Abbi pietร di me, Signore
Il libro del Siracide
Composto in ebraico verso il 180 a.C. a Gerusalemme, da un saggio ebreo di nome Gesรน, esperto della tradizione biblica ma profondo conoscitore anche del vasto mondo dellโellenismo grazie ai suoi viaggi (cf. Sir 34,9-17), il libro di Siracide รจ stato tradotto in greco dal nipote Ben Sira ad Alessandria. Egli intendeva sostenere lโattaccamento alla tradizione patria dellโebraismo dei giovani ebrei tentati di abbandonare la sapienza dei padri per coinvolgersi totalmente in quella proposta dal mondo filosofico e culturale dellโellenismo, imperante ad Alessandria, la terza cittร piรน grande del mondo greco-romano.
Siracide, scritto in greco, non รจ accolto nel canone ebraico. Esso presenta un testo greco breve (GrI) e uno lungo (GrII). Gli studiosi considerano piรน autorevole il testo greco breve, ma la Chiesa latina ha venerato il testo lungo che costituisce la base anche della versione latina della Vulgata. Il testo liturgico della CEI 2008 รจ tradotto seguendo il testo greco lungo.
Tra il 1986 ad oggi sono stati rinvenuti al Cairo, a Qumran, a Masada e altrove brani molto ampi del testo ebraico originale.
Seguendo lโesegeta Maria Carmela Palmisano, possiamo scorgere la seguente struttura generale del libro del Siracide.
Dopo il Prologo del nipote Ben Sira (vv. 1-36), la Prima parte (1,1โ24,34) tratta della ricerca della sapienza nella vita del saggio; la Seconda parte (25,1โ42,14) fornisce istruzioni su varie situazioni della vita e un esempio offerto ai discepoli; la Terza parte (42,15โ51,30) parla della gloria di Dio nelle sue opere, nella natura e nella storia, col famoso โelogio dei padriโ (Sir 44,1โ49,16).
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Distribuite in tre strofe, in Sir 34,18โ36,17 troviamo delle riflessioni sapienziali sul culto, la preghiera e una richiesta di salvezza per il popolo. In 34,18-26 sono descritti i sacrifici che il Signore non accetta; in 35,1-10 quelli graditi a Dio (v. 3: ยซร gradito al Signore astenersi dal male, astenersi dallโingiustizia รจ un sacrificio di espiazioneยป; v. 6a: ยซIl sacrificio della persona giusta รจ gradito a Dioยป), mentre in 35,11-24 si descrive la reazione di Dio ai sacrifici.
Sir 35,11-24 medita sulla risposta di Dio al grido di aiuto. Il brano puรฒ essere suddiviso in tre strofe: i vv. 11-14 descrivono il giudizio di Dio e il motivo dellโascolto di Dio: egli รจ giudice imparziale e non fa preferenze di persona, anche nei confronti del povero; tuttavia, esaudirร la richiesta di chi subisce ingiustizia; i vv. 15-18 annunciano il giudizio di Dio; i vv. 19-23 espongono la sua esecuzione; il v. 24 conclude lโunitร , preparando il passaggio alla preghiera della pericope successiva.
La preghiera
Luca Mazzinghi fa notare come il libro del Siracide offra ampio spazio al tema della preghiera: in Sir 22,27โ23,46 esso medita sul controllo della parola e degli istinti sessuali; In 36,1-19 รจ riportata una preghiera di tutto Israele per la liberazione di Gerusalemme; in 51,1-12 si annota un rendimento di grazie dopo una prova.
Ben Sira non รจ sacerdote, perรฒ รจ molto interessato al culto e alla preghiera. Secondo questo venerando sapiente giudeo, ogni saggio puรฒ acquistare il suo sapere anche attraverso la preghiera, ponendosi cioรจ di fronte alla presenza del Signore. Il saggio รจ riempito di sapienza ed esercita nella preghiera una liturgia non molto lontana da quella celebrata dai sacerdoti.
Ben Sira presenta tre volte alcune figure di grandi intercessori, per quattro volte consiglia di pregare per ottenere il perdono dei peccati, consiglia la preghiera nella malattia e considera la preghiera come utile per ottenere la sapienza. Il Signore ascolta la preghiera del povero. La preghiera di lode รจ vista come la vera vocazione dellโuomo. Nella preghiera non vanno sprecate troppe parole (Sir 7,14b; cf. Mt 6,7).
