Commento al Vangelo del 27 agosto 2017 – p. Silvano Fausti

Messaggio nel contesto

“Ma voi chi dite che io sia?” Io-Sono chiede con umiltà ai discepoli: “Chi sono io?”, per introdurli nel suo mistero. Non è una crisi di identità sua: è in gioco l’identità loro. Gesù rivolge loro la domanda con trepida attesa: essere riconosciuto è il desiderio fondamentale dell’amore che si rivela. La risposta personale a questa sua domanda costituisce il discepolo. Il cristianesimo non è un’ideologia, una dottrina o una morale, ma il mio rapporto con Gesù, il “mio” Signore che amo come lui mi ama (cf. Gal 2,20).

Ai discepoli si chiede prima cosa dicono gli uomini e poi cosa dicono loro, per suggerire che la loro risposta non deve essere come quella degli altri. Né la carne né il sangue, ma solo il Padre può rivelare chi è il Figlio.

Siamo alla svolta decisiva del vangelo: finalmente Pietro e quelli con lui lo riconoscono come il Messia e il Figlio di Dio. Avvinti a lui, d’ora in poi potranno ricevere il dono di quella conoscenza di lui che può essere fatta solo a chi lo ama.

Il brano è un dialogo tra Gesù e i discepoli: i vv. 13-16 contengono le due domande sulla identità sua e le due risposte dei discepoli, la seconda delle quali è riservata a Pietro. Nei vv. 17-19 Gesù proclama beato Pietro perché ha accolto la rivelazione (v.17), e per questo gli dà la funzione di “pietra” per la Chiesa (v.18), insieme al suo stesso potere di legare e sciogliere (v.19). Il v. 20 conclude con l’ordine di tacere.

Il brano presenta il riconoscimento di Gesù e il conferimento del primato a Pietro. Riconoscere Gesù come il Cristo e il Figlio di Dio è il centro della fede. Il ruolo di Pietro è quello della “pietra” su cui si edifica la comunità che professa tale fede.

Il primato di Pietro fu occasione di tante separazioni, antiche e recenti, prima in Oriente e poi in Occidente. Il servizio dell’unità nella fede e nella carità è stato spesso “scandalo”, motivo di divisioni e odi. Non è sempre facile vedere in quale misura ciò sia dovuto al cattivo modo di servire, e in quale, invece, all’inevitabilità dello scandalo stesso della verità, che è sempre segno di contraddizione (cf. Lc 2,34). Anche l’identità di Gesù, vero uomo e vero Dio, è stata ed è occasione di tutte le eresie!

Questo brano è un contrappunto al precedente: al dialogo di incomprensione, succede il riconoscimento. Chi è libero dal lievito dei farisei e dei sadducei, vede nel pane il Cristo, il Figlio di Dio dono del Figlio dell’uomo a ogni uomo.

Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Questa è la fede cristiana che i discepoli hanno maturato e ci hanno trasmesso.

La Chiesa ha la beatitudine di vivere questa fede, direttamente rivelata dal Padre. Pietro ha la funzione di “pietra”, di fondamento su cui il Signore edifica la sua Chiesa; a lui inoltre è confidato il servizio delle chiavi del regno, la funzione di interpretare autenticamente ciò che è conforme a tale fede e ciò che è difforme da essa.

Lettura del testo

13: nelle parti di Cesarea di Filippo. Siamo all’estremo nord, ai piedi dell’Hermon, nel punto più lontano da Gerusalemme, in zona pagana. Qui Gesù è riconosciuto dai suoi.

interrogava i suoi discepoli. Fin qui erano gli altri ad interrogarsi su di lui. Ora è lui che interroga. La fede inizia dove noi smettiamo di mettere in questione il Signore, e accettiamo di essere messi in questione da lui. L’interrogato si fa interrogante e viceversa.

Il problema non è interrogarci su Dio o interrogarlo, ma lasciarci interrogare da lui. Ogni domanda contiene la sua risposta. Ad ogni nostra domanda su di lui corrisponde una nostra risposta su di lui, che lo riduce appunto a misura delle nostre domande. La sua domanda a noi invece ci apre al suo mistero.

La fede è responsabilità, abilità-a-rispondere al Signore che interpella. Lui è e resta sempre per noi un mistero, su cui non abbiamo né risposte né immagini: l’unica risposta siamo noi stessi che diventiamo a sua immagine.

