esperienza di Dio. Neppure noi abbiamo visto il Risorto, vissuto duemila anni fa. La nostra fede è basata sulla testimonianza degli apostoli. Siamo liberi di scegliere se credere o no a quanto ci trasmettono.
“Dìdimo”: significa “gemello”. Indica che aveva un fratello gemello, appunto. Da qui il soprannome. Secondo alcuni interpreti, da questo momento è chiamato a diventare “gemello” di Gesù nella fede e nel dono di sé.
- Gli dicevano gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo”.
Tommaso è sempre stato additato dalla tradizione come il discepolo incredulo. In realtà, è un discepolo che ragiona circa un evento inaudito che è la risurrezione dei morti, ma che è in sincera ricerca del Signore. Vuole verificare la credibilità dei fatti e fare esperienza di Gesù. Successivamente, Lo riconosce con lealtà.
- Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: “Pace a voi!”. 27. Poi disse a Tommaso: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!”.
Gesù appare otto giorni dopo e mostra di conoscere il desiderio del discepolo Tommaso di toccarlo. Il Risorto sa leggere nei cuori, senza che nessuno gli manifesti i propri sentimenti. Soddisfa il desiderio del discepolo. Tuttavia, invita Tommaso a fare un salto di fede, ad avere un atteggiamento molto più profondo per diventare un vero credente.
Come Tommaso, anche noi siamo chiamati ad immergerci nell’amore del Signore, espresso dalle ferite, provocate dal dolore atroce della crocifissione. Egli ha accolto la sofferenza e la morte, non è scappato, non è fuggito, non ha fatto il miracolo di liberarsi. Attraverso i sacramenti, il Signore Gesù si lascia toccare per sostenere, rinvigorire la nostra fede.
- Gli rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”.
Giovanni non dice se Tommaso abbia davvero toccato le ferite del Maestro. Gli interessa comunicare soltanto che la sua reazione è stata una proclamazione di fede assoluta nella signoria (Kyrios-Signore) e nella divinità di Cristo (Theos-Dio).
- Gesù gli disse:”Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”.
“Perché mi hai veduto, tu hai creduto”: alcuni esegeti hanno interpretato come un rimprovero questa affermazione di Gesù. In realtà secondo la traduzione del verbo nel testo originale, Gesù loda Tommaso per essere approdato alla fede, si felicita con lui.
“Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”: la seconda frase non significa che è meglio credere senza vedere; essa non riguarda più Tommaso, ma la comunità cristiana, lontana nel tempo dalla conoscenza diretta di Gesù, e i futuri discepoli. Riguarda noi, che non dobbiamo rimpiangere di non essere vissuti al tempo del Maestro. Possiamo sempre credere senza vedere, perché il Risorto è con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo.
- Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Lo scrittore sacro dice di aver scritto solo alcuni segni, ritenuti essenziali, tra tutti quelli fatti da Gesù per suscitare la fede di quanti leggono, in modo che venga appreso, accolto e seguito il Cristo.
Chiediamo a Dio, nella Domenica della Misericordia, di accrescere in noi la fede nel Signore Risorto, che si lascia toccare da noi ogni volta che lo riceviamo nell’Eucaristia e nela sacramento della Riconciliazione ci inonda con la sua onnipotente misericordia. È l’Eucaristia il momento culmine in cui possiamo sperimentare la Sua tenerezza. Egli viene incontro alla nostra poca fede e ci rafforza nella sequela. Con Lui Risorto, il nostro cuore si apre alla pace e alla gioia, così come si è aperto il sepolcro del Signore.
Egli ci mostra le ferite da cui è scaturita la nostra salvezza, le prove del suo amore infinito per noi. Così, risorti dalle nostre tombe di paura, possiamo proclamare “Mio Signore e mio Dio”, essere santuario della Presenza di Dio nel tempo e nella storia, comunicando il profumo del giardino del Mattino di Pasqua.
Suor Emanuela Biasiolo