Dio e la preghiera/querela del povero
Nel brano letto nella liturgia viene ricordato come nella preghiera non si deve tentare di corrompere il Signore tramite donativi di vario genere โ le odierne โbustarelleโ โ, perchรฉ egli non li accetta. Dio รจ un giudice imparziale, che non guarda in faccia a nessuno (lett.: ยซpresso di lui non cโรจ gloria di personaยป) e non fa parzialitร in modo da danneggiare il povero (epi ptลchลi).
Dio non fa parzialitร di persone, ma รจ molto attento ad ascoltare le rimostranze delle fasce deboli della societร , quelle che normalmente faticano a far udire la loro voce e a far valere le proprie ragioni nei tribunali umani: lโorfano, la vedova e il povero (oppure โlo stranieroโ). Nella Bibbia essi rappresentano gli ambiti sociali senza protezione economica, sociale e giuridica. Il re di Israele era tenuto a proteggerle in modo particolare. Tale sarร anche il re messianico che Israele attende con fede (cf. Sal 72).
Il vero re dei giudei รจ perรฒ YHWH, e in questo senso forse si puรฒ attribuire a Dio di una โopzione preferenziale per i poveriโ, quella fatta dalla Chiesa sudamericana nei decenni scorsi. Tramite la sua sentenza favorevole, Dio โdarร un pieno ascolto giuridico/esaudirร /eisakousetaiโ la preghiera/richiesta/querela/deฤsinโ di chi subisce lโingiustizia perchรฉ โprivato della giustizia (e quindi danneggiato)/oppresso (CEI)/ฤdikฤmenouโ (< a-dikeล, con lโalfa privativo iniziale).
Le lacrime e il grido della vedova
Dio non trascura assolutamente la supplica/querela (hiketeian) dellโorfano, โguardando sopra/ou mฤ hyperidฤiโ i fatti, cosรฌ come non trascura la vedova quando โeffonde il suo lamento/ekchฤi lalianโ: un lamento/querela che scorre nelle sue lacrime, rigandole la guancia.
Possiamo perรฒ pensare che anche la guancia di Dio venga rigata dalle lacrime della vedova e che egli non possa non condividere il โgrido/urlo/kataboฤsisโ della vedova contro lโavversario che gliele fa versare. In Es 22,21-23 vengono ben espressi la scelta di YHWH e il suo comando molto deciso e minaccioso: ยซNon maltratterai la vedova o lโorfano. Se tu lo maltratti, quando โinvocherร da me lโaiuto/แนฃฤโลq yiแนฃโaqโ, io darรฒ ascolto โal suo grido/แนฃaโฤqฤtรดโ, la mia ira si accenderร e vi farรฒ morire di spada: le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfaniยป.
Chi sarร accetto a Dio (v. 16)? โColui che serve/therapeuลnโ รจ il soggetto maschile, senza articolo ma anche senza complemento oggetto. Come integrare ciรฒ che manca? Colui che serve โla vedovaโ o โDioโ? Cโรจ chi si riferisce alla vedova (CEI 2008: ยซChi la soccorreยป) e chi fa riferimento a Dio (Reggi, ยซ[il] servente [Dio]ยป; Palmisano: ยซChi serve [Dio]ยป; TOB: ยซCelui qui sert le Seigneurยป; Bible de Jรฉrusalem: ยซCelui qui sert Dieuยป; NRSV non esplicita: ยซThe one whose service is pleasing to the Lordยป).
Palmisano traduce: ยซChi serve Dio nel compiacerlo sarร accetto, la sua richiesta giungerร fino alle nubiยป. Nellโoriginale ebraico la โrichiesta/deฤsisโ รจ espressa con โแนฃeโฤqฤh/grido/querela giuridicaโ.
La preghiera del povero non desiste
Al v. 17 la preghiera/querela per unโingiustizia subรฌta del contesto precedente si generalizza nella โpreghiera del povero/proseuchฤ tapeinouโ. Essa non solo giunge fino alle nubi, a Dio, ma le attraversa, giungendo al cuore di Dio che ascolta. Il Talmud babilonese afferma da parte sua che nessuna porta in cielo resiste alle lacrime (bBaba Meแนฃiโa 59, a).