Lasciarsi interrogare da lui e rispondergli secondo lo Spirito è l’arte e l’avventura di essere uomo. Dio è l’eterna domanda; l’uomo ne è la risposta, nella misura in cui ne ascolta la Parola e la incarna nella propria vita.

chi dicono gli uomini che sia il Figlio dell’uomo? C’è un “si dice”, un parlare generico e irresponsabile che non corrisponde mai a verità. In esso ciò che è già noto, o si presume tale, diventa misura di tutto. L’ignoto è ridotto all’ovvio, che è come il letto di Procuste, che adatta tutto alle proprie dimensioni. Le nostre convinzioni ci velano la realtà del Figlio dell’uomo e dell’uomo stesso, che è sempre più grande di quanto possiamo già sapere.

Gesù con questa domanda fa uscire allo scoperto le risposte scontate che spontaneamente diamo.

14: alcuni Giovanni Battista, altri Elia, ecc. Sono le figure religiose più eminenti del passato, con una storia di azione e di passione per la Parola. Hanno in comune il non essere state capite in vita e l’essere già morte.

Scambiare il Vivente per un morto è il modo più elegante per ucciderlo. Lo si riduce a un monumento funebre che non scomoda più che tanto; richiede solo un po’ di venerazione.

15: ma voi chi dite che io sia? La risposta dei discepoli è un “ma” rispetto a quella della gente, come il pensiero di Dio è un “ma” rispetto a quello dell’uomo: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri; le vostre vie non sono le mie vie” (Is 55,8). La risposta del discepolo alla domanda di Gesù è diversa, altra e santa: è suggerita dal Padre che il Figlio rivela. Il “voi” è la comunità di chi ascolta la domanda del Figlio, Parola del Padre.

16: tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Pietro per primo risponde personalmente alla domanda. Lo riconosce come il Cristo e il Figlio del Dio vivente: è il salvatore atteso che compie ogni promessa del cielo e desiderio della terra, è l’inatteso Figlio di Dio, che in ogni promessa si compromette, dono oltre ogni desiderio.

Il mistero del Figlio dell’uomo è quello di essere il Figlio di Dio che si comunica ad ogni uomo. Gesù è venuto a portarci il dono del Padre, il Padre come dono, in modo che tutti siamo figli e fratelli.

Quella di Pietro è la professione di fede cristiana: Gesù è il Cristo, l’unico Cristo, è il Figlio, il Figlio unigenito del Padre della vita (cf. 14,33; 26.63; 27,40.43. 54; cf. 28,18s). Vedere nella carne di Gesù il Cristo il Figlio di Dio è il centro della rivelazione: è entrare nella conoscenza del mistero del rapporto Padre/Figlio,  rivelato ai piccoli (cf. 11,25-27).

Da questa risposta Pietro è generato uomo nuovo, partecipe del segreto di Dio. Con ulteriore sorpresa dovrà capire in seguito che “il” Cristo non è quello che lui pensa, ma un Cristo che lui non si aspetta; scoprirà anche che “il” Figlio di Dio è un Figlio che lui neanche sospetta, e che il Dio vivente è altro da quello che lui immagina.

Spontaneamente riduciamo a “carne e sangue” anche la rivelazione di Dio (cf. vv. 21-23).

17: beato te Simone, figlio di Giona. Quella di Pietro è la beatitudine suprema: accogliendo il Figlio, entra nel regno del Padre. Lui è il primo che riceve la rivelazione di ciò che è nascosto ai sapienti e agli intelligenti. A chi gli dice: “Tu sei”, lui risponde: “Beato te”, e comincia il dialogo tra i due.

né carne né sangue ti rivelarono, ma il Padre mio, ecc. Pietro vede quanto occhio umano mai non vide: ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano nella carne del Figlio (cf. 1Cor 2,9). Il figlio di Giona legge nel Figlio dell’uomo il segno di Giona – la rivelazione di Dio. Il cristianesimo è conoscere e amare la persona di Gesù. Credere al suo messaggio non è apprezzare o adottare la sua dottrina: è conoscere e amare lui come il Figlio di Dio, che si è fatto mio fratello per darmi il suo stesso rapporto col Padre. Se lui non fosse Dio, sarebbe il più grande mistificatore della storia. Chi lo conosce, sa che non è così: è il Signore, che mi ha amato e ha dato se stesso per me (Gal 2,20).

18: tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa. Pietro diventa “pietra”, attributo di Dio (Dt 32,4; Is 17,10), come lo fu anche di Abramo, padre dei credenti (cf. Is 51,1s). La fede nel Figlio gli dona la prerogativa di Dio stesso. La chiesa si costruisce su questa pietra come la casa di coloro che sono ormai familiari di Dio (Ef 2,19-22).

le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. Ogni potere di morte si infrangerà contro il Dio vivente e quelli di casa sua. La sua fedeltà ha l’ultima parola su ogni nostra infedeltà, al di là di ogni nostra fragilità e peccato, che pure Pietro sperimenterà (14,29-31; 26,32-35.69-75; 28,7.10). Ciò che vale per Pietro, vale per tutta la Chiesa.

