Malgrado errori e ritardi Dio crede sempre in noi
Padre Ermes Ronchi commenta il brano del Vangelo di domenica 27 Settembre 2020.
Nei due figli, che dicono e subito si contraddicono, vedo raffigurato il mio cuore diviso, le contraddizioni che Paolo lamenta: non mi
capisco più, faccio il male che non vorrei, e il bene che vorrei non riesco a farlo (Rm 7, 15.19), che Goethe riconosce: «ho in me, ah, due anime». A partire da qui, la parabola suggerisce la sua strada per la vita buona: il viaggio verso il cuore unificato. Invocato dal Salmo 86,11: Signore, tieni unito il mio cuore; indicato dalla Sapienza 1,1 come primo passo sulla via della saggezza: cercate il Signore con cuore semplice, un cuore non doppio, che non ha secondi fini. Dono da chiedere sempre: Signore, unifica il mio cuore; che io non abbia in me due cuori, in lotta tra loro, due desideri in guerra.
Se agisci così, assicura Ezechiele nella prima lettura, fai vivere te stesso, sei tu il primo che ne riceve vantaggio. Con ogni cura vigila il tuo cuore, perché da esso sgorga la vita (Prov 4,23).
Il primo figlio si pentì e andò a lavorare. Di che cosa si pente? Di aver detto di no al padre? Letteralmente Matteo dice: si convertì, trasformò il suo modo di vedere le cose. Vede in modo nuovo la vigna, il padre, l’obbedienza. Non è più la vigna di suo padre è la nostra vigna. Il padre non è più il padrone cui sottomettersi o al quale sfuggire, ma il Coltivatore che lo chiama a collaborare per una vendemmia abbondante, per un vino di festa per tutta la casa. Adesso il suo cuore è unificato: per imposizione nessuno potrà mai lavorare bene o amare bene.
Al centro, la domanda di Gesù: chi ha compiuto la volontà del padre? In che cosa consiste la sua volontà? Avere figli rispettosi e obbedienti? No, il suo sogno di padre è una casa abitata non da servi ossequienti, ma da figli liberi e adulti, alleati con lui per la maturazione del mondo, per la fecondità della terra. […]
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MIELE PER TUTTI
Un uomo aveva due figli.
Si potrebbe dire che aveva due cuori, perché quei due figli sono il nostro essere diviso tra il sì e il no, sono le contraddizioni di cui Paolo si lamenta: non mi capisco, faccio il male che non vorrei, e il bene che vorrei non riesco a farlo (Rm 7,15.19).
Primo attore è il padre che cerca i figli, si fa vicino, chiede loro di lavorare nella vigna di casa, padre che al primo rifiuto non si deprime.
C’è poi un figlio impulsivo, che prova subito un bisogno imperioso, vitale, di fronteggiarlo, di misurarsi con lui e contraddirlo. Non ha nulla di servile, è libero da sudditanze e da paure.
L’altro figlio, che dice sì e non fa, è un immaturo cui basta apparire, cui non importano verità e coerenza, ma solo il giudizio degli altri.
In uno dei salmi più belli il cantore chiede: Signore, dammi un cuore integro, fa che non abbia due cuori in lotta tra loro (Sl 101).
È il contrasto eterno tra persona e personaggio: il primo figlio fa il personaggio, e così sono io: dico sì, uso il nome di Dio, e poi abbandono questa vigna di uve aspre che è il mondo. Il secondo figlio, che poi andrà, non importa se in segreto, a lavorare nella vigna di Dio e nostra, è invece persona.
Personaggio siamo noi quando agiamo per la scena, quando le azioni valgono solo se approvate dagli altri, burattini i cui fili sono tirati dall’apparire e dall’immagine.
Persona invece siamo noi se coerenti in pubblico come in privato, di fronte o alle spalle, nel dire e nel fare.
La differenza decisiva tra i due ragazzi è che uno diventa figlio coinvolto, l’altro rimane servo esecutore di ordini.
Chi dei due ha fatto la volontà del padre?
È il passaggio centrale: volontà del padre non è l’obbedienza, ma la vigna da coltivare in maturità e bellezza, trasformando una porzione di selva e rovi in vigneto, profezia di vino buono e di grappoli colmi di sole e di miele.
La scelta sta nell’avere una vita sterile oppure fruttuosa.
Una morale non del divieto, ma della fecondità, del seme che ostinatamente diventa creatura, della prostituta che ridiventa donna, del cuore che diventa uno, della porzione di deserto trasformato in vigna, del mio mondo in sogno di Dio.
Anche se non si vede, anche lavando i piedi di coloro che ci sono affidati, nel segreto della nostra casa, se agisci così fai vivere te stesso, dice Ezechiele, e sarai tu che ti farai del bene.
Gesù prosegue con parole dure ma consolanti: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno.
Dura frase, che si rivolge dritta a noi, cristiani di facciata o di sostanza?
Ma Dio non rinchiude nessuno nei propri ergastoli passati, nessuno.
Allora anch’io mi convertirò non al Dio del dovere, ma della scelta in totale libertà.
Con lui coltiveremo grappoli gonfi di mosto e di miele nel sole, per una grande vendemmia di vita.
- AUTORE: p. Ermes Ronchi
- FONTE: Avvenire
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