Fino a quando la sua preghiera non si sia โavvicinata/syneggisฤiโ al traguardo, il povero โnon si trova assolutamente consolato/ou mฤ paraklฤthฤiโ. Egli โnon desiste assolutamente/ou mฤ apostฤiโ dal rivolgersi a Dio, finchรฉ lโAltissimo non โabbia chiesto conto/episkepsฤtaiโ (ai malvagi) e abbia giudicato i giusti, dando loro soddisfazione (โgiudicato i giusti/krinei dikaioisโ) e โfatto il giudizio/poiฤsei krisinโ) per loro, portando a termine il procedimento giudiziario con lโemissione della sentenza.
Il verbi greco episkeptein traduce per lo piรน il verbo ebraico pฤqฤd, che veicola lโidea di partecipazione con valore positivo o negativo e significa โpassare in rassegna (2Re 18,1), visitare (in bene [cf. Lc 1,68] o in male [= punire, Es 32,34]), chiedere conto [1Sam 20,6.18])โ.
YHWH ascolta la preghiera del povero, dellโoppresso e dellโindifeso.
Essa non viene mai meno e penetra i cieli, fino al cuore di Dio, giusto giudice.
Che ne sarร perรฒ della preghiera dellโuomo peccatore?
Parabola per i narcisi divinizzanti e โnullificatoriโ
Attorno al centro del chiasmo (Lc 18,8b ยซTuttavia, il Figlio dellโuomo, venendo, troverร mai la fede sulla terra?ยป) ruotano due parabole sul tema della preghiera (18,1-8a. -14). Lโevangelista Luca pone un โcappelloโ redazionale su ciascuna di esse. La prima (18,1-8) รจ posta sotto il sigillo delle necessitร di pregare incessantemente, senza stancarsi (18,1).
La seconda parabola (Lc 18,9-14) รจ introdotta da un titolo che orienta la sua comprensione secondo il taglio inteso da Gesรน (e/o dallโevangelista Luca). Alla lettera suona: ยซDisse dโaltra parte anche verso coloro che confidavano in se stessi e di essere giusti e disprezzavano/nullificavano i rimanenti questa parabolaยป. Una parabola quindi non solo circa la preghiera, ma su uno stile esistenziale negativo che rende vuota anche la presunta preghiera.
La parabola โ il racconto fittizio di una storia che richiede una risposta personale alla domanda implicita o esplicita racchiusa in essa, da applicare poi al referente extranarrativo e alla propria vita โ รจ raccontata da Gesรน (secondo Luca) a un tipo di persone con una doppio difetto di fondo, odioso e tragico allo stesso tempo.
Il primo difetto, che fa mancare loro la bellezza e il gusto della vita รจ descritto cosรฌ: โColoro che confidavano in se stessi/tous pepoithotas ephโheautoisโ. La radice peith- rimanda a un campo semantico di confidenza, fiducia, affidamento, credenza, fede. Ci sono persone che si affidano solo a se stesse, credono solo a se stesse, si โappoggiano fiduciose suโ (cf. la preposizione epi + dativo) sulle proprie idee, sul proprio mondo.
Nella lingua tedesca la preposizione โsu/sopraโ puรฒ essere tradotta con รผber (โsopraโ, senza contatto) e con auf (โsopraโ, con contatto). Queste persone si appoggiano con contatto solo su di sรฉ, con fiducia cieca e totale e un abbandono confidente quale si dร normalmente solo a Dio!
Il mondo finisce col loro mondo. Narcisi allโennesima potenza. Dรจi in terra. Solinghi e tristi.
Bomba N
Se per caso qualche essere umano osa entrare nellโorizzonte visivo e mentale del narciso, questi ha pronta unโarma potente con cui eliminarlo, una bomba al neutrone. ยซLa bomba al neutrone (detta anche bomba N) รจ unโarma nucleare che affida il suo potenziale distruttivo non ad effetti termici o meccanici (rilevanti in ogni caso), come fanno la bomba atomica o la bomba allโidrogeno, bensรฌ a un intenso flusso di neutroni [โฆ] Nella bomba al neutrone, lโemissione del fascio di particelle รจ innescata dallโesplosione di un ordigno termonucleare di potenza relativamente limitata, che impiega la maggior parte dellโenergia liberata per emettere neutroni; questi, essendo privi di carica elettrica, riescono ad attraversare la materia con grande facilitร , non causando danni a quella inanimata (ad eccezione dei vulnerabili circuiti integrati dei processori), ma causando mutazioni e rotture del DNA, potenzialmente o invariabilmente letali per la vita organicaยป (cit. da Wikipedia).