19: darò a te le chiavi del regno dei cieli. La fede di Pietro è la chiave che apre il regno. “Darò” è al futuro: la promessa vale per il tempo che segue. La fedeltà di Dio garantisce la fede di Pietro, nella quale poi egli confermerà i fratelli (Lc 22,32).

ciò che legherai sulla terra. Legare e sciogliere significa proibire e permettere, interpretando autenticamente la Parola. Inoltre significa ammettere ed escludere dalla comunità. In base al dono della fede, a Pietro è dato il pegno/impegno di dire ciò che è conforme o meno ad essa e, di conseguenza, dichiarare chi appartiene o meno al regno.

In questo testo si fonda il “primato di Pietro”. Nel corso dei secoli è stato variamente esercitato e inteso, frainteso e malinteso, con o senza colpa. L’autorità nella chiesa non è certo come quella dei capi delle nazioni, ma la stessa del Signore, che è venuto per servire e dare la vita (Mt 20,24-28). Si tratta di un servizio nella fede e nell’amore, principio di unione e di vita.

Bisogna non dimenticare che ogni autorità può degenerare da servizio che fa crescere a potere che distrugge la verità e la libertà, l’amore e la comunione (cf. 20,24-28).

La fatica che tutti hanno nell’accettare l’autorità è la stessa che tutti hanno nell’accettare la diversità, da quella di Dio a quella dei genitori e di ogni altro, riflesso dell’Altro. La diversità può essere vissuta con amore; allora è principio di unione e di vita. Ma può anche essere vissuta con conflitto; allora è principio di divisione e di morte.

Il servizio di Pietro, come ogni altro, deve cambiare secondo le diverse situazioni storiche. Fa parte della legge dell’incarnazione assumere responsabilmente i condizionamenti della propria epoca. Occorre sempre chiedersi quale sia il modo più adatto di esercitare “oggi” tale servizio. Non bisogna dare nulla per scontato, ma tutto esaminare, e ritenere ciò che è buono (1Ts 5,21).

Si discute tra gli esperti il senso originale del testo, cosa intendesse Matteo e cosa intendesse Gesù. Certamente è importante saperlo, perché ciò che è stato “allora” è qualcosa di unico che vale sempre, anche “ora”: è normativo per la comunità che cerca di camminare ora, come lui ha camminato allora.

Non basta però riprodurre “il senso originale del testo”. Occorre anche vedere la “produzione di senso” che il testo ha originato nella vita dei discepoli, ai quali il Signore ha promesso di essere sempre vicino, sino alla fine del mondo (28,20). In situazioni nuove e inedite, lo stesso testo produce sensi nuovi e inediti. La parola di Dio non è un feticcio morto, ma vive e opera nella storia per la potenza dello Spirito.

La “domanda” che si pone a un testo è determinante per la risposta che se ne ottiene. Oggi, la nostra epoca, che è contrassegnata dal compimento della libertà, che domande pone all’esercizio del servizio di Pietro? La risposta che si dà è d’importanza decisiva non solo per l’ecumenismo, ma anche per il mondo intero, davanti al quale siamo posti come segno di unità, senza che ciò sia mai a discapito della verità e della libertà.

20: non dire a nessuno che lui è il Cristo. Infatti il Figlio dell’uomo non è il Cristo che pensa Pietro, ma quello che si rivelerà subito dopo, e che Pietro non vorrà accettare (vv.21-23).

Pregare il testo

  1. entro in preghiera come al solito.
  2. mi raccolgo immaginando Gesù con i suoi discepoli a Cesarea di Filippo.
  3. chiedo ciò che voglio: chi è Gesù per me? È veramente il Cristo, il Figlio del Dio vivente?
  4. traendone frutto, contemplo la scena.

Da notare:

  • Gesù interroga
  • chi dicono gli uomini che io sia?
  • ma voi chi dite che io sia?
  • tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente
  • beato te, Simone
  • tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa
  • le porte degli inferi non prevarranno contro di essa
  • a te darò le chiavi del regno
  • ciò che legherai sulla terra, sarà legato in cielo
  • ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto in cielo.

Testi utili

Vedere il cammino di Pietro in Matteo: Mt 4,18-22; 8,23-27; 10,1-4; 14,22-33; 16,21-23; 17,1-8; 20,24-28; 26,30-35. 69-75.

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO

Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 27 agosto 2017 anche qui.

XXI Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Mt 16, 13-20
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 27 Agosto – 02 Settembre 2017
  • Tempo Ordinario XXI, Colore Verde
  • Lezionario: Ciclo A | Salterio: sett. 1

Fonte: LaSacraBibbia.net

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