La Trinità contesta l’egoismo
C’è una specie di proverbio, diffuso tra la gente, che afferma che si presta interesse o ci si allarma per una cosa quando ormai «i buoi sono fuggiti dalla stalla», cioè quando è ormai troppo tardi e non c’è più nulla da fare. Così è, in qualche modo, per il grande tema delle relazioni umane, dei rapporti tra uomini e don ne dentro una comunità, all’interno di una istituzione. Altro che relazioni: l’acidità ci inquina, stiamo diventando corazze! Più che luoghi di incontro, siamo spesso piccoli centri di scomunica reciproca. Basta un «sentito dire», un pregiudizio, un sospetto coltivato e l’altro viene comunque escluso, eliminato, condannato!
La trincea ci affascina più del crocicchio, l’isola sperduta più dell’arcipelago. Il ripiegamento nel guscio ha più fortuna dell’esposizione al sole della comunione e al vento della solidarietà. E l’altro lo vediamo più come limite del nostro essere che come soglia dove cominciamo ad esistere veramente.
Anche nell’amore, nell’amicizia, lo scambio è spesso solo apparente: l’altro è al servizio del mio benessere, delle mie emozioni, esaudite le quali è perfino bene che sparisca per non intralciare la possibilità di esperienze rinnovate; il «tu» viene facilmente fagocitato da un «io» onnipresente, onnipotente, invadente. Ci manca la «reciprocità», l’idea dell’«insieme/con» che arricchisca entrambi, che faccia crescere, che raccolga aneliti, desideri, speranze, progetti, ideali condivisi. C’è tanta retorica bolsa in giro, che coinvolge parole solenni come «fratello», «sorella», «amico», «compagno», «collega», usate per consuetudine, per tradizione, ma svuotate di ogni significato autentico.
È per questo che il mistero cristiano della Trinità, che viene celebrato in questa domenica, può avere ancora qualcosa da dire al credente e al cercatore di Dio o a coloro che invocano rapporti umani più intensi e più veri. Infatti, se il suo nome dicibile è soltanto un «essere in relazione», la Trinità diventa la contestazione più severa di un modo di vivere chiuso, individualistico, egoista, ripiegato su se stessi. Davvero la vita interna di Dio diventa una sollecitazione straordinaria a un diverso modo di vivere di ogni donna, di ogni uomo che accettino il dialogo, l’apertura, la sorpresa, la condivisione, il rispetto per la diversità e il gusto per la differenza. Padre, Figlio, Spirito: tre persone, uguali e distinte. Uguali: a tal punto che il Padre non è più grande neppure del Figlio e lo Spirito non è inferiore né all’uno né all’altro.
Scrive don Tonino Bello: «Ma perché mai l’Eterno è venuto a raccontarsi nel tempo, se non per introdurre nella storia l’esigenza totalizzante della pari dignità tra gli uomini, che poi è il principio di ogni comunione vera?
Che cosa ha spinto Gesù a svelarci questo “segreto di casa”, se non il bisogno di costringerci al rifiuto di ogni discriminazione di razza, di cultura, di ricchezza? E perché, dopo tanti secoli di cristianesimo, l’ingiustizia imperversa e il potere dell’uomo sull’uomo umilia ancora la turba dei poveri? Ma perché sui banchi di teologia abbiamo consumato tanto tempo per studiare l’eguaglianza delle persone divine, se poi non alziamo la voce per mettere in discussione questo perverso sistema economico che fa morire di fame ogni anno cinquanta milioni di fratelli? Che senso hanno i nostri segni di croce nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, se non ci battiamo perché a tutti gli oppressi del terzo mondo (ma anche a quelli del primo e del secondo) vengano riconosciuti i più elementari diritti umani? Quando riusciremo a capire che le ingiustizie (anche quelle nostre private) non solo sono causa di tutte le guerre, ma sono anche eresie trinitarie?» (in Alla finestra la speranza).
La Trinità diventa in questo modo una risorsa rivoluzionaria, un invito concreto a un continuo cambiamento che non lasci spazio a sedimentazioni che inaridiscono e sclerotizzano i rapporti umani e sociali. Nei nostri paesi, nelle nostre comunità, cresce la separazione, l’antagonismo, la messa al bando reciproca. Anche lo spirito democratico lascia il posto alle iniziative del capo carismatico, della figura o del piccolo gruppo elitario, che snobba la massa e la fatica conseguente di camminarle al fianco, spiegando, coinvolgendo, persuadendo, in vista del bene di tutti.
Così il legame, sempre così sottile e precario, che tiene insieme l’intero, viene via via sfilacciandosi, facendo presagire, se non si pone al primo posto la «relazione», momenti di incomprensione, di scontro, di sfiducia reciproca.
don Marcello Farina – testo tratto dal Commento ai Vangeli domenicali – Anno B del libro “Parole che contano”
LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
IX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Domenica della Santissima Trinità – ANNO B
Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 27 Maggio 2018 anche qui.
- Colore liturgico: Bianco
- Dt 4, 32-34. 39-40; Sal.32; Rm 8, 14-17; Mt 28, 16-20
Battezzate tutti i popoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 28,16-20
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono.
Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Parola del Signore
Fonte: LaSacraBibbia.net
LEGGI ALTRI COMMENTI AL VANGELO