Una bomba che lascia intatte le cose inanimate, ma che uccide la vita organica. Il sogno di ogni narciso perfezionista.
Il secondo difetto tragico delle persone a cui Gesรน rivolge la parabola, che come tema principale ha quello della preghiera, ma che racchiude in sรฉ un ventaglio semantico molto ampio, รจ quello di chi โdisprezza/nullifica/exoutheneลโ โi rimanenti/tous loipousโ, i rimasugli del proprio io, i resti, lo scarto del narciso. Gli incidenti della storia.
Il fariseo
Gesรน calca forse i toni ed esagera nei dettagli, ma nella parabola prende di mira principalmente un pericolo in cui potevano cadere i farisei (e i membri della sua comunitร : cf. Mt 23; รจ un discorso forte, con sette tremende โinvettiveโ e non รจ rivolto ai farisei ma alle folle e ai suoi discepoli, cf. Mt 23,1).
Gente molto religiosa, i laici farisei cercavano di onorare Dio lungo tutta la giornata e in ogni azione, attualizzando la Legge alla vita concreta del tempo tramite una serie minuziosa di disposizioni con le quali onorare Dio in ogni momento. Cercavano in tal modo di far vivere la santitร richiesta ai sacerdoti del tempio anche ai laici, alle persone impegnate nella vita normale quotidiana. Lโintenzione era ottima, il pericolo in cui cadere era quello del perfezionismo, dellโesteriorismo, della superbia, del giudizio nei confronti della povera gente ecc. Il pericolo era di onorare Dio e dimenticare lโuomo. Secondo lo storico ebreo Flavio Giuseppe, i farisei erano benvoluti e stimati dalla popolazione e godevano di grande credito umano e religioso.
Nella parabola raccontata da Gesรน, due sono i protagonisti: un โfariseo/pharisaiosโ e un โpubblicano/peccatore pubblico/telลnฤsโ. Due uomini agli antipodi della scala religiosa di Israele.
โTempioโ e โsantuarioโ
Entrambi salgono allโenorme โspianata templare/to hieronโ (quasi 500 m. di lunghezza e 400 m. di larghezza). Superato lโampio cortile dei gentili, aperto alla preghiera di tutti โ stranieri/non-giudei/pagani compresi, che potevano far offrire ai sacerdoti i loro doni votivi โ, si incontrava una balaustrata che faceva accedere al cortile delle donne. Sulla balaustrata erano collocate diverse lapidi โ di cui sono stati trovati i resti โ che ammonivano severamente i pagani a non oltrepassare: ยซNessuno straniero (allogenฤ) penetri al di lร della balaustra e della cinta che circonda lo hieron [= zona del tempio, che sta oltre il cortile dei gentili]; chi venisse preso (in flagrante) sarร causa a se stesso della morte che seguirร ยป.
Superato il cortile delle donne e, probabilmente, alcuni gradini, si attraversava la porta di Nicanore (chiusa ogni sera alle ore 20) e ci si veniva a trovare nella stretta striscia denominata il cortile degli israeliti.
Superato anche questo, si trovava il cortile dei sacerdoti, interdetto ai laici. Qui venivano offerti i sacrifici animali e si offriva lโincenso a YHWH.
Salita una rampa di 12 scalini, i sacerdoti e i leviti potevano accedere al โsantuario/ho naosโ vero e proprio, composto di tre stanze: il โVestibolo/Ulamโ, il โSanto/Hekalโ e, infine, il โSanto dei santi/Debirโ. In questโultima sala poteva entrare solo il sommo sacerdote, una volta lโanno, nella festa del Kippur, per lโincensazione rituale e lโaspersione del coperchio dellโarca con il sangue del capro sacrificato (questo nel tempio di Salomone, quando cโera ancora lโarca dellโalleanza, scomparsa nella distruzione di Gerusalemme del 586 a.C.).
La monade โnullificanteโ
Comโรจ abituale nella preghiera ebraica, il fariseo sta ritto in piedi e โprega queste cose verso se stesso/pros heuton tauta proseuchetoโ. ร evidente che egli non prega affatto. Si tratta solo di un soliloquio che nasce e finisce allโinterno della persona, monade chiusa in se stessa, senza aperture nรฉ verso Dio nรฉ verso gli uomini. Egli si appella a Dio, pensando anche di โringraziarloโ per la sua condizione religiosa diversa da quella dei โrimanenti degli uominiโ: i resti, i relitti umani che debordano dal suo io ipertrofico, le migliaia di persone che ha dovuto vedere, ed evitare, attraversando il cortile dei gentiliโฆ
Dio ha fatto sรฌ che non fosse nemmeno come โquesto pubblicanoโ. La striscia di cortile riservata gli uomini israeliti non era enorme, e forse quel pubblicano era conosciuto a Gerusalemme (cittร di 60-70.000 persone in tempi normali). Forse il fariseo lโha scorto di sottecchi entrando nel cortile, e il paragone gli nasce subito spontaneo, con tono di disprezzo nemmeno nascosto. Il petto si gonfia a dismisura.
A Dio per separazione
Lโuomo รจ relazione, e lโassenza di solidarietร umana nelle parole del fariseo lo rende un sotto-uomo, una torre eburnea di separazione totale dal resto dellโumanitร e una fontana inarrestabile di autoglorificazione dei propri meriti.
Il fariseo vive in modo pessimo un aspetto limitato della spiritualitร dellโAntico Testamento e del giudaismo: andare a Dio per progressiva separazione (cf. la serie dei cortili e delle sale riservate del tempio e del santuario). โI rimanenti degli uominiโ, il resto che spurga dal suo io come melma e pus che infetta, sono tutti ladri, ingiusti, adulteri. Sono fuori posto nei confronti di Dio e della sua Legge emanata al Sinai, in totale difetto verso Dio e verso gli uomini nel campo della correttezza economica, nel rispetto dei beni e delle persone appartenenti alle altre persone, senza giustizia verso di loro e verso Dio.
Digiuni e decime
I meriti del fariseo sono costituiti da opere supererogatorie, facoltative, cosรฌ come erano vissute dalle โconfraternite /chaburotโ dei farisei. Egli accenna a due aspetti della vita religiosa concreta in cui i farisei si distinguevano dal resto del popolo.
Otre ai relativamente pochi digiuni ufficiali, egli digiuna due volte la settimana: il lunedรฌ e il giovedรฌ, giorni lontani dal sabato. I discepoli di Gesรน digiuneranno invece il mercoledรฌ e il venerdรฌ, giorno della sua morte. Il digiuno, invece di rendere il fariseo โsobrioโ di sรฉ, svuotato, disponibile a Dio e agli altri, diventa nella sua bocca una bandiera identitaria da sventolare in faccia alle persone disprezzate per la loro diversa condizione di vita religiosa.
Il fariseo non si limita a pagare le decime previste, ma, in via precauzionale, paga la decima su tutto quello che compra al mercato, dal momento che non sa se il venditore lo abbia fatto al momento della raccolta della sua merce.
La decima era una pratica di attenzione a Dio, che si voleva onorare come fonte della vita e di ogni bene goduto dallโuomo, e di cura per i suoi figli piรน bisognosi: i sacerdoti e i leviti totalmente dediti al suo servizio e senza alcun bene ereditario, oltre allโorfano, alla vedova e al povero (allo straniero). Cf. Lv 27,32.34; Nm 18,21.225-32; Dt 12,6.17; 14,22.24; 26,1-15).
A chi paga le sue decime il fariseo? A Dio forse? Ai fratelli bisognosi? Forse su un piano oggettivo questi ne avranno avuto benefici, ma su un piano soggettivo al fariseo non viene accresciuto il tasso di solidarietร caritatevole e di condivisone fraterna fra tutti gli strati sociali del popolo di Israele. Dio, da parte sua, non mangia la carne di tori e di buoi e di decime offerte con questo animo non sa che farseneโฆ
Lโesattore dagli occhi bassi
Alla torre eburnea del fariseo, fanno da contraltare gli occhi bassi del โpubblicano/telลnฤsโ, un peccatore pubblico. Egli stava infatti abitualmente al โbanco delle imposte/telลnionโ che riscuoteva in subappalto dai grandi clientes dei romani usurpatori e oppressori del paese (cf. Lc 19,2: Zaccheo di Gerico, โcapo dei pubblicani/architelลnฤsโ e โsfacciatamente ricco come poteva esserlo solo uno come lui/kai autos plousiosโ). Alla somma da riscuotere ufficialmente per i nemici oppressori, questi collaborazionisti aggiungevano liberamente delle โspese di commissioni/creste/percentuali di benefitsโ che, nel bilancio finale, rimanevano nella loro disponibilitร .
Ladri, collaborazionisti, bugiardi, e religiosamente impuri anche per il loro continuo maneggiamento di denaro. Emarginati ed esclusi socialmente e religiosamente dalla comunitร โperbeneโ di Israele. Scomunicati.
Anche il pubblicano se ne โsta in piedi/estลsโ, come ha imparato nellโeducazione religiosa ricevuta in famiglia. Se ne sta perรฒ โlontano/makrลthenโ dallโentrata del santuario vero e proprio (naos), appoggiato probabilmente al recinto del cortile degli uomini israeliti. Per tutto il tempo che sta lรฌ in piedi, ยซnon vuole assolutamente alzare gli occhi verso il cielo/ouk ฤthelen oude tous ophthalmous eparai eis ton ouranonยป. Ha imparato fin da piccolo che solo la preghiera del giusto sale fino alle nubi del cielo, le penetra e giunge fino a Dio. E lui vuole pregare, ma รจ peccatoreโฆ
Espia tu per me, il peccatore
Per tutto il tempo della sua preghiera il pubblicano si percuote il petto in segno di riconoscimento della propria situazione di vita oggettivamente disgraziata, del proprio peccato soggettivamente commesso, della propria infelicitร che lo imbeve da tutti i pori della pelle.
Le parole del pubblicano sono una vera preghiera. Egli non ha meriti da accampare, e quindi non ha torri eburnee da erigere o glorie supererogatorie da sciorinare.
La sua preghiera รจ rivolta a Dio perchรฉ lo โriscatti/hilasthฤtiโ (< hilaskomai, cf. Sal 25m,11; 65,3; 78,38; 79,9; Dn 9,9Theod Kyrie, hilasthฤti) con misericordia, lo redima guardandolo propizio, donandogli la sua espiazione divina (kippurim, cf. Lv 25,9; Nm 5,8).
Se nella festa del Kippur il sangue del vitello versato sul โkappลret (ebr)/hilastฤrion (gr.)โ) โ il coperchio dโoro dellโarca dellโalleanza โ otteneva da Dio lโespiazione dei peccati del popolo (cf. Es 25,16-21; 31,7; Lv 16, 2.13-15), il pubblicano la invoca per sรฉ in quel momento, anche se non rientrava nella grande festa.
Egli invoca espiazione, invoca misericordia come tante volte aveva sentito a casa dalla voce di sua madre (cf. Sal 51,1). Espia/kippฤr, faโ grazia/แธฅฤnan, cancella/maแธฅah, lava/rฤแนฃฤh, copri/kฤbas, purifica/แนญฤhฤrโฆ Tutte le espressioni della sua vita religiosa di un tempo erompono ancora vive nel cuore e sulle labbra dellโuomo.
โEspia tu per me, il peccatoreโ. Il pubblicano si rimette totalmente a Dio. Solo Dio puรฒ espiare secondo la Bibbia. Lโuomo non espia mai!
Il pubblicano non si rassegna ad ammettere dei peccati. Si identifica totalmente nella sua condizione de โil peccatore/tลi hamartลlลiโ, il peccatore eccellenza. Questa era la sua vita. Forse non tutte le colpe commesse saranno state frutto di una responsabilitร propria. In quella situazione forse si era trovato per un lavoro ereditato dal padre, e poi doveva anche lui mantenere la famigliaโฆ
Si trovava in una situazione oggettiva totalmente peccaminosa, ma forse a livello soggettivo non tutte le cose erano forse cosรฌ malvagie. Forse egli cercava di essere corretto nel lavoro, distaccato dal collaborazionismo cieco e violento, lontano da atti di prevaricazione e pronto alla dilazione dei pagamenti, limitato e non esagerato nellโimporto delle sue โcommissioniโโฆ
Giustificato (!)
Gesรน elabora lโapplicazione della parabola. Come sempre, essa segue una linea ermeneutica che puรฒ rispecchiare quella principale della parabola, ma anche sviluppare linee derivate di grande interesse.
La domanda agli interlocutori resta implicita: quale dei due personaggi ha innalzato una vera preghiera? Qual รจ lโatteggiamento da evitare e quello da seguire nelle relazioni con gli altri uomini, altri, ma non residui? Voi, chi dite che sia tornato a casa giustificato?
Gesรน fornisce giร la risposta, perchรฉ lโimbarazzo poteva essere grande e molte le perplessitร . Se Dio ascolta ed esaudisce le preghiere del giusto (cf. la prima lettura tratta dal Siracide), che ne รจ della preghiera dellโingiusto? Che ne รจ di Dio? Che ne รจ delle pratiche religiose/sacramentali tradizionalmente intese?
Certamente il pubblicano รจ stato umile e ora viene innalzato da Dio, perchรฉ questa รจ sempre stata la sua logica seguita nei rapporti con Israele, popolo eletto benchรฉ piccolo e non meritevole (cf. Dt 7,1-16).
Dio accoglie la preghiera del pubblicano umile e pentito, e questi se ne torna a casa giustificato/dedeikaiลmenosโ da Dio (non per merito della sua preghiera, dal suo pentimento e dalla sua umiltร ). Questo significa che Dio riporta al rapporto buono dellโalleanza lโuomo che se ne era allontanato. Nella Bibbia il perdono di Dio precede, accompagna e segue il cammino di Israele (cf. Ez 16). Non รจ obbligatoriamente collegato a un pentimento previo o a una confessione rituale, โsacramentaleโ nel tempio, con sacrifici di animali ecc.
Del fariseo non si dice che Dio lo abbia rimproverato o redarguito, ma che se ne รจ tornato a casa โnon giustificatoโ, perchรฉ ingiustificati erano il suo animo, il suo atteggiamento e la sua presunta preghiera.
Non sappiamo (come non lo sapremo mai per Zaccheo di Lc 19,1-10) se il pubblicano, prima di tornare a casa, abbia offerto un sacrifico a Dio nel โtempioโ, se una volta tornato a casa abbia cambiato lavoro e tenore di vitaโฆ
La parabola non รจ catechismo, con idee precise e tradizionali ben trasmesse, chiare e limpide. La Bibbia non un catechismo. La parabola รจ aperta. Riguarda Dio, riguarda noi, cosa faremo della nostra vita di fronte alla novitร sempre grande dellโamore di Dio. Una cosa รจ certa: il Dio di Gesรน Cristo, Dio nostro Padre, ci chiama ad andare a lui non per separazione, ma in comunione. Mai senza lโaltro!
Bene lโumiltร e lโesaltazione del pubblicano pentito. Meglio ancora la โgiustificazione/espiazioneโ che gli giunge solo da Dio, sempre eccedente ogni opera umana e spesso antecedente, โgratuitaโ, โesagerata ed eccessivaโ, โperfettaโ (cf. Mt 5,43-48).
La parabola ci parla di superbia e di umiltร , di soliloquio narcisista e presuntuoso e di preghiera fiduciosa di pentimento. Ma, come sempre, ci parla soprattutto di Dio, di noi, delle nostre relazioni.
Il terzo, lo specchio
Mi pace concludere con alcune splendide righe del compianto p. Silvano Fausti: ยซTutti i personaggi del Vangelo di Luca sono riconducibili a queste due figure, che rappresentano reattivamente lโimpossibilitร e la possibilitร della salvezza. Anzi piรน esattamente: noi cristiani seri siamo tutti fratelli gemelli del fariseo, il presunto giusto, che Gesรน vuol convertire in reo confesso, perchรฉ accolga la sua grazia. In ogni sogno ci sono tre personaggi che contano: io che osservo, un altro che riconosco, e un terzo che non ricordo mai. Questi รจ proprio il piรน importante, il medio termine tra me e lโaltro. Gesรน svela al fariseo questo personaggio inafferrabile, mettendogli davanti uno specchio: il pubblicano, nel quale non vuole riconoscersi, รจ la parte profonda del suo io che non accettaยป.
Commento a cura di padre Roberto Mela scj
Fonte del commento: Settimana News